Como, Teatro Sociale – Stagione d’Opera 2019-20
“LA SONNAMBULA”
Melodramma in due atti di Felice Romani
Musica di Vincenzo Bellini
Il Conte Rodolfo DAVIDE GIANGREGORIO
Teresa SOFIA JANELIDZE
Amina VERONICA MARINI
Elvino RUZIL GATIN
Lisa GIULIA MAZZOLA
Alessio LUCA VIANELLO
Un notaro CLAUDIO GRASSI
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Coro OperaLombardia
Direttore Leonardo Sini
Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Raúl Vázquez
Scene Sergio Loro
Costumi Claudio Martín
Luci Vincenzo Raponi
Nuovo allestimento dei Teatri OperaLombardia in coproduzione con Ópera Las Palmas de Gran Canaria
Como, 24 ottobre 2019
Non in molti se ne stanno rendendo conto, ma in questi ultimi anni c’è un compositore “in via d’estinzione” nei cartelloni dei teatri italiani: si tratta di Vincenzo Bellini, la cui opera – peraltro già di per sé non sterminata – viene ormai ridotta a due o tre titoli, per ragioni non meglio precisate di una generica difficoltà d’esecuzione. Grandi capolavori del belcanto italiano, come “Beatrice di Tenda”, “La straniera” o “I puritani” si incontrano sempre meno, ma anche la celeberrima “Norma”, seppure più presente, non vede la stessa frequenza che possono avere “La traviata” o “Tosca”, nelle stagioni dei teatri di tradizione come delle grandi fondazioni. È un vero peccato, se pensiamo, inoltre, che a livello europeo Bellini fu una delle grandi anime del romanticismo musicale, adorato da Chopin – che pretese di spirare sulle note della “Beatrice” suonata da un suo amico al pianoforte per ore – ma anche dalle dive Méric-Lalande, Pasta e Grisi per le quali scrisse i suoi ardui ruoli femminili; riuscì persino a mettere d’accordo Verdi e Wagner, che entrambi lo apprezzavano (specialmente il secondo, che cercò apertamente di imitarlo nel suo “Liebesverbot”). Appare dunque molto più che oculata la scelta del Teatro Sociale di Como di produrre e portare al circuito di OperaLombardia “La sonnambula”, opera senz’altro delle più celebri, ma non per questo meno apprezzate. E ancor più degna di lode la scelta di coinvolgere per lo più giovani interpreti, selezionati tramite il concorso che As.Li.Co. ogni anno bandisce. Questa scommessa si rivela, inoltre, vincente, poiché la compagine canora è il vero punto di forza della produzione, mostrandosi ben omogenea per intonazione, preparazione, disposizione scenica. Certamente ammalia Veronica Marini nel ruolo di Amina, grazie all’apparente facilità con cui percorre la sua ragguardevole estensione, la precisione nelle agilità, il fraseggio ben curato, tutto filati e mezzevoci, per descrivere una creatura diafana e pura come Amina dovrebbe essere. Unica pecca forse proprio in “Ah non credea mirarti”, che suono meno intriso di quell’aura evanescente del sonnambulismo. Anche Ruzil Gatin (Elvino) appare in ottima forma: il giovane tenore russo trapiantato in Italia ha dimostrato di essersi vocalmente consolidato rispetto alle prove degli anni passati, e può ben considerarsi una promessa del belcanto. Il ruolo di Elvino, sebbene non goda della fama di altre parti tenorili, è inoltre singolarmente complesso dal punto di vista vocale, richiede la morbidezza di un tenore di grazia unita a volumi pieni e nobili nel registro acutoa: Gatin controlla appieno i centri, e mostra venature ferrigne negli acuti, gestendo il fraseggio in maniera forse ancora acerba, ma senza dubbio efficace. Giulia Mazzola, dal canto suo, è una Lisa convincente, molto presente scenicamente e senz’altro accurata nell canto d’agilità se pur con qualche disomogeneità di emissione. Perfettibile il fraseggio, ma considerata la giovane età dell’interprete, c’è solo da ben sperare per il futuro. Molto bene anche Sofia Janelidze, pregevole mezzosoprano scuro, che modella Teresa con un canto solido, senza rinunciare al pathos del personaggio. Davide Giangregorio (il Conte Rodolfo), che abbiamo recentemente apprezzato anche nel “Guglielmo Tell”, si riconferma un basso di bel carattere, sia scenico che vocale: ha dalla sua senz’altro un mezzo considerevole e un fraseggio naturalmente nobile in linea con il ruolo. Parimenti si confermano l’interessante vocalità e la sensibilità musicale di Luca Vianello (Alessio), molto presente anche alle dinamiche sceniche. Infine, corretto anche il Notaro di Claudio Grasso. La direzione del maestro Leonardo Sini ha trovato il giusto mezzo tra spessore e delicatezza, tenendo perfettamente coesi palco e buca, e dando opportunamente largo sfogo ai cantanti. Il Coro OperaLombardia sa sempre dimostrarsi affiatato, in grado di prestarsi efficacemente alla scena come al ruolo vocale, e per questo un plauso va al maestro Massimo Fiocchi Malaspina. Il team creativo alle spalle del progetto ha, invece, conseguito risultati alterni: la scena di Sergio Loro, teoricamente spostata dal villaggio svizzero ancien régime a un albergo degli anni Trenta, mostra dei limiti, sia strutturali (composta da un praticabile il cui costante scricchiolio è stato chiaramente percepibile in sala), sia concettuali, giacché unisce un fondale art nouveau a un’attrezzeria quasi casuale – sedie ottocentesche ridipinte di lacca rossa, un tavolo e delle panche da picnic, delle palme giganti rosse anch’esse, piante di plastica. Anche i costumi a cura di Claudio Martín appaiono approssimativi – Ci lascia perplessi l’abito arancione con fusciacca viola che indossa Amina al suo apparire nel primo atto. La costruzione registica di Raúl Vázquez è abbastanza convenzionale, con momenti spesso lasciati all’inventiva dei cantanti e una sola trovata davvero riuscita, cioè la divisione dello spazio con un sipario di tulle, nel secondo quadro del primo atto, che sa creare suggestivi controluce e chiarisce la differenza tra la camera da letto del conte Rodolfo e l’ambiente ad essa esterno. Il progetto luci di Vincenzo Raponi è l’unico aspetto davvero riuscito dell’impianto scenico: con moltissimi cambi e alla ricerca costante di ritmo, le luci ottengono effetti sorprendenti, come l’improvvisa tempesta tra i due quadri del secondo atto, durante la quale lampeggiano le lampade stesse dei palchetti al ritmo dei tuoni, o i già citati suggestivi controluce della scena nella camera del Conte, che conferiscono al coro un’aria sinistra ed inquietante, come presenze spettrali che si insinuano per spiare il privato dello straniero. Il pubblico in sala, inizialmente un po’ avaro di applausi, man mano che l’opera ha preso forma e i bei talenti hanno avuto modo di esprimersi, ha mostrato vivissimo apprezzamento per il cast e per l’opera di un compositore che ci auguriamo sia destinato a ben più di un’esemporanea renaissance, ossia il pieno riconoscimento anche in questo XXI secolo. Foto Alessia Santambrogio