Torino, Teatro Regio: “Rigoletto” (cast alternativo)

Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2018/ 2019
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo.
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto AMARTUVSHIN ENKHBAT
Gilda GILDA FIUME
Il duca di Mantova IVÁN AYÓN RIVAS
Sparafucile ROMANO DAL ZOVO
Maddalena CARMEN TOPCIU
Giovanna CARLOTTA VICHI
Il conte di Monterone ALESSIO VERNA
Marullo PAOLO MARIA ORECCHIA
Matteo Borsa LUCA CASALIN
Il conte di Ceprano FEDERICO BENETTI
La contessa di Ceprano CLAUDIA DE PIAN
Un usciere RICCARDO MATTIOTTO
Il paggio della duchessa ASHLEY MILANESE
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Andrea Secchi
Regia John Turturro
Scene Francesco Frigeri
Costumi Marco Piemontese
Luci Alessandro Carletti riprese da Ludovico Gobbi
Coreografia Giuseppe Bonanno
Nuovo allestimento in coproduzione con Teatro Massimo di Palermo, Shaanxi Opera House e Opéra Royal de Wallonie
Torino, 12 febbraio 2019
Spesso, quando un regista cinematografico decide di lanciarsi nel mondo del melodramma, finisce col dar vita a uno spettacolo molto tradizionale; e non ha fatto eccezione John Turturro, con questo Rigoletto coprodotto da Regio di Torino e altri tre teatri, del quale hanno già scritto Giordano Cavagnino recensendo il cast principale torinese e Giovanni Messina in occasione delle recite palermitane dell’autunno scorso (link). Ai loro articoli si rimanda per accurate descrizioni di ciò che si è visto. Ci si permette solo di rilevare qualche scelta su cui si può discutere: la staticità del primo quadro, il rapimento di Gilda realizzato dai cortigiani allontanando dal proscenio l’intera abitazione di Rigoletto, l’ingresso nel finale ultimo della giovane morente, la quale, anziché uscire dal sacco, cammina con le proprie gambe (ma in questo caso si voleva verosimilmente indicare che Rigoletto conversa in realtà con un fantasma). E poi l’ormai consueta suddivisione della serata in due sole parti, che annulla lo stacco temporale tra secondo e terzo atto.
Nella recita pomeridiana di martedì 12 febbraio era di scena un cast alternativo che non si è rivelato in nulla “secondo” a quello principale della produzione (e si parla per averli ascoltati entrambi). Protagonista è il baritono mongolo emergente Amartuvshin Enkhbat, il quale rivela una voce di forte accento, ampia e robusta, stabile ed espressiva nell’invettiva, vibrante di orrore quando il buffone si scontra con la maledizione e i suoi effetti. A fronte di tale strumento, gioverebbe acquisire una più salda scaltrezza tecnica per eliminare alcune spigolosità e affinare un gesto scenico alquanto convenzionale. Emergente del pari è il tenore Iván Ayón Rivas, impegnato nel ruolo del Duca, reso con sprezzante schiettezza fin dalla sottolineatura degli staccati nella ballata iniziale e dallo slancio passionale del cantabile «È il sol dell’anima». La voce è luminosa e squillante, ben sostenuta, di gradevole timbro, la lettura della melodia curata nel dettaglio; peccato per la mancata ripetizione della pulsante cabaletta «Possente amor mi chiama». Resta il dubbio che non fosse opportuno per il giovane interprete posticipare un pochino il debutto del ruolo, poiché qua e là, nei passaggi più impervi, si avvertiva una certa tensione: la prudenza non è mai troppa. Il basso Romano Dal Zovo è corretto e professionale quale Sparafucile, anche se si percepisce qualche increspatura del suono nelle regioni più gravi. La Gilda di Gilda Fiume (nomen omen!) dispone di una voce delicata ed eterea, adatta al personaggio, specie nei momenti più intimi e commoventi del finale ultimo. Il fatto che in alcuni altri passi fatichi ad emergere è da ricondursi alla concertazione di Renato Palumbo, nella quale si fatica a ravvisare una coerenza agogico-dinamica: la concitazione, che può essere appropriata alla scena in cui Maddalena e Sparafucile combinano l’omicidio, risulta eccessiva nel finale II, specie perché sopraggiunge dopo la prima esposizione melodica di «Sì vendetta». Emblematica di questa direzione è l’invettiva «Cortigiani», nella sua prima parte soffocata dai gorghi orchestrali che impediscono di ascoltare la voce del protagonista, nella conclusione invece valorizzata, lasciando spazio al canto sconsolato di Rigoletto puntellato dalle sinuose frasi degli archi e dei legni. Tra gli altri interpreti, impegnati anche nel cast principale della produzione, si vuole riservare una menzione per il baritono Alessio Verna, perspicuo nel comunicare la gravitas del ruolo fatidico di Monterone. Foto Edoardo Piva