Verona, 95° Arena Opera Festival: “Tosca”

Arena di Verona – Opera Festival 2017
“TOSCA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma omonimo di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca  SUSANNA BRANCHINI
Mario Cavaradossi  CARLO VENTRE
Il barone Scarpia  AMBROGIO MAESTRI
Cesare Angelotti  ROMANO DAL ZOVO
Il Sagrestano  NICOLÒ CERIANI
Spoletta  ANTONELLO CERON
Sciarrone  MARCO CAMASTRA
Un Carceriere  OMAR KAMATA
Un pastorello  EMMA RODELLA
Coro e Orchestra dell’Arena di Verona
Coro voci bianche A. d’A.Mus.
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del Coro Vito Lombardi
Direttore voci bianche Marco Tonini
Regia, scene, costumi e luci Hugo De Ana
Verona, 5 agosto 2017
Arena purtroppo lontana dal tutto esaurito per una Tosca in ogni caso di tutto rispetto. Il monumentale allestimento di Hugo De Ana non smette di lasciare senza fiato il pubblico: ne abbiamo già parlato in diverse occasioni, ma va sottolineata la potenza visiva dell’arcangelo Michele che incombe sulla scena con apparente indifferenza per le vicende terrene. Anche gli altri elementi contribuiscono a dare un senso di ineluttabilità del fato: l’enorme quadro al centro della scena – il Noli me tangere di Correggio – che scatena l’immediata gelosia di Tosca, non prima di essere stato liberato da un velo nero; i pannelli inclinati sul fondo, che vengono spalancati nel Te Deum e da cui più avanti si affaccerà Cavaradossi mentre è imprigionato nel castello. Come già fatto nelle precedenti recensioni, non riusciamo proprio a dirci entusiasti del finale con Tosca di spalle che regge una croce in cima al castello: niente da fare, siamo gente semplice, questo tuffo nel vuoto abortito ci lascia insoddisfatti. Non entusiasma Susanna Branchini: l’emissione è spesso ingolata e con  diverse imprecisioni di lettura. La sua Tosca ha sicuramente la grinta e il trasporto necessari al ruolo, ma i suoni tendono ad essere spesso innaturalmente forzati in una ricerca di un suono artificiosamente drammatico per un effetto complessivo che non valorizza un timbro altrimenti interessante. Soprattutto nel registro centrale le dinamiche risultano appiattite, mentre gli acuti sono più saldi, anche se tendenzialmente forzati. Nel Vissi d’arte le problematiche di una emissione di forza e emergono più evidentemente nella difficoltà della cantante nel gestire i passaggi e i pianissimi. Le doti sceniche della Branchini non sono sufficienti a salvare una performance piuttosto deludente. Complessivamente corretto il Cavaradossi di Carlo Ventre, che aveva realizzato un’ottima prova nel Radamés di poche settimane prima: ci aspettavamo qualcosa in più, ma in generale la voce non manca di squillo e non teme i volumi orchestrali. Come per la Branchini notiamo un complessivo appiattimento nei colori, risultando in ogni caso più espressivo grazie un uso intelligente del fraseggio. Momento migliore resta senza dubbio il Vittoria…Vittoria! adeguatamente squillante, ma anche nel temuto E lucean le stelle Ventre realizza un buon numero. Bene Ambrogio Maestri nel ruolo del temibile Barone Scarpia. L’ingresso in scena è come sempre di grande effetto: il quadro che cade frontalmente e che Scarpia calpesta trionfante dà sempre quel brivido che solo i veri villains sanno regalare. La voce è in forma e dal personaggio trapela la necessaria e perversa sensualità. Maestri dà il meglio in Se la giurata fede e, se qualcosa in più poteva essere fatto a livello dinamico, l’emissione risulta sempre ben calibrata e il fraseggio preciso e misurato. Il Sagrestano era un infaticabile Nicolò Ceriani, efficacissimo in scena e di voce ben timbrata. Ceriani si muove nevroticamente dappertutto, bastona i monaci, si agita e riempie la scena con naturale vis comica. Bene Romano dal Zovo nei panni di Angelotti: l’artista è in crescita e si mostra in grado di gestire gli immensi spazi areniani anche quando è completamente solo in scena. Spoletta era Antonello Ceron, Sciarrone Marco Camastra mentre Omar Kamata vestiva i panni del carceriere di Castel Sant’Angelo. Puntuale e ben preparato il Coro di voci bianche A.d’A.Mus, diretto da Marco Tonini. Momento di gloria nel Te Deum per il Coro areniano, preparato da Vito Lombardi. Il direttore Antonino Fogliani convince ancora più che nella Tosca andata in scena al Teatro Filarmonico solo pochi mesi fa: i tempi sono filologici e le dinamiche ben calibrate, le voci vengono assecondate con perizia, come anche i movimenti scenici. Come sempre di grande effetto il Te Deum, ma anche il commovente inizio del terzo atto con l’io de’ sospiri del pastorello Emma Rodella risulta toccante in tutto il suo intenso lirismo. ©Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona