Teatro Massimo di Palermo: “A midsummer night’s dream”

Palermo, Teatro Massimo, Stagione Lirica 2017
“A MIDSUMMER NIGHT’S DREAM”
Opera in tre atti su libretto di Benjamin Britten e Peter Pears da A Midsummer Night’s Dream di William Shakespeare.
Musica di Benjamin Britten
Oberon LAWRENCE ZAZZO
Tytania JENNIFER O’LOUGHLIN
Puck CHRIS AGIUS DARMANIN
Theseus MICHAEL SUMUEL
Hippolyta LEAH-MARIAN JONES
Lysander MARK MILHOFER
Demetrius SZYMON KOMASA
Hermia  GABRIELLA SBORGI
Helena
LEAH PARTRIDGE
Bottom ZACHARY ALTMAN
Quince
JONATHAN LEMALU
Flute KEITH JAMESON
Snug SION GORONWY
Snout WILLIAM FERGUSON
Starveling MICHAEL BORTH
Cobweb EMANUELA CIMINNA
Peaseblossom FEDERICA QUATTROCCHI
Mustardseed GIULIA NICOLETTI
Moth CLARISSA DI LORENZO
Orchestra e Coro di voci bianche del Teatro Massimo di Palermo
Direttore Daniel Cohen
Maestro del coro di voci bianche Salvatore Punturo
Regia e scene Paul Curran ripresa da Allex Aguilera Cabrera
Costumi Gabriella Ingram
Coreografia Carmen Marcuccio
Luci David Martin Jacques riprese da Salvatore Spataro
Allestimento del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia.
Prima rappresentazione a Palermo.
Palermo, 19 settembre 2017
In una fresca serata dal sapore già autunnale il Teatro Massimo riprende la sua stagione lirica tuffandosi nell’atmosfera del sogno di shakespeariana memoria che Benjamin Britten, insieme al compagno di vita e d’arte Peter Pears, tradusse in musica nel 1960 nel suo Midsummer Night’s Dream. Per la prima volta sulla scena palermitana, il Dream di Britten non ha tuttavia richiamato la partecipazione di pubblico che ci si sarebbe aspettati, nonostante la diretta su Radio 3 Rai e una solerte campagna pubblicitaria operata su più fronti dalla Fondazione. Ad ogni modo lo spettacolo, il cui allestimento è quello del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia, ha ottenuto un discreto e meritato successo di pubblico. Molto acclamato il giovanissimo Daniel Cohen, già esperto nella direzione del repertorio d’opera e contemporaneo: il direttore israeliano ci è sembrato condurre con mano sicura il coloratissimo ensemble cameristico della “tiny orchestra” (così la definì lo stesso Britten), affidato all’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo. Proprio come il bosco shakespeariano, luogo incantato in cui si svolgono gli eventi, vero e proprio personaggio dotato di vita propria, l’orchestra è riuscita ad avvolgere l’azione scenica in un’atmosfera sovrannaturale, ben dosando la tavolozza cromatica delle sue diverse sezioni, e gestendo con disinvoltura i diversi espedienti sonori presenti in partitura senza mai sovrastare le voci sulla scena, con le quali mantiene invece un continuo dialogo. Le scene e la regia di Paul Curran, quest’ultima ripresa da Allex Aguilera Cabrera, hanno fatto tutto il resto: il mondo reale è sempre presente agli occhi nelle rovine di un tempio greco che fa da unico sfondo ai personaggi delle tre dimensioni, Fairies, Lovers, Rustics, e che, attraverso un meccanismo rotante del palcoscenico, si muove nei momenti cardine della vicenda con il doppio intento di mostrarci i fatti da più prospettive (rispondendo così a un voyerismo implicito nell’intento drammaturgico), e di svelarci le conseguenze che gli eventi sovrannaturali hanno sulla vita reale. Rimanendo fedele all’idea che sottostà all’opera, Curran assegna ad Oberon, interpretato da un algido Lawrence Zazzo, un ruolo primario, che gli permette di assistere con un certo distacco allo svolgersi della vicenda: egli sa già che le cose andranno secondo il suo disegno e per questo si affida all’intraprendenza del fedele Puck pur immaginando che il folletto potrà combinare qualche disastro. Il legame tra Oberon e Puck, “folletto perfido e maligno” nel libretto di Britten e Pears, ma qui niente più che una sorta di acrobatico e dispettoso Peter Pan – abilmente interpretato da Chris Agius Darmanin – è reso efficace dai costumi luminosi di Gabriella Ingram che si accendono ogni volta che il Re esercita il proprio controllo sulla sua creatura; il colore verde che li caratterizza è inoltre richiamato dalle creature del bosco che percorrono la scena avanti e indietro, in modo sinistro e circospetto, sviluppandone la profondità. Contraltare di Oberon è la sua