Verona, Teatro Filarmonico: “Salome”

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione d’Opera 2017-18
SALOME”
Dramma in un atto, libretto di Hedwig Lachmann dal poema omonimo di Oscar Wilde.
Musica di Richard Strauss
Erode  KOR-JAN DUSSELJEE
Erodiade  ANNA MARIA CHIURI
Salome  NADJA MICHAEL
Jochanaan  FREDRIK ZETTERSTRÖM
Narraboth  ENRICO CASARI
Un paggio di Erodiade  BELÉN ELVIRA
Cinque giudei  NICOLA PAMIO, PIETRO PICONE, GIOVANNI MARIA PALMIA, PAOLO ANTOGNETTI, OLIVER PÜRCKHAUER
Due nazareni  ROMANO DAL ZOVO, STEFANO CONSOLINI
Due soldati   COSTANTINO FINUCCI, GIANFRANCO MONTRESOR
Un uomo della Cappadocia  ALESSANDRO ABIS
Uno schiavo  CRISTIANO OLIVIERI
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Michael Balke
Regia Marina Bianchi
Scene Michele Olcese
Costumi Giada Masi
Movimenti mimici Riccardo Meneghini
Lighting Design Paolo Mazzon
Videomaker Matilde Sambo
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 20 maggio 2018
Dev’esserci, nell’ambiente dei registi d’opera, una tendenza ultimamente in voga – a mia insaputa: riempire i palcoscenici e, più in generale, le proprie regie, del maggior numero di elementi disparati, slegati da un’idea portante; scaricare sul palco una ricca congerie di costumi e/o attrezzeria a caso e provare ad andarci in scena. Di recente, questa “moda” ha colpito la Scala, Parma, Genova, e adesso anche il Filarmonico di Verona: nella “Salome” or ora in scena, infatti, troviamo guardie vestite all’antica e altre invece alla Quindicidiciotto; un’Erodiade moderna sposata a un Erode/Dante Alighieri, nella sua veste da priore; gli ebrei delle fiabe di Singer accanto a nazareni minimal hipster, un paggio di Erodiade pericolosamente simile a un transessuale F to M, un Giovanni Battista new age, e su tutti una Salome coperta solo di fasce bianche, in stile Lady Gaga. Questi personaggi si muovono in un ambiente mezzo neoclassico e mezzo razionalista, con un canapé a bergère ottocentesco chiamato convenzionalmente “trono”, e, alle spalle, una tenda di fili anni Ottanta su cui proiettare le solite superflue didascalie per immagini (il fuoco nei momenti di passione, il sangue in quelli più violenti, la luna quando si nomina la luna, la faccia del Battista quando questi urla dalla cisterna). Siamo franchi: ci sarebbero potuti essere in scena anche la Baltsa e Fischer-Dieskau diretti da Von Karajan, la situazione sarebbe stata comunque già drammatica. Invece in scena, diretto fin troppo bene dal maestro Michael Balke (che, sia chiaro, fa un’ottimo lavoro con l’orchestra) c’è un cast su cui pare lecito nutrire più di un dubbio: Nadja Michael molto coinvolta nella parte di Salome, ma francamente vocalmente in affanno (passa metà del tempo a inspirare rumorosamente, tossisce a scena aperta…raffreddata?.. Di certo cantare mezza nuda per tutto il tempo non l’aiuta); Kor-Jan Dusseljee è un affaticato Erode, spesso incerto, a volte sia nell’intonazione che nel tempo; Belén Elvira si impegna molto nel paggio di Erodiade, ma a malapena sovrasta l’orchestra nella maggior parte dei casi; Fredrik Zetterström regala vocalmente un buon Giovanni Battista, ma non riesce ad essere credibile in scena. Unica veramente a spiccare è la chiara, precisa Erodiade di Anna Maria Chiuri, che anche scenicamente si muove consapevole di sé e del personaggio. Accanto a lei, qualche buon professionista impegnato in personaggi secondari (i soldati Costantino Finucci e Gianfranco Montresor, il cappadociano Alessandro Abis) e il Narraboth di Enrico Casari, talvolta impreciso ma dall’emissione piena e chiara. Le belle luci di Paolo Mazzon ingentiliscono le scene poco convincenti di Michele Olcese, mentre resta inspiegabile la presenza di tre mimi/danzatori (di cui due nemmeno particolarmente ben coreografati) perennemente in scena con Salome: doppi? Servi? Fantasmi? Chi può dirlo… il pubblico dovrebbe poterlo dire, e invece viene subissato di gesti, coreografie, gente che cade o che viene lanciata (quanto infelice la scelta di far morire in questo modo anche Salome, sul finale!), per coprire un’evidente scarsa coscienza del libretto, della fonte, persino talvolta della partitura – perché in Strauss spesso la partitura musicale contiene già i colori, le espressioni e le azioni della scena. Al pubblico veronese – già non avvezzo ad un’opera in tedesco, per di più di Strauss – non resta che rifugiarsi dietro ad aggettivi quali “strano”, “particolare”, “moderno”: perché si sa, troppa verità sarebbe assez déclassé. E noi rispetteremo questa intenzione. Foto Ennevi per Fondazione Arena