“Il Lago dei Cigni” di Luigi Martelletta al Parco Archeologico di Paestum

Paestum, Parco Archeologico, Musica ai Templi 2017
“IL LAGO DEI CIGNI”
Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij
Coreografia Luigi Martelletta
Odette / Odile SARA LORO
Siegfried MARCO MARANGIO
Danzatori solisti MARIA CHIARA GRASSO, VANESSA GUIDOLIN, CARLO PIACENZA
Compagnia Nazionale Raffaele Paganini
Paestum, 25 agosto 2017

Il titolo classico per eccellenza incontra la classicità magnogreca a Paestum, confermando il successo della gestione dell’imponente sito archeologico diretto, due anni or sono, dal benemerito Gabriel Zuchtriegel.
Nell’ambito delle iniziative culturali proposte  (ricordiamo la presenza di ben tre palcoscenici per tutti i settori delle arti teatrali in corrispondenza di ciascun tempio principale per la musica, la danza e la prosa), la rassegna Musica ai Templi ha portato e porterà ancora in scena, ogni venerdì dal 30 giugno al 15 settembre, spettacoli compresi nel costo del biglietto per l’area archeologica, trasformando il già suggestivo luogo in un teatro immerso nella storia. La Direzione artistica è affidata a Gaetano Stella, la Direzione organizzativa ad Animazione ’90 e diciamo subito che la danza è protagonista di due soli appuntamenti (il  14 luglio è andato in scena “Artisti all’…Hopera” di E.Sperimenti GDO Dance Company). Tutto è perfettibile e, nella prospettiva di crescita già confermata (+ 40 % di ingressi nel 2016), crediamo che non mancherà un intervento mirato sul settore danza, che nello spettacolo offerto dalla Compagnia Nazionale Raffaele Paganini con Il Lago dei Cigni di Luigi Martelletta ha registrato un numero di ingressi quanto meno inatteso, con circa 1500 persone tra il pubblico accampate un po’ dovunque, visto che il numero massimo legale di posti a sedere è di appena 500 unità.
Ebbene, la voglia di danza sembra essere tanta e lo spettacolo ha potuto godere di un successo notevole, coronato dagli applausi di un pubblico silenzioso e molto disciplinato, anche più di quanto a volte si veda tra gli abbonati di Lirici blasonati. È proprio dal luogo e dal pubblico che abbiamo deciso di aprire questa recensione, cosa inconsueta che va sottolineata subito, poiché a penalizzare la danza sembrano essere proprio gli spazi, nel nostro Bel Paese. Lo stesso Martelletta lo ha sottolineato, ribadendo come ci siano «molti giovani talentuosi che si sacrificano per fare della propria passione un lavoro, ma trovano mille difficoltà,  perché mancano gli spazi per la danza e non si investe a sufficienza negli allestimenti di questo genere che, invece, richiamano un gran numero di persone, intere scuole di danza e genitori trascinati dai propri figli che si avvicinano, in questo modo, al mondo dei grandi classici».
A questo proposito, la rilettura di uno dei più famosi titoli del grande repertorio ottocentesco da parte di Luigi Martelletta, già dall’età di 21 anni Primo ballerino del Teatro dell’Opera di Roma e fondatore della Compagnia “Almatanz”, si colloca in questa direzione, perché si possa conoscere la grande danza partendo da un linguaggio e da una impostazione più vicini al gusto di oggi. In che modo ce lo rivela di persona il coreografo: «Ho danzato questo titolo tantissime volte e in tante città, ricoprendo prima ruoli secondari, quando ero giovanissimo, fino a quelli principali da primo ballerino. In ogni versione c’era qualcosa che mi piaceva particolarmente, per cui ho deciso di ispirarmi a tutto quello che avevo conosciuto danzando e ne ho creata una tutta mia. Penso che i grandi classici siano ancora oggi i titoli immortali che richiamano il grande pubblico, ma, da padre di due figli, vedo che i ragazzi hanno una tolleranza limitata per l’ascolto e per la visione, per cui ho concentrato il tutto eliminando la pantomina e apportando delle modifiche che solo chi conosce a fondo il balletto, sia dal punto di vista coreografico che musicale, può apportare. Credo che così si riesca ad avvicinarli,, incuriosendoli, alle più imponenti versioni tradizionali».
