Georg Friedrich Händel (1685-1759) e altri: “Catone” (1732)

Opera in tre atti su libretto di Pietro Metastasio. Sonia Prina (Catone), Riccardo Novaro (Cesare), Lucia Cirillo (Marzia),  Roberta Invernizzi (Emilia), Kristina Hammarström (Arbace). Auser Musici, Carlo Ipata (direttore). Registrazione, Konzerthalle Ulrischkirche, Halle. 27-28 maggio 2016. 2 CD Glossa / Note 1 Music GCD923511.
I “pasticci” avevano un ruolo non secondario nella normale vita teatrale del XVIII secolo; centoni di arie famose e di sicuro successo inserite su libretti ben rodati affidati a cantanti di vaglia permettevano, infatti, di garantirsi sicura copertura di pubblico nel caso di mancanza di nuove opere o di scarso successo delle novità presentate.  Il loro utilizzo da parte di Händel nella sua funzione di impresario del King Theatre non presenta particolari specificità rispetto alla prassi corrente se non quelle necessarie per adattare lavori pensati per un pubblico italiano ai gusti inglesi (che in primo luogo voleva dire drastica sfalciatura del recitativi poco coinvolgenti per un pubblico scarsamente in possesso della lingua italiana).
Il primo “pasticcio” händeliano visto a Londra era stato “Ormisda” nel 1730 ma il maggior successo venne ottenuto nel 1732 con “Catone” tratto dal “Catone in Utica” di Metastasio nel rifacimento preparato dallo stesso poeta per l’allestimento veneziano del  1729 con musiche di Leonardo Leo già rivisto rispetto alla prima napoletana dell’anno precedente (con musiche di Vinci). Händel, che era a Venezia al momento dell’andata in scena dell’opera di Leo, deve averla vista e successivamente deciso di portarla a Londra. Il nuovo spettacolo londinese deve però fare i conti con la diversa disponibilità vocale che impone drastiche modifiche rispetto allo spettacolo di Leo. La parte del protagonista resta la più simile all’originale, già destinata da Leo a un castrato viene riadatta per il Senesino cui si adattava la scrittura sostanzialmente centrale delle arie di Vinci, anche la parte di Marzia subisce variazioni limitate con però l’importante aggiunta dell’aria, celeberrima in quel periodo, “Vo’ solcando il mar crudele” dall’”Artaserse” di Vinci posta in chiusura dell’opera con una soluzione abbastanza insolita per l’epoca. Le altri parti subiscono modifiche decisamente più significative: la parte di Cesare, pensata da Leo per castrato, che fu affidata al basso Antonio Montagnana, grande virtuoso e cantante di fiducia di Händel, con la conseguente sostituzione delle arie; simile trattamento è riservato al ruolo di Arbace scritto per le doti fenomenali di Farinelli e ora affidato al soprano Francesca Bertolli con sostituzione delle arie originali con altre di Hasse, Vivaldi e Porpora. Subentrata all’ultimo momento Celeste Gismondi (Emilia) si vede assegnate arie di suo repertorio abituale – significativamente non quelle pensate originariamente da Händel – per semplificare il suo ingresso nella compagnia mentre il ruolo di Fulvio è semplicemente omesso per la mancanza di un tenore a disposizione.
Ripresa nel 2015 a Barga e poi portata in forma di concerto ad Halle l’opera trova finalmente la via del disco. Proprio la particolarità e la rarità del titolo avrebbero reso più consigliabili scelte editoriali più rigorose mentre l’edizione proposta riduce ulteriormente i recitativi – al limite dell’incomprensibilità della trama – e taglia due arie; per la prima registrazione assoluta sarebbe forse stato meglio procedere a una integralità piena. A parte queste non secondarie considerazioni filologiche gli strumentisti dell’Auser Musici diretti da Carlo Ipata si disimpegnano con gusto e proprietà esprimendo un buon gioco espressivo che arricchisce le luminose sonorità e rende l’ascolto assolutamente godibile.
Il cast è composto da alcuni dei migliori specialisti italiani che uniscono alla precisione stilistica quella naturalezza del canto italiano così difficile da raggiungere per chi non è nato ove il sì sona (anche se la Hammarström unica non italiana del cast come dizione e prosodia non ha molto da invidiare agli altri).
Perfettamente a suo agio nella tessitura centrale e nel canto declamatorio di Catone, Sonia Prina tratteggia un personaggio di grande forza espressiva che raggiunge l’apice dell’intensità del nobile addio alla figlia. La voce è molto bella, piena e uniforme, le colorature nitide e sempre espressive, la dizione aulicamente scandita. Degna figlia di tanto padre, la Marzia di Lucia Cirillo forse alla sua miglior prova in senso assoluto, esemplare per aplomb stilistico e quadratura tecnica; musicalissima ed espressiva chiude splendidamente l’opera con un “Vo’ solcando il mar crudele” da manuale.
Adattata alle strepitose doti virtuosistiche di Montagnana, la parte di Cesare richiederebbe un Ramey per rendere a pieno; qui abbiamo l’onesto professionismo di Riccardo Novaro, assolutamente corretto e preciso ma resta il sentore di polveri bagnate nei passaggi più pirotecnici. Kristina Hammarström è un Arbace delizioso, ottimamente cantato – e con voce veramente molto bella – e perfettamente colto nel suo astratto e ideale eroismo. Un po’ sotto tono l’Emilia di Roberta Invernizzi sempre solida professionista ma nella cui linea di canto trapelava qualche incertezza – i passaggi di coloratura nel settore acuto non sono esenti da qualche durezza o fissità – cui non siamo abituati.