Venezia, Teatro La Fenice: Myung-Whun Chung, Nona di Mahler

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2019-2020
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Gustav Mahler:Sinfonia n. 9 in re maggiore
Venezia, 6 dicembre 2019
Quarto appuntamento della Stagione Sinfonica 2019-2020 della Fenice. Sul podio, Myung-Whun Chung che, in alternanza con le ultime recite del Don Carloi – un exploit, per direttore e strumentisti, che non è da tutti! –, ha guidato l’orchestra del teatro veneziano nell’esecuzione della Nona Sinfonia di Gustav Mahler. Il concerto fa parte di un progetto pluriennale di rilettura dell’opera del compositore austriaco portato avanti dalla Fenice insieme al maestro coreano: la Nona viene proposta dopo la Quinta (2017) e la Seconda (2019), e sarà seguita, nel 2020, dalla Terza.
Mahler, a cui nell’estate 1907 era stata diagnosticata una grave disfunzione cardiaca, cominciò a lavorare alla Nona nel giugno 1909 nella quiete della residenza estiva di Dobbiaco. La stesura fu portata a termine nel marzo 1910 a New York. La prima esecuzione, postuma – Mahler era scomparso il 18 maggio 1911 – fu diretta da Bruno Walter a Vienna il 26 giugno 1912.
Ultimo capolavoro sinfonico compiuto del catalogo mahleriano, la Nona fu accolta con molte perplessità dalla critica sia per l’inusuale struttura sia per le dissonanze e le bitonalità, di cui è letteralmente disseminata. Ma Schonberg e Berg ebbero parole di elogio per l’immensa, estrema fatica di Mahler, che rappresenta, per le sue arditezze armoniche, il trait d’union tra Mahler e la Scuola di Vienna, annoverando fra i suoi tratti innovativi anche la frammentazione della struttura tematica e la graduale e progressiva disgregazione del suono, che giunge ormai totalmente smaterializzato alla fine della lunga coda del movimento finale: le ultime note sono suoni isolati che svaniscono nel nulla.
La sinfonia è divisa nei tradizionali quattro movimenti ma, diversamente dalla consueta articolazione dei tempi, i due movimenti estremi sono lenti e hanno un carattere luttuoso, mentre i due centrali sono rapidi, rivelando un tono ironico e dissacratorio. Qualcosa di analogo avviene in una partitura per altri versi diversissima, ma accomunata dall’intimo legame con tragiche vicende personali dell’autore, vale a dire la Sinfonia Patetica” di Čajkovskij. Non è comunque opportuno enfatizzare le motivazioni autobiografiche – di cui peraltro era convinto Alban Berg, che vedeva nella Nona “la morte in persona” –, stando almeno alle argomentazioni di Henry-Louis La Grange, che nella sua biografia mahleriana, ne sostiene l’infondatezza. Per non parlare dell’opinione di Schönberg che, in riferimento alla Nona, nega ogni infessione patetica, soggettiva, cogliendovi la capacità, da parte di Mahler, di oggettivare tramite intuizioni di natura puramente musicale l’esperienza della morte e del distacco, cui peraltro fanno riferimento le scarne annotazioni – poi omesse nella stesura definitiva – presenti nell’abbozzo della partitura.
A questa concezione ci è sembrata affine anche la lettura di Chung, che ha teso ad evidenziare e, talora, esasperare il trascendentale costruttivismo di questa partitura, il suo sguardo profetico verso il futuro, il suo essere innanzi tutto una straordinaria architettura musicale. Magistrale, con la complicità di un’orchestra di solisti, la sua interpretazione dell’ipertrofico Andante comodo iniziale, che – costruito sull’intervallo di seconda maggiore discendente, lo stesso che ritroviamo alla fine del Lied von der Erde si svolge lento e maestoso, attraverso una serie di motivi brevi, frantumati, ognuno caratterizzato da un timbro diverso, in un fluire che appare fra l’incerto e il sospeso e in un continuo, ossessivo alternarsi fra il modo maggiore e quello minore, fino a spegnersi in pianissimo degli archi in pizzicato, dell’arpa, dell’ottavino e del flauto: una sonorità evanescente prossima al silenzio, che chiude questo sofferto commiato alla vita.
Un tono più lieve e giocoso ha dominato nei due movimenti centrali. Dapprima il Ländler di graffiante ironia di, che segna l’apoteosi di quel gusto per il grottesco, che è cifra distintiva in Mahler, una danza tradizionale in tre quarti, antesignana del tipico valzer viennese, già usata nel secondo tempo della Prima sinfonia, ma qui distorta a tal punto da diventare quasi una marcia funebre. Poi il magistrale Rondò-Burlesca – aperto da un tema dissonante eseguito dai fiati, poi trattato nella forma di una doppia fuga – caratterizzato da un vitalismo ritmico e un denso contrappunto, che ne fa un vertice della complessità polifonica mahleriana, oltre che da una strumentazione, che scompone il discorso in una frazionatissima melodia di timbri, concorrendo a suscitare incredibili effetti grotteschi.
L’orchestra ha offerto ancora il meglio di sé nello struggente, esteso movimento finale – un congedo dalla, che si fa via via più rassegnato –, il cui attacco, con l’intervento, carico di tensione degli archi, riporta in tutta evidenza all’analogo movimento della Nona sinfonia di Bruckner, uno dei maestri di Mahler al conservatorio di Vienna. L’influenza bruckneriana si coglie non solo nell’estatica maestà del primo tema, ma anche nel modo in cui si svolge il movimento, che Chung ha proposto in tutta la sua lentezza e dilatazione: l’idea tematica principale sembra crescere su stessa attraverso infinite varianti, creando l’effetto di un percorso ascensionale, che rimanda appunto agli adagi delle sinfonie bruckneriane della maturità. Indimenticabile, per la sensibilità e la concentrazione dimostrate – non solo dagli esecutori – l’ultima parte di questo movimento, il cui materiale tematico, una volta arrivato al culmine dell’intensità, viene sottoposto a un processo di progressiva dissociazione e assottigliamento, fino alle soglie del silenzio. Successo veramente strepitoso per Chung – salutato da qualche ovazione – e l’orchestra, di cui hanno meritato particolare riconoscimento gli esecutori, impegnati – sempre impeccabilmente – in interventi solistici.