sposa Tytania alla quale il marito vorrebbe sottrarre il piccolo servitore indiano lasciatole da una sua sacerdotessa sul punto di morte. Il conflitto tra i due è reso musicalmente con lo scontro timbrico delle voci, quella fredda e metallica del controtenore e quella calda e sensuale del soprano di coloratura Jennifer O’Loughlin. Un candore etereo è l’elemento che contraddistingue la Regina e le fate che l’accompagnano in ogni sua apparizione; i costumi luminescenti sono il corrispettivo visivo dell’impalpabilità delle voci infantili del Coro di voci bianche del Teatro Massimo, diretto da Salvatore Punturo. L’ensemble vocale riesce ad intessere con l’orchestra una straniante atmosfera di sogno mentre i quattro solisti Cobweb, Peaseblossom, Mustardseed e Moth, interpretati rispettivamente da Emanuela Ciminna, Federica Quattrocchi, Giulia Nicoletti e Clarissa Di Lorenzo, offrono un’interessante presenza scenica fatta di movimenti sincronici e rallentati che conferiscono la giusta leggerezza all’azione. In questo scenario surreale prende forma l’intreccio amoroso delle due coppie ateniesi che in questa notte si addentrano nel bosco incantato, suscitando la curiosità di Oberon e determinando quindi il suo intervento nel loro destino. Mark Milhofer e Gabriella Sborgi interpretano la passione di Lysander ed Hermia con un affiatamento drammatico che corrisponde ad una buona intesa vocale tra i due vicini registri di tenore e mezzosoprano; Szymon Komasa e Leah Partridge ci mostrano invece la distanza tra le loro posizioni attraverso il contrasto tra la violenta perentorietà del baritono e la delicatezza asservita del soprano. Immersi nel buio profondo, gli amanti sono oggetto degli incantesimi luminosi di Salvatore Spataro, che riprende le luci di David Martin Jacques per caratterizzare i diversi momenti della notte, scanditi in musica dal respiro orchestrale del bosco mentre una luna mutevole e il cielo stellato si avvicendano sullo sfondo.
L’abilità vocale e drammatica degli interpreti emerge in particolare nel secondo atto, in cui assistiamo all’apice dello stravolgimento della vicenda; la mutazione psicologica dei personaggi oggetto d’incantesimo corrisponde ad un’alterazione della loro vocalità: quando s’innamora di Bottom, Tytania diventa la parodia di se stessa mentre, quando la situazione sta ormai precipitando, i quattro amanti passano da un canto disteso, tipico della tradizione lirica ottocentesca, a battute secche e concitate, rincorrendosi sulla scena e litigando fino a strapparsi i vestiti di dosso.
L’ordine ristabilito è sancito da Theseus, duca di Atene, che il basso Michael Sumuel ricopre di regale autorevolezza, e da Hippolyta, regina delle Amazzoni e sua futura sposa, il cui ruolo è affidato Leah-Marian Jones, contralto dalla voce dolce e rassicurante che insieme al compagno accoglie gli amanti al palazzo, suggellando il loro amore con un triplice matrimonio.
L’assenza in libretto di un’indicazione di epoca consente a Curran di proporre la vicenda nell’odierno senza troppi stravolgimenti. In questo modo i Rustici non sono artigiani ma un gruppo di lavoratori di bassa estrazione sociale, perlopiù guardiani e operai specializzati che si dilettano di recitazione pur non essendo minimamente dotati di talento. I sei personaggi maschili, Quince, Flute, Snug, Snout e Starvelling, interpretati nell’ordine da Jonathan Lemalu, Keith Jameson, Sion Goronwy, William Ferguson e Michael Borth, guidati dal persuasivo timbro baritonale di Zachary Altman, nei panni di Bottom, mettono in scena numeri da cabaret conferendo all’opera un efficace ritmo drammaturgico e dimostrando una buona intesa anche a livello vocale. I loro interventi da opera buffa sono conditi con gli esilaranti movimenti coreografici curati da Carmen Marcuccio. Il loro è insomma uno humour inglese, anzi ‘british’, come la grande bandiera che fa da sipario alla rappresentazione di Pyramus e Thisby, ricordando – qualora ce ne fosse bisogno – la paternità dell’opera; la grottesca esibizione dei personaggi nei loro fantastici costumi improvvisati contagia lo spettatore che ride di gusto insieme alle personalità ateniesi e ai quattro amanti in un tipico esempio di teatro nel teatro.Repliche fino al 27 settembre. Foto Rosellina Garbo