Gioachino Rossini 150: “Il barbiere di Siviglia” (1816)

Opera buffa in due atti su libretto di Cesare Sterbini. Danielle de Niese (Rosina), Alessandro Corbelli (Don Bartolo), Björn Bürger (Figaro), Taylor Stayton (Il Conte d’Almaviva), Christophoros Stamboglis (Don Basilio), Janis Kelly (Berta), Huw Montague Rendall (Fiorello), Adam Marsden (Un ufficiale). The Glyndebourne Chorus, Jeremy Bines (maestro del coro), London Philarmonic Orchestra, Enrique Mazzola (direttore), Annabel Arden (regia), Johanna Parker (scene e costumi), James Farncombe (luci). Registrazione: Glyndebourne Opera Festival, 21 giugno 2016. T.Time: 164′ 1 DVD Opus Arte 1238D.

Registrata a Glyndebourne nel 2016, questa nuova edizione de Il barbiere di Siviglia se non aggiunge molto a una discografia sterminata anche se si fa comunque apprezzare per freschezza e può contare su due aspetti di non comune qualità. Il primo elemento di forza è la direzione di Enrique Mazzola che qui si conferma fra i migliori rossiniani dei nostri tempi. Sfruttando a pieno le qualità della London Philarmonic, Mazzola imprime alla direzione ritmiche rapidissime, mai forzate o meccaniche, e sempre leggere, ariose, nuove sonore screziate di mille colori in un fraseggio orchestrale di mercuriale cangievolezza. A dominare il cast, è il Don Bartolo di Alessandro Corbelli, da autentico mattatore, assurge a “pietra di paragone”  per tutti gli altri interpreti. La lunghissima carriera non ha pesato più di tanto su un mezzo vocale ancora solido e sicuro e non compromesso da qualche presa di fiato in più o da qualche nota affrontata con più prudenza rispetto ai suoi trascorsi ma a essere paradigmatico è l’interprete. Un fraseggio mobilissimo, interamente giocato su minime sfumature tutte perfettamente centrate, unito ad una recitazione tanto essenziale all’apparenza quanto ricca nella sostanza.

Corbelli è quindi l’inevitabile chiave di volta su cui tutto si appoggia ma il resto del cast, pur non potendo reggere il confronto, offre comunque una prestazione assolutamente godibile. Giovanissimo e di belle promesse, il baritono tedesco Björn Bürger è un Figaro vocalmente e scenicamente imponente, dal bel timbro e dagli acuti squillanti, un ragazzo con potenzialità di maturazione davvero promettenti. Considerazioni analoghe per l’altrettanto giovane tenore americano Taylor Stayton, voce bianchiccia, non particolarmente attraente ma linea di canto elegante e raffinata, ottime doti nel canto di colorature a naturale squillo sugli acuti.
Vocalmente va segnalato qualche problema in più per la Rosina di Danielle De Niese, la cui voce non è certo quella di mezzocontralto prevista dalla parte; si notano, infatti, una certa difficoltà agli opposti estremi della tessitura e le colorature, pur nell’insieme corrette, non mascherano qualche difficoltà. Canta però con gusto ed eleganza, il timbro è bello e personale, l’accento curato – meno nei recitativi fin troppo studiati e poco naturali -. Scenicamente è, infine, innegabilmente avvenente. Alla diva di casa è riaperto il taglio di “Ah, s’è vero in tal momento”, aria forse non ispiratissima – e affrontata con qualche difficoltà nel settore acuto – ma strutturalmente importante dal momento che è il momento solistico serio della prima donna dopo la cavatina buffa del I atto. Proprio per queste ragioni di equilibrio dispiace il taglio di “Cessa di più resistere”, tanto più che Stayton avrebbe tutte le qualità per affrontarla.
Vocalmente corretto ma di scarsa personalità il Don Basilio di Christophoros Stamboglis, mentre di personalità – almeno sul piano scenico – ne mostra fin troppa la Berta di Janis Kelly senza però riuscire a nascondere un canto decisamente censurabile. Bella voce e ottima dizione, il Fiorello di Huw Montague Rendall; completa il cast l’ufficiale di Adam Marsden. Essenziale l’allestimento firmato da Annabel Arden per la regia con scene e costumi di Johanna Parker. Un fondale azzurro arricchito da motivi decorativi che richiamano gli azulejos sivigliani, pochissimi elementi d’arredo – un balcone fiorito per l’esterno, qualche armadio e due clavicembali per la casa di Don Bartolo. La regia non forza la mano con sovrastrutture interpretative ma si limita a seguire con fluidità e leggerezza la vicenda – anche se si poteva esser più parchi nelle controscene dei figuranti – e lascia ai cantanti una recitazione disinvolta e naturale molto accattivante.