Georg Friedrich Händel 260: “Serse”, HWV 40 (1738)

A 260 anni dalla morte
Opera in tre atti
. Franco Fagioli (Serse), Vivica Genaux (Arsamene), Inga Kalna (Romilda), Francesca Aspromonte (Atalanta), Andrea Mastroni (Ariodate), Delphine Galou (Amastre), Biagio Pizzuti (Elviro). Il Pomo d’Oro, Cantica Symphonia. Maxim Emelyanychev (direttore). Registrazione: Lonigo (Vicenza), Villa San Fermo, novembre 2018. 3 CD DGG 00289 483 5784
Presentata a Londra il 15 aprile 1738 “Serse” rappresenta uno degli ultimi lavori teatrali di Händel e uno dei risultati più compiti della sua visione del teatro, uno dei più moderni nella sua capacità di rompere le barriere fra i generi e superare le convenzioni. La scelta di un vecchio libretto tardo secentesco che elabora con ironica fantasia suggestioni erodotee permetteva al compositore di cercare nuove vie espressive. Precedente alla netta divisione dei generi il testo era, infatti, lo strumento ideale per realizzare una commedia storica piena di brio e d’ironia dove gli ambienti e gli stilemi dell’opera seria servissero principalmente a esaltare un turbinoso vortice sentimentale sdegno di Marivaux. Ad aiutare in tal senso era la stessa struttura delle arie, più semplici e lineari rispetto a quelle in voga al tempo, più adatte a un’espressività sincera e diretta; anche la presenza di ben tre duetti andava nella stessa dimensione. La corte del Re dei Re diventa qui il palcoscenico perfetto di una serie sempre cangianti di amori e tradimenti, travestimenti e copi di scena, attraversata da una sensualità ambigua e inebriante che di quest’opera è forse la cifra più autentica.
Un’opera come questa trova necessariamente in teatro la sua piena possibilità espressiva e una registrazione solo discografica sarà inevitabilmente penalizzata, resta però il fatto che è difficile pensare a esecuzione migliore di quella proposta da questo nuovo triplo CD della DG, sicuramente una delle proposte discografiche più interessanti degli ultimi anni. Maxim Emelyanychev è sicuramente uno dei talenti emergenti della scena barocca contemporanea e alla guida della sua orchestra Il Pomo d’oro fornisce una lettura di una carica vitale così esplosiva da non far rimpiangere troppo l’assenza della scena. Le sonorità terse e luminose e i colori orchestrali ricchi e brillanti – significativa la presenza di fiati e ottoni – si uniscono a una pulsazione teatrale ed emotiva che non concede soste. Il direttore non solo fa suonare splendidamente la sua orchestra ma non perde mai di vista la dimensione teatrale che passa con piena naturalezza dall’abbandono lirico alle preziosità galanti fino a esplodere in autentici turbini di suono nelle arie di furore. Una lettura che dell’opera esalta i contrasti, le tensioni espressive, la dimensione prettamente teatrale.
Il cast è fra i migliori che si siano ascoltati in questo repertorio. Per una parte come quella di Serse di grande impegno vocale ed espressivo personalmente tendo a preferire un contralto en travesti che tende ad avere una maggior naturalezza di emissione oltre a rappresentare la scelta filologicamente più coerente, avendo Händel sempre optato per contralti donna in mancanza di evirati cantori a disposizione mentre sempre contrario fu all’impegno in queste parti di controtenori. Fatte queste considerazioni bisogna però riconoscere che Franco Fagioli è bravissimo; la voce è luminosa e omogenea, autenticamente femminile nei riflessi e priva di quelle asperità che spesso caratterizzano l’emissione dei falsettisti. Tecnicamente è fenomenale, alle prese con una delle parti più estreme di tutto il repertorio operistico mostra una naturalezza e una facilità di canto impressionanti. Il controllo del fiato è impeccabile – incedibile la capacità di tenere le note per lungo tempo – abbagliante la facilità nei più impervi passaggi di coloratura. Ma il virtuosismo non è mai fine a se stesso e Fagioli è sempre attento alla dimensione espressiva nell’estatico lirismo della fin troppo nota “Ombra mai fu” – resa con una nobile sobrietà che la eleva al di sopra del taglio troppo esangue con cui spesso è affrontata –come nella grande aria del secondo atto, quel “Se bramate” che è una sorta di enciclopedia di tutto quanto è richiesto al cantante barocco, momento di assoluta esaltazione da Händel donato alle doti acrobatiche di Caffarelli di cui Fagioli risulta pienamente vincitore. Per chiudere non meno entusiasmante “Crude furie dell’orrido abisso” con Fagioli che regge senza il minimo cedimento una tessitura estesissima – due ottave – e alcuni dei più vertiginosi passaggi di bravura dell’intero teatro barocco mantenendo anche un perfetto controllo espressivo.
