Teatro dell’Opera di Roma: “La Sonnambula”

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2017/2018
“LA SONNAMBULA”
Melodramma in due atti, libretto di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Il Conte Rodolfo RICCARDO ZANELLATO
Teresa  REUT VENTORERO**
Amina JESSICA PRATT
Elvino JUAN FRANCISCO GATELL
Lisa VALENTINA VARRIALE**
Alessio TIMOFEI BARANOF*
*dal progetto “Fabrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
**Diplomata “Fabrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Speranza Scappucci
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Giorgio Barberio Corsetti
Scene Cristian Taramborelli
Costumi Angela Buscemi
Luci Marco Giusti
Video Gianluigi Toccafondo
Allestimento in collaborazione con il Teatro Petruzzelli di Bari
Roma, 20 febbraio 2018
Terzo spettacolo della stagione in corso al Teatro dell’Opera di Roma questa Sonnambula di Vincenzo Bellini, titolo assente dalle scene dal 2005 ma rappresentato negli anni con una certa continuità e nel quale si sono cimentati gli interpreti più acclamati del momento. Il presente allestimento è stato affidato alla direzione di Speranza Scappucci ed alla regia di Giorgio Barberio Corsetti. La vicenda è collocata in un unico ambiente onirico popolato da mobili giganteschi che venendo spostati definiscono via via gli spazi e da un fondale sul quale avvengono le ormai pare irrinunciabili proiezioni quale solita probabile illustrazione degli stati d’animo dei personaggi, compito in origine e in un altro tempo affidato alla musica, al testo e, non ultimo, alla fantasia dell’ascoltatore che viene sempre più reso strumento prono alla rivelazione delle verità credute tali del momento. L’idea sembra essere un po’ quella che tutto debba essere mostrato, spiegato ed esplicitato. Ma la poetica belliniana riteniamo abbia bisogno di sue zone grigie indefinite nelle quali appunto la poesia possa divenire tale grazie alla alchemica risonanza tra i segni della parola e della musica e il vissuto emotivo ed esperienziale dello spettatore che si fa parte attiva della relazione e non strumento passivo da intrattenere, stupire o istruire. L’attenzione infatti durante lo spettacolo è dunque volta più a cercare di decifrare il senso delle proiezioni che animano senza sosta il fondale, a dare un significato a orsacchiotti giganti, bambole di pezza che sembrano incarnare i protagonisti, quasi una sorta di alter ego, una delle quali ricorda di primo acchito Giuseppe Garibaldi, le celebri rose d’Elvezia agitate dal coro in ogni modo possibile, anziché all’abbandonarsi e al lasciarsi trasportare nell’ineffabile mondo sonoro e narrativo di un’opera dove tutto è sospeso, rarefatto, accennato o solo suggerito e l’unica cosa definita è la regale assoluta purezza di Amina e del suo amore. Ciò premesso lo spettacolo scorre senza grossi scossoni nel narrare una vicenda, per altro molto lineare, perennemente immerso in questa, va detto, anche simpatica atmosfera di sogno infantile nella quale la estrema semplicità dei sentimenti non ha più una valenza sociale e morale ma acquisisce evidentemente quella un po’ riduttiva di un passaggio individuale dal mondo infantile a quello adulto. Il trionfo dell’amore e della purezza che sanno volare alto sulle le miserie umane perfino al di sopra della nobiltà del Conte Rodolfo forse ne escono un po’ ridimensionati.  Speranza Scappucci dirige l’opera con corretta metronomica precisione lasciando  anche essa poco spazio alla dimensione della poesia, dipanando le lunghe arcate melodiche della partitura senza particolare originalità e con il risultato di una certa complessiva monotonia priva del necessario climax delle strette finali nonostante più di qualche eccesso di sonorità che in diverse occasioni ha posto le voci in secondo piano. Molto buona la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani. E veniamo alla parte vocale della serata. Protagonista assoluta dello spettacolo l’Amina di Jessica Pratt, cantata con voce estesa sia pure non omogenea quanto a sonorità, belle intenzioni musicali e agilità impeccabili. Se un appunto si può fare alla sua lettura del personaggio, ma crediamo dipenda anche dalla impostazione dello spettacolo, è quello di riuscire un po’ troppo didascalica e, si passi la battuta che vuol essere bonaria e non riduttiva di una prestazione nel complesso notevole, un po’ più vigile che non sonnambula. Juan Francisco Gatell sia pure con una vocalità che ha dato nel complesso la sensazione di essere prossima al limite in questo ruolo forse non sostenuto adeguatamente dalla direzione, ha tratteggiato un Elvino di grande ed immediata comunicativa, descrivendo la spontanea semplicità del personaggio con un bel timbro ed un fraseggio sempre molto elegante e misurato. Il Conte Rodolfo di Riccardo Zanellato, un po’ penalizzato dalle sonorità dell’orchestra nel finale della cabaletta eseguita con inattese variazioni, è stato interpretato con appropriatezza sia vocale che scenica. Assai efficace Valentina Varriale  del progetto “Fabrica” come Lisa della quale ha cantato molto bene anche l’aria un tempo spesso tagliata. Corretto l’Alessio di Timofei Baranof e poco congrua, non sappiamo se per scelta registica o altro, la Teresa di Reut Ventorero sul piano della recitazione. Il pubblico ha applaudito con composta cordialità ai vari appuntamenti della partitura, esplodendo con entusiasmo solo nel finale, complici la irresistibile e travolgente cabaletta di Bellini e l’oggettiva bravura della prima donna. Foto Yasuko Kageyama