Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2016-2017
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Direttore James Conlon
Viola Ula Ulijona
Hector Berlioz: “Harold en Italie”, sinfonia per viola concertante e orchestra op. 16
Claude Debussy: “La Mer”, tre schizzi sinfonici per orchestra
Igor Stravinskij: Suite n. 2 dal balletto L’Oiseau de feu (L’uccello di fuoco), versione 1919
Venezia, 21 maggio 2017
Prosegue, salutata costantemente dal plauso unanime del pubblico e della critica, la Stagione Sinfonica 2016-2017 della Fondazione Teatro La Fenice, che persegue due fondamentali finalità: da un lato, la riproposizione del cosiddetto repertorio classico, inteso però in senso lato, comprendendo in esso anche autori che furono in passato considerati all’avanguardia; dall’altro, l’esplorazione di esperienze, se non dimenticate, conosciute solo in ristretti ambiti specialistici. Anche il programma della serata, di cui ci occupiamo, era, a suo modo, coerente con questa impostazione di base: il primo titolo, infatti – Harold en Italie di Hector Berlioz – si riferisce a una composizione, di non proprio frequente esecuzione, firmata da un autore ormai nel novero dei “classici”, ma attestato all’epoca su posizioni d’avanguardia, che si meritò la stima di Wagner, Liszt e Paganini. Così dicasi degli altri due titoli, peraltro eseguiti molto più di frequente: il poema sinfonico La Mer di Debussy, un sublime esempio della nuova musica novecentesca, e la Suite n. 2 dal balletto L’Oiseau de feu di Stravinskij, che ci riporta ad un punto di svolta nella produzione di un artista, destinato a divenire, nel panorama musicale novecentesco, un vero e proprio mattatore, nonché a contribuire non poco al rinnovamento del linguaggio musicale, se si considerano, in particolar modo, certe sue opere, per così dire, “di rottura”.
Ma le tre composizioni presentate in questo concerto erano accomunate anche da un altro aspetto, in quanto a tutte e tre è sotteso un “programma” più o meno esplicito. Il che ha costituito un’occasione per gli ascoltatori – almeno per alcuni di essi – di riflettere sulla vexata quaestio del rapporto tra musica ed eventuali contenuti extramusicali. La serata appariva, dunque, davvero interessante, da questo punto di vista, ma non solo: ospiti di eccezione erano, infatti, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, sotto la guida del suo attuale direttore principale, il newyorkese James Conlon, con la partecipazione della violista lituana Ula Ulijona, che dal 2010 ricopre il ruolo di prima viola presso la stessa Orchestra della Radiotelevisione Italiana.
Davvero sontuosa è apparsa quest’orchestra, innanzi tutto per quanto riguarda il suono, la “voce” corposa e nitida che contraddistingue in modo peculiare questa compagine di provetti strumentisti, già legati al proprio direttore – sebbene abbia assunto questo ruolo solo dal 2016 – da un rapporto di perfetta simbiosi. A dir poco esemplare è risultata l’esecuzione di Harold en Italie, la sinfonia in quattro parti per viola concertante e orchestra – ispirata al poema di Lord Byron Childe Harold’s Pilgrimage –, composta da Berlioz per rievocare il periodo trascorso in Italia – nel 1881 – dopo aver vinto il prestigioso Prix de Rome. Insuperabile la prestazione della Ulijona, la quale con il suo strumento – che, com’è noto, dà voce ad Harold, sotto cui si nasconde l’autore stesso – ha saputo intessere un dialogo intensamente espressivo con l’orchestra, ripercorrendo i “cari luoghi”, i “tristi e cari moti del cor”, così perfettamente trasfigurati da Berlioz, anche grazie ad una scrittura sinfonica ricca di colori e di atmosfere – sappiamo quale magistrale orchestratore fosse il compositore francese –, cui il la sonorità dolce e morbida della viola partecipa con elegante espressività.
Quanto a La Mer – un pezzo giustamente celeberrimo, in cui analogamente è preponderante l’elemento timbrico – James Conlon distilla dalla “sua” orchestra meraviglie sonore – complice l’insieme o una particolare sezione o, ancora, un singolo strumento –, ottenendo pienamente ciò a cui mirava il geniale compositore: nessuna velleità descrittiva, ma una musica fatta di raffinatezze timbriche, ad evocare non un paesaggio marino tout-court, colto cioè nella sua oggettività naturalistica, bensì le emozioni che, di fronte ad esso, si riverberano nell’animo dell’artista, un po’ come avviene nei quadri impressionisti, per quanto Debussy, abbia sempre negato con sdegno ogni sua presunta vicinanza all’“impressionismo”: eppure anche Monet non dipinge la Cattedrale di Rouen, ma imprime sulla tela le impressioni che di volta in volta essa suscita in lui – ne nasce, non a caso, una nutrita serie di tele –.Di enorme fascino timbrico è stata anche l’esecuzione della Suite n. 2 da L’Oiseau de feu, il balletto che impose il fino ad allora sconosciuto allievo di Rimskij-Korsacov all’attenzione del mondo intero, grazie all’esecuzione realizzata a Parigi nel 1910 da Sergej Djagilev.
La musica di Stravinskij si ispira al modello rimskiano, in particolare al Gallo d’oro, l’ultima opera del maestro, in cui la realtà umana è resa musicalmente da melodie diatoniche di impronta popolare, mentre quella degli esseri fantastici è espressa da una musica ricca di cromatismi e arabeschi dal sapore orientaleggiante. Nello stesso tempo esiste nel balletto una cifra distintiva già tutta stravinskiana, consistente nel rifiuto di ogni sentimentalismo come di ogni descrittivismo, e nell’uso oggettivo del materiale musicale, i cui parametri vengono usati con estrema coerenza: in primis il colore e il ritmo, quest’ultimo adoperato con una libertà e un’inventiva, che già fanno pensare al Sacre. E anche di questi aspetti si sono fatti interpreti Conlon e l’orchestra della RAI, che ha ancora una volta brillato per qualità del suono e sensibilità musicale: dalla “magica” Introduzione, con i suoi colori lividi, il cromatismo dei fiati e il misterioso glissando degli archi, alla Danza dell’Uccello di Fuoco, giocata su ritmi irregolari, alla popolaresca Danza delle principesse, alla Danza infernale del re Katschej, dove troviamo quegli scarti ritmici, che prefigurano il Sacre du printernps, all’incantata Berceuse, al grandioso climax del Finale, basato su un tema lituano. Successo travolgente, che ha assunto talora i caratteri di una spontanea ovazione.