Meno entusiasmante l’Arsamene di Vivica Genaux, il timbro vagamente metallico ricorda un controtenore più dello stesso Fagioli e qualche difficoltà si nota soprattutto nei passaggi più impervi. E’ però sempre una cantante molto musicale e dalle buone qualità espressive e riesce comunque nonostante qualche pecca a dare un ritratto nell’insieme convincente del principe Arsamene il personaggio più nobilmente serio dell’opera.
Semplicemente impeccabile il resto del cast. Perfetta la coppia delle rivali. Romilda è Inga Kalna, voce ampia, robusta, dal colore caldo e brunito, quasi mezzosopranile. Il fraseggio nobile e aristocratico si adatta perfettamente alla più serie e sincera delle due sorelle così come l’innegabile sensualità della voce ne esalta il potere seduttivo. La dizione italiana e ottima e colpisce la facilità nel canto di coloratura, con passaggi rapidi e precisi quasi sorprendenti considerando l’imponenza del mezzo vocale. Soprano lirico dal timbro luminoso e dall’accento di galante malizia Francesca Aspromonte è perfetta come Atalanta. Il contrasto fra le due voci funziona alla perfezione e l’ Aspromonte gioca al meglio le sue carte nel tratteggiare un personaggio sostanzialmente amabile nonostante i suoi continui raggiri. La voce è molto bella e la qualità tecnica pienamente all’altezza del ruolo – si ascolti con quanta pulizia sono compitati i trilli di “Un cenno leggiadretto”.
Perfetta come Amastre Delphine Galou che unisce alla nota qualità di canto un temperamento impetuoso e un timbro androgino che rende perfettamente credibile il travestimento da militare.
Ottimi i due bassi. Piacevole scoperta – almeno per lo scrivente – Biagio Pizzuti (Elviro) voce un po’ chiara, dal timbro quasi baritonale ma ottima dizione – fondamentale in una parte buffa – e notevole senso della parola e delle sue capacità espressive così da rendere al meglio un personaggio fortemente ironico, capace di nascondere sotto l’apparente bonomia uno sguardo sarcastico sulla realtà che lo circonda. Andrea Mastroni presta al sobrio canto del generale Ariodate il fondo velluto della sua voce; forse il maggior basso barocco dei nostri tempi Mastroni colpisce per senso dello stile e nobiltà d’accento e dispiace solo che troppo breve sia la parte affrontata.Opera in tre atti. Gaëlle Arquez (Serse), Lawrence Zazzo (Arsamene), Elizabeth Sutphen (Romilda), Louise Alder (Atalanta), Brandon Cedel (Ariodate), Tanja Ariane Baumgartner (Amastre), Thomas Faulkner (Elviro). Frankfurtner oper und museumorchester, Vocale Ensemble. Costantinos Carydis (direttore). Tilmann Köhler (Regia), Karoly Risz (scene), Susanne Uhl (costumi), Marlene Blumert (live video),Tiziano Mancini (video director).Registrazione:Frankfurter Oper, Gennaio 2017. 2 DVD /Blu-Ray UNITEL 748004
Parlando della registrazione discografica della DG abbiamo rimarcato come il “Serse” per la sua fortissima carica teatrale sembri richiedere anche la componente scenica per potersi apprezzare compiutamente. Questo nuovo DVD testimonianza di una produzione andata in scena nel gennaio 2017 alla Frankfurten Oper sembra voler smentire la precedente affermazione. Qui infatti abbiamo una parte scenica ma talmente priva di interesse da far quasi rimpiangere il solo ascolto. Quello che non convince nella regia di Tilmann Köhler non è l’attualizzazione – in fondo la vicenda narrata manca di ogni preciso riferimento, il contesto antico persiano è un mero pretesto per quello che è un raffinato gioco degli affetti – quanto la mancanza di qualunque idea narrativa. All’interno della ben misera scenografia di Karoly Risz – un astratto spazio azzurro con al centro una finestrella da cui si vede l’amato platano occupato da un grande tavolo nei primi due atti e da qualche sedia sparsa nel terzo – i personaggi portano in giro i non costumi – abiti da concerto per gli uomini, mise più sensuali e sbarazzine per le due sorelle – di Susanne Uhl senza costruire nessuna relazione, nessuna evoluzione logica mentre le poche idee registiche si riducono a trovate di dubbio gusto come la discesa dal cielo di Ariodate trasformato in Cupido con tanto di alucce d’ordinanza. Le banali proiezioni – rami del platano, cascate di rose, primi piani dei cantanti – non miglioravano la situazione. La recitazione per altro è efficacie nella sua spontaneità e tutti si muovono in scena in modo molto convincente peccate che questi movimenti procedano sistematicamente verso il nulla.
