Georg Friedrich Händel 260: “Arminio” HWV36 (1737)

A 260 anni dalla morte
Opera in tre atti su libretto di Antonio Salvi.
Max Emanuel Cencic (Arminio), Lauren Snouffer (Tusnelda), Gaia Petrone (Ramise), Aleksandra Kubas-Kruk (Sigismondo), Juan Sancho (Varo), Owen Willetts (Tullio), Pavel Kudinov (Segeste). Armonia Atenea, George Petrou (direttore).  Max Emanuel Cencic (regia), Helmut Stürmer (scene), Helmuth Stürmer, Corina Gromasteanu (costumi), Helmuth Stürmer, Christoph Häcker (Luci), Etienne Guiol, Arnaud Pottier (video),Michael Fichtenholz (drammaturgia). Registrazione:Badische Staatstheater Karlsruhe, 24 febbraio & 1 marzo 2017. T.Time:168′ 1 DVD Unitel LC15762

Il presente spettacolo registrato al festival händeliano di Karlsruhe nel 2017 deriva in gran parte dalla precedente registrazione dell’opera (Decca 2015) cui è accomunato da numerosi interpreti. Per le questioni generali sull’”Arminio” e sul taglio esecutivo di fondo sostanzialmente analogo nelle due produzioni si rimanda quindi a quanto già scritto per la registrazione in cd.
Alla guida della Armonia Atenea, George Petrou conferma l’ottima prestazione offerta dalla prova in studio da cui non si discosta anche per quanto riguarda il taglio interpretativo generale. Nel ruolo protagonista si ritrova Max Emanuel Cencic che si conferma interprete di levatura storica in questo repertorio. A voler essere pignoli, dal vivo qualche durezza, qualche piccolo affaticamento si fa percepire maggiormente dal vivo rispetto alla registrazione precedente ma la pienezza vocale, la facilità strabiliante anche nei passaggi più impegnativi e soprattutto la qualità dell’interprete lasciano ammirati, la sua maggiore dote è quella di essere sempre nel personaggio, di coglierne ogni sfumature. Se queste qualità emergevano al solo ascolto la visione le arricchisce ulteriormente essendo Cencic attore efficacie e moderato perfettamente a suo agio nel taglio registico – su cui si tornerà – che fa di Arminio una sorta di incarnazione dei valori dell’aristocrazia illuminata dl XVIII secolo. Sempre in comune con l’edizione in CD troviamo il Varo di Juan Sancho, interpretativamente ancor più convinto.
Si perde purtroppo la strepitosa Ramise di Ruxandra Donose, ma è un dolore relativo perché Gaia Petrone non la fa troppo rimpiangere. Bella voce scura, fonda, ricca di armonici, ottime qualità di canto e formidabile presenza scenica – in un ruolo cui la regia dona qualche tratto comico facendone una libertina ubriacona ma di buon cuore e non priva di temperamento. Ottima prestazione e nome da ricordare per questo repertorio. Al suo fianco nel ruolo di Sigismondo non troviamo più un controtenore – in studio era stato l’ottimo Vince Yi – ma il mezzosoprano polacco Aleksandra Kubas-Kruk, voce molto bella e con quella pienezza che raramente si trova in un falsettista, splendida linea di canto, elegante e di impeccabile musicalità – si asciolti il sublime attacco di “Non sono sempre vane larve” una delle melodie più ispirate dell’opera ma anche la sicurezza con cui viene affrontata l’impervia “Quella fiamma, che l’petto m’accende”. Scenicamente è deliziosa nei panni di un libertino azzimato e femmineo, una sorta di Cherubino passato per le cure del marchese de Sade. Nei panni di Tusnelda alla liliale Layla Claire subentra Lauren Snouffer soprano lirico dalla voce più piena e corposa anche se sempre di timbro chiaro e luminos0. Vocalmente sicura su tutta la gamma – comprese le non facile salite in acuto di “Va, combatti ancor da forte” – sembra però prediligere i noti melanconici e dolenti che di Tusnelda sono forse la cifra stilistica più caratteristica. La bella figura – bionda, elegante nel gesto e nei tratti da vera principessa – e la curata recitazione la rendono pienamente efficacie anche sul piano scenico. Voce imponente ma canto un po’ greve per il Segeste di Pavel Kudinov aiuta dal fatto che il ruolo sembra spesso spingere in tal senso e ben centrato Owen Willetts nella breve parte di Tullio.
E’ però la parte scenica quella che attira maggiormente l’attenzione e che richiede un’analisi più approfondita. Il passaggio di Max Emanuel Cencic al doppio ruolo di cantante e regista può dirsi pienamente riuscito e la conoscenza del teatro barocco che possiede si ritrova tutta anche nella lettura teatrale proposta. Spettacolo tradizionale? Spettacolo moderno? Quello di Cencic è un allestimento che spettacolo che sfugge da qualunque categorizzazione troppo rigida. L’uso dei costumi settecenteschi – veramente splendidi – a firma Helmuth Stürmer e Corina Gromasteanu non deve ingannare, siamo lontanissimi dai vecchi spettacoli in cui l’opera barocca era vista come una sorta di concerto in costume, quello di Cencic è autentico teatro, potremmo quasi dire teatro di regia ma con un taglio che lungi dall’appiattire il tutto in un presente televisivo affonda in una serie di tematiche centrali della cultura e della storia del XVIII secolo evidenziandone la fortissima modernità senza però strapparle dal mondo in cui furono concepiti. Ovviamente il contesto romano-germanico del libretto è totalmente ignorato, per Cencic “Arminio” è una riflessione sui rapporti di potere calati nella realtà dell’assolutismo illuminato. L’ambientazione più che all’epoca di Händel ci porta nella seconda metà del secolo, in una società aristocratica scossa tra tremiti rivoluzionari. Arminio è un sovrano illuminato di Antico Regime, i romani sono rivoluzionari, quasi giacobini, Segeste il nobile che passa con i ribelli in quanto vede in essi il partito vincente. Alla fine l’ordine è restituito ma Cencic non s’illude, ogni potere specie se autocratico si regge sulla violenza e la decapitazione dei vinti che chiude l’opera non fa che rimarcarlo.
La recitazione è molto curata, sempre teatrale, e sono molto le scene che meriterebbero di essere ricordate. Fra le altre l’inizio del II atto con il giudizio di Arminio trasformato in un vero e proprio tribunale rivoluzionario degli anni del Terrore dove di fronte ai dubbi di Vari si levano l’implacabilità di un Segeste Fouquier-Tinville e il rabbioso revanscismo del sanculotto Tullio. Ma altrettanto intensi sono i momenti più intimi come lo struggente incontro fra Arminio liberato e Tusnelda prima della battaglia di Teutoburgo. Cencic non manca di ironia e quando può alleggerisce il clima altrimenti molto cupo della vicenda. Destinatari dei momenti più leggeri sono Sigismondo e Ramise che compaiono dopo una notte di follie in un boudoir di sapore sadiano e a cui il regista affida il ruolo di incarnare lo spirito libertino del Settecento. Spettacolo di certo non convenzionali  assolutamente da conoscere per tutti gli appassionati di opera barocca e non solo.