Staatsoper Stuttgart: “Die liebe zu drei Orangen”

Staatsoper Stuttgart, Stagione 2018/19
“DIE LIEBE ZU DREI ORANGEN” (L’amore delle tre melarance)
Opera in un prologo e tre atti.
Libretto e musica di Sergej Prokof’ev
Versione tedesca di Werner Hintze
Der Kreuz-König/Herold GORAN JURIC
Der Prinz  ELMAR GILBERTSSON
Prinzessin Clarice STINE MARIE FISCHER
Leander SHIGEO ISHINO
Truffaldino DANIEL KLUGE
Pantalone JOHANNES KAMMLER
Der Zauberer Celio MICHAEL EBBECKE
Fata Morgana CAROLE WILSON
Linetta AYTAJ SHIKHALIDZE
Smeraldina/Nicoletta FIORELLA HINCAPIÉ
Ninetta ESTHER DIERKES
Farfarello/Die Köchin MATTHEW ANCHEL
Der Zeremoniemeister CHRISTOPHER SOKOLOWSKI
Serjoscha BEN KNOTZ
Orchestra e Coro della Staatsoper Stuttgart
Direttore Alejo Pérez
Maestro del coro Manuel Pujol
Regia Axek Ranisch
Drammaturgia Ingo Gerlach
Scene Saskia Wunsch
Costumi Bettina Werner, Claudia Irro
Light designer Reinhard Traub
Coreografia Katharina Erlenmaier
Computer animation Till Nowak
Stuttgart, 2 dicembre 2018
La favola delle Tre Melarance, riportata per la prima volta da Giambattista Basile nel libro Lo cunto de li cunti overo Lo trattenemiento de’ peccerille, pubblicato postumo nel 1636 e definito da Benedetto Croce “il più bel libro italiano barocco”, fu messa in scena da Carlo Gozzi in una commedia presentata a Venezia nel 1761. La vicenda, che è alquanto complessa e contiene diversi richiami ai temi della celebre polemica letteraria sostenuta dal suo autore, è basata sulle favolose avventure di un principe condannato dalla Fata Morgana a desiderare irresistibilmente tre melarance introvabili, entro cui sono nascoste tre principesse vittime a loro volta di un incantesimo. Ispirandosi al lavoro di Gozzi, Sergej Prokof’ev ne trasse l’ omonima opera composta nel 1919 e rappresentata per la prima volta all’ Auditorium Theatre di Chicago nel 1921. Alla Staatsoper Stuttgart l’ opera di Prokof’ev era stata messa in scena nel 1995 con la regia di Nicolaus Brieger e la direzione di Gabriele Ferro. La nuova direzione artistica ha scelto questo titolo come terzo nuovo allestimento della stagione in corso, in una nuova traduzione tedesca preparata da Werner Henze, affidandone la messinscena ad Axel Ranisch, giovane regista cinematografico cresciuto nell’ ambiente underground di Berlino. Con una scelta molto intelligente, Ranisch ha deciso di raccontare questa fiaba come un gioco elettronico dei primi anni Novanta intitolato Orange Desert III. Sullo sfondo di una scenografia ispirata alla grafica abbastanza elementare dei primi videogames, i personaggi sono manovrati dietro le quinte da un bambino di nome Serjoscha a colpi di Joystick. L’ idea di rivivere gli aspetti della fiaba attraverso la sensibilità di un bambino della nostra epoca era sicuramente originale e messa in pratica con grande efficacia. Gli aspetti surrealistici, quasi da teatro dadaista della trama erano esaltati al massimo da questa lettura scenica ricca di effetti divertenti, coloratissima e animata che evidenziava in maniera perfetta il gioco meccanico e marionettistico della vicenda. Uno spettacolo vivace, brioso, spiritosissimo e recitato alla perfezione che mescolava in maniera raffinata la gestualità espressionistica del cinema muto con i movimenti paradossali delle maschere che agiscono nella Commedia dell’ Arte. In alcune interviste Axel Ranisch ha dichiarato che l’ obiettivo della sua messinscena era quello di presentare uno spettacolo che costituisse un divertimento adatto alle famiglie. Da questo punto di vista, possiamo dire che lo scopo è stato pienamente raggiunto visto che il pubblico, tra il quale erano presenti moltissimi bambini, si è divertito e lasciato coinvolgere da questa rilettura moderna messa in pratica con grande senso del teatro e del racconto scenico. La ricchezza di invenzione e il ritmo teatrale della parte scenica hanno trovato una perfetta corrispondenza in una parte musicale di altissimo livello. Il quarantaquattrenne direttore argentino Alejo Perez, che qui a Stuttgart lo scorso anno aveva presentato una eccellente interpretazione della Medea di Cherubini, ha evidenziato in maniera perfetta tutti i dettagli della partitura. Una direzione splendida per acribia e virtuosismo ritmico, ricchezza di colori strumentali e capacità di sottolineare tutti gli influssi stilistici che in questo lavoro Prokof’ev ha ricavato dal jazz, dai ritmi di danza popolare e anche da certe atmosfere dell’ ultima produzione di Puccini. La Staatsorchester Stuttgart ha messo in mostra un virtuosismo di altissimo livello così come il coro, splendido per qualità sonora e precisione di attacchi. Da lodare senza riserve anche la prestazione di una compagnia di canto perfettamente omogenea in tutti i suoi elementi. Il giovane basso croato Goran Juric ha dato una splendida caratterizzazione del Kreuz-König mettendo in mostra tutti i pregi di una voce ottima per quantità e qualità. Il tenore islandese Elmar Gilbertsson è stato un Prinz vocalmente efficacissimo e spiritoso nella recitazione. Teatralmente irresistibile l’ interpretazione vocale e scenica che Stine Marie Fischer e Shigeo Ishino hanno dato di Clarice e Leander, la coppia malvagia che organizza tutto l’ inganno della favola. Daniel Kluge come Truffaldino ha presentato un’ altra delle sue spiritosissime caratterizzazioni che lo hanno reso uno tra i cantanti caratteristi più amati dal pubblico di queste parti. Altrettanto efficaci e ricche di verve le interpretazioni di Carole Wilson come Fata Morgana, Michael Ebbecke come Zauberer Celio e Johannes Kammler come Pantalone. Spiritosissimo, a tratti esilarante, il tenore newyorkese Matthew Anchel nel doppio ruolo di Farfarello e della Köchin. Ottima anche la prova del giovane mezzosoprano colombiano Fiorella Hincapiè nella parte di Smeraldina, fraseggiata con toni vivaci e brillanti. Davvero incantevole Esther Dierkes, bella voce sopranile dal timbro lirico e pieno, nel ruolo della principessa Ninetta. Trionfo finale, con lunghissimi applausi per tutti i componenti del cast e per il team registico. Si può sicuramente dire che l’ idea della serata per famiglie voluta da Axel Ranisch è riuscita in pieno. Visto che la messinscena ricreava l’ atmosfera di un videogame, si può concludere questo resoconto dicendo “Game over“. Foto Matthias Baus