Musicalmente le cose vanno decisamente meglio anche se si resta molto lontani dall’edizione capolavoro di Emelyanychev, Costantinos Carydis dirige i complessi dell’Opera di Francoforte, si tratta di un’orchestra che suona con strumenti moderni ma che il direttore riesce a piegare a una buona resa dello stile barocco e delle sue dinamiche. Sul piano espressivo opta per una direzione dai contorni sfumati, dalla tinta prevalentemente lirica, dai contrasti attenuati in una unità molto coerente ma a lungo andare anche fin troppo omogenea; si notano alcuni interventi sull’orchestrazione come l’aggiunta di garbate percussioni nell’aria di Atalanta “Dirà che amor per me”.
Nel ruolo eponimo troviamo la francese Gaëlle Arquez. La vocalità è decisamente quella di un soprano con un preciso desiderio di riallacciarsi alla versione originale del 1738 quanto la parte di Serse fu affidata a un castrato soprano come il Caffarelli per passare poi in seguito a voci contraltili. La Arquez ha una voce agile e flessibile, di bel colore e un ottimo adattamento stilistico in questo tipo di repertorio. La si trova maggiormente portata per i momenti di maggior abbandono lirico, dove l’eleganza del canto trova di che esaltarsi, meno entusiasmante in quelli più concitati, corretti ma poveri di mordente come quel “Crude furie” dove le Dee vendicatrici sembravano già fin troppo Eumenidi pacificate. Va riconosciuto che la carenza di mordente della direzione non l’aiutava al riguardo.
Discutibile anche sul piano filologico la scelta di affidare a un controtenore la parte di Arsamene scritta per la voce femminile della Lucchesina e tanto più discutibile in quanto Lawrence Zazzo non è particolarmente entusiasmante né sul piano scenico né su quello vocale. Il timbro è particolare, tutt’altro che bello, si riconosce però una buona musicalità e un attento gioco di colori che si apprezza soprattutto nei momenti più distesi mentre quando la linea si fa più irregolare le difficoltà si fanno più evidenti. Scenicamente la figura non è delle più affascinanti e il trucco che lo fa assomigliare più a Philip Seymour Hoffman in “A sangue freddo” che a un principe da “Mille e una notte” di certo non lo aiuta.
Vocalmente fin troppo simili fra loro le due sorelle. Elizabeth Sutphen (Romilda) e Louise Alder (Atalanta) hanno due piacevoli voci di soprano lirico, musicali ed educate e sono entrambe ottime attrici. Sul piano vocale La voce della Sutphen risulta più calda e morbida, quella della Alder presenta maggiori asprezze ma nell’insieme si assomigliano davvero troppo così che una più precisa caratterizzazione dei due personaggi. Strana la scelta della regia di dare un vistoso abito rosso e movenze alquanto sensuali alla fida Romilda e vesti chiare e atteggiamenti ingenui all’intrigante Atalanta.
Bella rivelazione Tanja Ariane Baumgartner (Amastre). Si conosceva la cantante soprattutto per le prove nell’opera novecentesca e contemporanea – come la sua Agave in The Bassarids di Henze al Festival di Salisburgo 2018 – la ritroviamo qui perfettamente a suo agio nello stile barocco, di buona presenza vocale e di forte temperamento espressivo.Corretta la prova dei due bassi. Brandon Cedel (Ariodate) dispone di un interessante materiale vocale anche se richiede ancora di maturare sul versante espressivo e anche sul piano scenico risulta troppo giovanile per un ruolo autorevole di padre e guerriero come questo. Onesta la prova di Thomas Faulkner (Elviro) tenendo anche conto delle difficoltà che il ruolo presenta per un cantante non di madre lingua italiana.