Luglio Musicale Trapanese 2019: “Orphée aux enfers”

Ente Luglio Musicale Trapanese 2019, Chiostro di San Domenico
“ORPHÉE AUX ENFERS”

Opéra-féerie in due atti e dodici quadri su libretto di Hector Crémieux e Ludovic Halévy.
Musica di Jacques Offenbach
L’Opinion publique  MARTA BIONDO
Eurydice  FEDERICA SARDELLA
Orphée DIDIER PIERI
Aristée-Pluton  MARCELLO NARDIS
Vénus  LAURA DELOGU
Cupidon  LARA ROTILI
Mars  LUCA VIANELLO
Jupiter  PAOLO INGRASCIOTTA
Diane  MIRIAM CARSANA
Minerva  CHIARA CABRAS
Junon TIBERIA MONICA NAGHI
Mercure  ROBERTO DE GENNARO CRESCENTI
John Styx  GIANLUCA MORO
Orchestra Coro e Corpo di Balllo del Luglio Musicale Trapanese
Direttore Andrea Certa
Maestro del Coro Fabio Modica
Regia Natale De Carolis

Scene Maddalena Moretti, Giorgia Ruzzante
Costumi Simone Martini
Coreografia Patrizia Lo Sciuto

Luci Nevio Cavina
Nuovo allestimento del Luglio Musicale Trapanese 
Trapani, 28 luglio 2019

Una gran bella scommessa, pienamente vinta (anzi, stra-vinta) questa dell’ Orphée aux enfers di Offenbach andato in scena a Trapani nella Stagione del Luglio Musicale. Accanto, infatti, alle note e sentitissime Traviate, Cavallerie e Pagliacci estivi l’Ente propone quest’anno il titolo più celebre del compositore per festeggiarne i 200 anni dalla nascita. Edizione originale in 4 atti, accorpati per l’occasione in due, ma assolutamente “filologica”, senza riduzioni, in lingua francese anche nei numerosi, ma necessari, recitativi. Operazione coraggiosa e giusta che ha pienamente ripagato gli intenti regalando un allestimento, nel complesso, di assoluto livello cui ha corrisposto un successo di pubblico meritato e convinto. A cominciare dalla regia di un veterano come Natale De Carolis, (proprio lui!) grande cantante egli stesso, che si è cimentato in una lettura asciutta ed essenziale, mantenendo intatta la leggerezza, la brillantezza di questo pezzo di teatro: il “piccolo Mozart dei Campi Elisi”, così Rossini definiva il buon Offenbach, scrive musica che va da sola e lascia gli interpreti liberi di “agire” il teatro. De Carolis con l’aiuto intelligente, per scene e costumi, di Maddalena Moretti, Giorgia Ruzzante Simone Martini, ha assecondato questa linea puntando su una regia asciutta, mai ammiccante, o enfatica, ambientando lo svolgersi della vicenda in una classicità museale, minimi i riferimenti: il grano, il serpente, il violino di Orfeo, la morte di Euridice, senza praticamente cambi scena – dove i personaggi quasi senza tempo hanno animato la vicenda con trovate geniali, una per tutte: i poster con le fotografie di Giove di volta in volta con una amante diversa,  srotolati in presenza di Giunone. De Carolis è uomo di teatro e si vede. In tempi di opera low-cost (che adesso sembra quasi una moda), a  scarsità di risorse si muove l’ingegno, quando questo (e il saper fare) c’è. E qui ce n’è da vendere. Una geografia precisa, rettilinea, sono questi i fili della narrazione, che sostiene, open-air, tutti i cantati cui va, nessuno escluso, il più vivo apprezzamento. A cominciare dalla protagonista Euridice, interpretata dalla giovanissima Federica Sardella che canta il suo ruolo (abbiamo nelle orecchie la leggendaria interpretazione di Natalie Dessay)  con una ragguardevole linea di canto, morbidezza ed eleganza, seduce nei centri e brilla nelle note acute; suo degno compagno l’Orphée di Didier Pieri, tanto raffinato quanto espressivo, (forse appena sottotono negli interventi en prose) canta con gusto e suggestiva morbidezza; Bravo Paolo Ingrasciotta che interpreta un Giove baldanzoso e grottesco, così comme il faut e che ci è parso perfetto nel duetto della mosca. Miriam Carsana ha interpretato una Diana nobile e vocalmente a fuoco, con bello sfoggio di  una vocalità piena e sana. Altrettanto dicasi per il Cupido di Laura Rotili, preciso, puntuale, e teatralmente molto efficace. Bene i due tenori Styx e Mercurio, rispettivamente Gianluca Moro e Roberto de Gennaro Crescenti, forse quest’ultimo non sempre agevolato dall’orchestra nella sua aria; Giunone, Venere, Minerva (Tiberia Monica NaghiLaura DeloguChiara Cabras) hanno brillato per simpatia e per puntualità in tutti gli interventi solistici e negli insiemi. Corretto l’accento di Marta Biondo (l‘Opinion publique), forse in questo allestimento un poco troppo ”sacrificata” negli interventi recitati, ma brillante l’idea di farla sporgere dall’alto del verone. In evidenza anche il Marte dalla voce importante di Luca Vianello. A fare da perno alla vicenda è Plutone, uno pseudo-Figaro (ma per caratteristica ed attitudine più vicino a Don Giovanni) dei tempi di Napoleone III, interpretato da Marcello Nardis che è stato il vero ed indiscusso protagonista della serata: verve e temperamento fuori dal comune, un vero mattatore, per intenzioni, accenti e per l’uso del suono, anche parlato, un francese perfetto – che raggiunge la massima espressività attoriale. Nel primo atto, sotto le finte spoglie di Aristée, il pastorello, Nardis sfoggia un canto zuccherino, con tanto di divertentissimi falsetti haute-contre, prima di ritornare alla sua natura infernale, quella di Plutone, il re degli inferi, divertito e divertente padroneggia scena e canto, sicuro e svettante come la vocalità richiede e che sa gestire con travolgente bravura. Come nel teatro classico il coro commenta e amplifica per così dire la valenza drammaturgia delle vicende sulla scena. Così come le danze, in questo caso, i balletti espressivi ed essenziali curati dalla coreografa Patrizia Lo SciutoIl Coro, preparato dal Maestro Fabio Modica ha pienamente convinto, esatte tutte le intenzioni è stato sempre preciso e puntuale. Le uniche riserve si annidano sul versante orchestrale, purtroppo per ragioni di mise-en-place, davvero sacrificato in una “buca non buca”, al lato del palcoscenico. Più volte è sembrato mancare quell’indispensabile contatto con i palcoscenico, quest’opera è fatta di dialogo tra musica e versi in un rincorrersi incalzante, quasi un mai interrotto venirsi addosso. Timbricamente soddisfacente negli esiti, il Maestro Andrea Certa ha fatto sicuramente il massimo con impegno e dedizione per difendersi da qualche scollamento di troppo tra podio e palcoscenico. Pubblico in festa con gran finale a suono di Can-Can, con torta, bon anniversaire, e Offenbach “in presenza” a prendersi i meritatissimi applausi. Forse un allestimento che meritava uno spazio più ampio e più strutturato, con buona pace del sold-out che sembrava rendere impossibile l’accesso ai moltissimi spettatori last-minute.