“Il Balletto del Sud” e la dimensione europea di Fredy Franzutti. L’intervista.

La Bella Addormentata di Fredy Franzutti, con la compagnia “Balletto del Sud”, ha aperto la stagione di danza presso il Teatro Team nella città di Bari, riscontrando grande successo da parte di un pubblico che ha molto applaudito il ‘fortunato balletto’ che ci offre il pretesto per incontrare una delle principali figure del panorama della danza italiana. In tale contesto sono emerse delle peculiarità che offrono una garanzia per sviluppi futuri e il risultato di valori sempre attuali e interculturali.
Come e quando nasce la compagnia del “Balletto del Sud”?
La compagnia nasce a Lecce nel 1995, la città nella quale sono nato e dove si è facilmente radicata. Le dimensioni ridotte della città hanno facilitato il rapporto con le amministrazioni locali e la sopravvivenza della compagnia; l’apertura del nostro Mezzogiorno alla cultura e al turismo ha reso possibile il successo degli spettacoli che hanno interessato un pubblico sempre più vasto, ampliando i confini di produzione, da quello locale fino a estenderci su tutto il territorio nazionale con la realizzazione, oggi, di centodieci spettacoli in un anno.
Il corpo di ballo è costituito da italiani e soprattutto stranieri. Ciò costituisce un arricchimento multiculturale: è un caso o una scelta?
Non è una scelta bensì un caso, poiché alle audizioni prendono parte ballerini di diverse provenienze anche estere; la scelta infatti è motivata non dal curriculum ma dall’accettazione della qualità, che poi è l’unica vera ragione dell’inclusione nella compagnia, che ha raggiunto un livello anche molto alto.
Pensa di essere cresciuto artisticamente in questi anni?  Quanto ha influito sulle sue scelte la collaborazione con grandi ballerini? Le collaborazioni importanti che ho avuto, non solo con danzatori ma anche con registi, scenografi, compositori, musicisti sono state un arricchimento – dopotutto siamo il risultato dell’esperienza – per cui si crea una collaborazione e quindi una mutazione più che una crescita. Ogni forma di contatto è una forma di osmosi a cui involontariamente si è sottoposti e, soprattutto, è l’esperienza sociale che ci modifica nel tempo, al di là del proprio contesto lavorativo.
Che significato ha oggi la danza per Lei?
La danza per me è l’arte della comunicazione, un’arte che in Italia non è ancora compresa nel suo valore. Si pensa alla danza come forma amatoriale e, con le migliaia di scuole di danza in tutta Italia, si è legati ancora al saggio di fine anno. In tutti i teatri, un gran numero di spettatori, segue il Balletto, per guardare uno spettacolo di una compagnia di professionisti.
Lei include negli spettacoli poesia, musica dal vivo e arte coreutica, a cosa aspira per il futuro
Il mio repertorio e il mio linguaggio sono molto ampi e vari: si parte da un programma accademico che tende a ricostruire passi a due e balletti del repertorio romantico, grazie al fatto che la compagnia segue una formazione classica accademica. Inoltre il mio gusto personale nelle vesti di direttore fa sì che io possa ricostruire programmi di balletto, mentre nella funzione di coreografo sono proteso non tanto verso il contemporaneo estremo, la danza di avanguardia, bensì verso le avanguardie eclettiche del Novecento, poiché come coreografo da quel secolo ho respirato tanto, sentendomi in linea con le grandi compagnie d’Europa. La ricerca della dinamica del movimento, della coreografia, dell’atletismo del corpo (ma soprattutto sostanziale e comune a ciascuno spettacolo) è il messaggio, il concetto. L’obiettivo principale, per me, oggi rimane: quello di trasmettere un messaggio attraverso la danza.
Grazie al suo lavoro costante e capillare sul territorio, pensa di essere testimonianza e motivazione di crescita per la sua terra?
Il Balletto del Sud oggi è una realtà radicata nel Salento e in tutta la Puglia, dove portiamo in tutti i maggiori teatri i nostri spettacoli. Ma manca ancora la consapevolezza e l’accettazione di quanto sia affermata la nostra compagnia nella diffusione dell’arte del balletto e di quanto lavoro sia stato fatto da un punto di vista professionale in questi anni, affermandoci sul piano nazionale e oltre.
