Jesi, Teatro Pergolesi: “Il Trovatore”

Jesi, Teatro G. B. Pergolesi, Stagione lirica di tradizione 2018
“Il TROVATORE”
Dramma in quattro parti di Salvatore Cammarano, dal dramma El Trovador di Antonio Garcia-Gutierrez.
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna SIMONE ALBERGHINI
Leonora  MARTA TORBIDONI
Azucena SILVIA BELTRAMI
Manrico  IVAN DEFABIANI
Ferrando CARLO MALINVERNO
Ines SUSAN WOLFF
Ruiz/un messo ALEXANDER VORONA
Un vecchio zingaro DAVIDE FILIPPONI
Mimi Francesca Introvaia, Marco loreti,Simone Mandolini, Maria Federica Ciabattoni
FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno
Direttore Sebastiano Rolli
Maestro del coro Giovanni Farina
Regia e luci Valentina Carrasco
Scene Giada Abiendi
Costumi Elena Cicorella
Cooproduzione Fondazione Rete Lirica delle Marche, Teatro Marrucino di Chieti
Nuovo allestimento
Jesi, 28 ottobre 2018
Si dice che il Trovatore è un poeta, ma anche un narratore dei fatti del suo tempo, è quello che la regia di Valentina Carrasco ci racconta nell’allestimento andato in scena al teatro Pergolesi di Jesi. La vicenda viene ambientata ai tempi del fascismo, Manrico è un giornalista, che vive in clandestinità, collaborando con la resistenza. Il Conte di Luna rappresenta il potere attuale, dirige il ministero della propaganda. Leonora lavora al ministero per il Conte, così riesce a fare da ponte con la clandestinità, essendo affascinata dallo spirito poetico e libertario del trovatore. Sulla scena compare la foto di un periodico: “ La Voce della libertà” (organo della stampa clandestina), che nel corso dell’opera viene sempre più censurato dai fascisti. Del tutto assente l’accampamento  degli zingari, che qui si presentano sopra ad un carro con la scritta, alquanto imbarazzante, “ traslochi Zingarelli”. Il carro è la sede del giornale (con tanto di macchine da scrivere, che vanno a tempo durante il coro). Le scene (firmate da Giada Abiendi), sono ridotte a pochi elementi: nel secondo atto lo schermo con il giornale, prende la forma di un castello. I costumi, di Elena Cicorella, perfettamente funzionali all’impostazione temporale della regia. La regista argentina Valeria Carrasco ha voluto fare un’operazione di memoria storica, cercando di scuotere le coscienze civili del pubblico.
I momenti migliori sono state le proiezioni video durante il “Condotta ell’era in ceppi” di Azucena, con le immagini forti di rallestramenti nei ghetti ebraici o le riviste bruciate dai fascisti all’inizio del quarto atto, con dietro le immagini del grande rogo avvenuto a ll’Opernplatz berlinese, il 10 maggio 1933.
Alcune scelte destano perplessità: il cambio d’abito e di trucco di Leonora (Atto IV) in scena, aiutata da Ines, nel silenzio generale della sala, o ancora Manrico che canta “la Pira” con in mano un lumino, la fucilazione di Manrico e il colpo di pistola in testa ad Azucena nel finale. Resta comunque il coraggio di un’allestimento moderno, che cerca di far riflettere sugli errori del passato e sugli eventuali rischi futuri.
La direzione di Sebastiano Rolli è stata misurata, attenta alle dinamiche, cercando buoni colori e un senso di continuità tra i momenti più lirici e quelli più sanguigni dell’opera.  Corretta la scelta dei tempi,  a parte una “Pira” staccata veramente veloce, che ha messo a dura prova il tenore. Positiva la scelta dell’esecuzione integrale della partitura, rispettando tutti i da capo. L’Orchestra Filarmonica marchigiana era in stato di grazia, una sezione fiati più convincente del solito e gli archi molto corretti. Notevole il coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, diretto da Giovanni Farina. Preciso e attento alle dinamiche, naturalmente con le voci maschili in primo piano. Il soprano Marta Torbidoni non ha deluso per il suo debutto italiano come Leonora. La voce ben si adatta al personaggio, soprano dal timbro luminoso, solido nell’emissione e nella tecnica, che le permette di affrontare facilmente le parti di agilità, così come le mezzevoci e i pianissimi. Aldilà di qualche tensione nell’emissione di qualche acuto “di petto”, la Torbidoni offre una prestazione in crescendo e complessivamente valida. Ivan Defabiani è un giovane tenore, che ci delinea un Manrico, se vogliamo abbastanza “insolito”: il cantante sembra preferire una grazia e una nobiltà (specie nell’uso dei piani) ben diverse dalla solita passionalità (spesso rozza) che siamo abituati a sentire. La voce di Defabiani  è interessante: timbro rotondo,una linea di canto complessivamente buona e se pur con qualche affanno, riesce a gestire l’attesa aria e soprattutto in “Di quella  pira”. Come già abbiamo fatto cenno, la dimensione lirica è quella più consona alla vocalità di Defabiani che si esprime pienamente nel quarto atto. Simone Alberghini è un  Conte di Luna scenicamente credibile. La voce sfoggia un timbro naturalmente elegante nell’emissione e nel fraseggio, sempre stilisticamente misurato. Si ha però l’impressione che si trovi alle prese con un ruolo non pienamente nelle sue corde e che gli procura dei momenti di tensione nella linea di canto e nella gestione dei fiati. Silvia Beltrami (Azucena) è un mezzosoprano acuto e come tale sfoggia una particolare sicurezza nella zona medio-alta della voce. La recitazione molto sentita, drammatica fin dalle prime pagine importanti (“Stride la vampa” e “Condotta ell’era in ceppi”), così come negli intensi duetti con  duetti con Manrico. Ottimo Carlo Malinverno (Ferrando): bella voce di basso profondo, ottimo fraseggio nel racconto del primo atto, ha reso benissimo l’atmosfera tetra e misteriosa della storia. Valido l’apporto di Susan Wolff (Ines), Alexander Vorona( Ruiz/un messo), Davide Filipponi ( un vecchio zingaro). Lo spettacolo, com’era comprensibile, non ha mancato di creare momenti di disagio nel pubblico (non sono mancate le contestazione, se pur isolate). Alla fine, però non sono mancati gli applausi, particolarmente calorosi nei confronti delle protagoniste femminili e del direttore d’orchestra. Foto Stefano Binci