Da un punto di vista strutturale Martelletta introduce il racconto coreografico omettendo il Preludio canonico, di per sé intriso di quella oscurità malinconica e dolorosamente eloquente, sostituendovi il “tema dei cigni”, così noto da calare subito il pubblico in quello che vuole ascoltare e vedere. L’ordine di scene e atti è sostanzialmente rispettato nella narrazione, quasi senza soluzione di continuità, mentre la pantomima si limita al minimo e i danzatori, in tutto undici, danno corpo alle situazioni principali con un impegno notevole, vista la velocità delle dinamiche e l’uso commisto di più linguaggi coreici che citano la coreografia di Lev Ivanov giusto in richiami stilistici sparsi qua e là, nelle pose caratterizzanti dei personaggi. Com’è vero che i classici sono universali, così i sentimenti principali della vicenda possono emergere anche in veste moderna, in cui gli stilemi classici neoclassici e post classici si contaminano con la danza contemporanea e citazioni libere di altri stili, che non sempre appaiono integrarsi in maniera efficace, da un punto di vista strettamente estetico. L’enunciato danzante talvolta si appesantisce e la tecnica avanza a discapito del sentimento. La conclusione appare estremamente rapida e, da un punto di vista drammaturgico, sembra frettolosamente lasciare qualcosa in sospeso rispetto alla storia dei due protagonisti, visto che si tratta, in ogni caso, di un ballettto narrativo.
I giovanissimi danzatori (una media tra i 18 e i 23 anni), meritevoli tutti di plauso per aver convinto il pubblico e per aver danzato ininterrottamente in una non leggera articolazione di movimenti, appaiono ancora alquanto scolastici nella presenza scenica e nello stile. Le ragazze sono state talvolta imprecise nel mantenere l’asse della rotazione nei double piques en tournant en dedans e nell’estensione delle estremità inferiori, specie nei grandi salti. Di bellissima presenza ma monolitico in una espressività di maniera (con mandibola perennemente pendente) il giovane principe di Marco Marangio, giovane promettente ma ancora acerbo come partner, specie nella messa in asse della danzatrice nei momenti di pirouettes ripetute. Graziosa e precisa, invece, la Odette/Odile di Sara Loro: sicura ed energica, delicata e giusta nella parte.  Buona prestazione anche per i solisti Maria Chiara Grasso, Vanessa Guidolin e Carlo Piacenza. Non avrà giovato, si immagina, un palco esposto all’umidità e sul quale il tempo delle prove è stato oltremodo ridotto.
Nel complesso, una performance di tutto rispetto per una Compagnia di giovanissimi che, nella generale crisi di un settore nel quale la nostra politica non vuole (perché non sa) investire, ha dimostrato quanto pubblico attenda eventi come questo. Perché la danza non va cercata o promossa solo nei Teatro d’Opera. Gli applausi convinti e i commenti caldamente positivi da parte dei presenti hanno gratificato i giovani danzatori e il regista/coreografo Luigi Martelletta, che si augura un ritorno nella città di Paestum per i prossimi Festival con nuove produzioni.
Ma l’applauso più grande va, ancora una volta e probabilmente per sempre, alla vera anima del Lago dei Cigni: la musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij  che, al di là delle versioni coreografiche che di volta in volta sostiene, resta l’assoluto pilastro identitario di un capolavoro che continua a ispirare nuove visioni e riscritture, senza tradire la propria natura, nell’eterno conflitto tra bene e male. (foto di Carmine Aquino)