La Bella Addormentata, è un lavoro accurato con dei riferimenti alla cultura tradizionale salentina, cosa vuole evidenziare?
La mia compagnia non nasce come riscatto del Sud, non ho niente da dimostrare, ma ho la fortuna di raccontare un territorio con una grande storia: l’aria del Mezzogiorno e del Mediterraneo, considerata nel tempo fonte di ispirazione. Partendo dalla ricchezza culturale della Magna Grecia fino a Federico II, tanti poeti, letterati e autori hanno tratto la propria illuminazione dalla nostra cultura. Approfitto per citare lo stesso spettacolo Serata Romantica da poco portato in tournée,  che si ispira ai testi di Giacomo Leopardi il quale parla di Napoli, ma anche lo stesso Shakespeare, in Romeo e Giulietta, ha ripreso un soggetto già sviluppato da un racconto di Masuccio Salernitano ambientato a Salerno e in seguito ripreso da Matteo Bandello; così, Le Ultime Parole di Cristo è un balletto sulle musiche di Le Sette Ultime Parole di Nostro Signore Gesù Cristo, composto dal musicista pugliese Saverio Mercadante e infine non dimentichiamo che lo stesso scrittore francese Charles Perrault, in La Bella Addormentata, si è ispirato allo scrittore campano Giambattista Basile che ambienta la favola nel sud dell’Italia.
All’interno del balletto, da quale motivazione sono dettate le varietà di suggestioni innovative ?
La cosa più evidente che si ritrova nel mio spettacolo La Bella Addormentata è lo spostamento temporale. Quando l’ambiento nel Sud, non la colloco nell’epoca del Seicento Barocco di Basile, o nel periodo Ottocentesco in cui l’immagina Čajkovskij, bensì la riporto nel Novecento ispirandomi a movimenti e danze degli anni Cinquanta e Sessanta, forzando e adattando l’Hully Gully a un tempo di 3/4 del valzer di Čajkovskij. Ho dovuto ricostruire in maniera coerente una mia intuizione di trasposizione temporale narrativa su una maglia coreografica e musicale già esistente, ho dovuto ricucire la nuova versione della storia senza tradire il musicista.
Si può dire che la trama ha qualcosa di realistico: quale aspetto dell’umanità rappresenta?
La favola è ambientata nel Salento, nel periodo storico della ‘grande guerra’, in cui la presenza femminile è maggiore rispetto agli uomini impegnati sul fronte. Le famiglie nobiliari si trasferivano nel Sud, in zone lontane dai bombardamenti, esattamente come nella famiglia reale protagonista della nostra favola dove è forte la presenza di parenti e conoscenti in occasione della nascita di una bimba, Aurora. Dopo il battesimo cristiano si chiamava la maga del paese che avrebbe fatto una benedizione pagana di buon auspicio e, in questo caso, io prendo come esempio la fata Jargavan che Basile chiama con una parola albanese che vuol dire ‘glicine’ o ‘color lilla’. La fata buona albanese è colei che viene invitata determinando l’apertura ad altre culture, all’integrazione e, in questo caso, verso l’oriente, dimenticando invece di invitare ai festeggiamenti la maga ufficiale del paese Carabosse che diviene l’esclusa, e nel mio spettacolo sarà poi recuperata nel finale. Nello studio della psicoanalisi delle fiabe condotta da Bruno Bettelheim, si scopre che la paura dell’esclusione è molto forte nei bambini che temono, ad esempio, di non essere invitati alle feste come avviene per la stessa Carabosse.
Quali sono i progetti futuri?
Nei progetti futuri è previsto ancora la rappresentazione La Bella Addormentata a Milano al Teatro Carcano dal 29 al 1° gennaio, poi ancora a Firenze, Caserta, Avellino, Bologna. Serata Romantica il  16 febbraio a Bari.  Presso il teatro Apollo inizia la stagione con un appuntamento al mese iniziando con Le Maschere, Progetto Leonardo Da Vinci, Le Ultime Parole di Cristo, Serata Stravinskji e Serata dedicata a Gabriele D’Annunzio.