Milano, Teatro alla Scala: “Roméo et Juliette”

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2019-2020
“ROMÉO ET JULIETTE”
Opera in cinque atti – Libretto di Jules Barbier e Michel Carré
Musica di Charles Gounod
Capulet FRÉDÉRIC CATON
Roméo VITTORIO GRIGOLO
Frère Laurent NICOLAS TESTÈ
Tybalt RUZIL GATIN
Pâris EDWIN FARDINI
Mercutio MATTIA OLIVIERI
Benvolio PAOLO ANTONIO NEVI
Le Duc de Vérone JEAN-VINCENT BLOT
Grégorio PAUL GRANT
Stéphano MARINA VIOTTI
Juliette DIANA DAMRAU
Gertrude SARA MINGARDO
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Maestro del coro Bruno Casoni
Regia Bartlett Sher ripresa da Dan Rigazzi
Scene Michael Yeargan
Costumi Catherine Zuber
Luci Jennifer Tipton riprese da Andrea Giretti
Maestro d’armi B.H. Barry
Produzione The Metropolitan Opera, New York
Milano, 18 gennaio 2020
La storia d’amore più celebre di tutti i tempi torna ad emozionare il pubblico milanese sulle note del Roméo et Juliette di Charles Gounod, nella stessa produzione del Metropolitan già accolta con entusiasmo alla Scala nove anni fa. Concepito per gli ampi spazi aperti del Felsenreitschule in occasione del Salzburg Festspiele 2008, lo spettacolo di Barlett Sher (ripreso da Dan Rigazzi) è d’impianto tradizionale, una cornice monumentale senza particolari pretese interpretative. La mastodontica scena fissa disegnata da Michael Yeargan mostra uno scorcio veronese delimitato dalla facciata di un palazzo rinascimentale e un’imponente colonna corinzia. L’incedere del dramma è scandito dall’ingresso di vari elementi scenici che suggeriscono l’alternanza tra ambienti interni ed esterni. Il perimetro architettonico resta lo stesso, ma ci troviamo ora nella sala da ballo nella dimora dei Capuleti, ora in una piazza tra mercati e baldacchini, ora nella stanza di Juliette con un ampio lenzuolo bianco a richiamare il letto nuziale, ora nella cella di Frère Laurent arredata da altari e candele, ora tra le lapidi della sinistra cripta dove si consumerà la tragedia dei due amanti. A restituire dinamismo e colore ad una scenografia esteticamente gradevole ma granitica e alla lunga monotona arrivano in soccorso i bei costumi di Catherine Zuber curati nella scelta dei tessuti e intensi nelle cromie (nonostante traspongano un po’ gratuitamente la vicenda nel Settecento) e gli avvincenti duelli guidati dal maestro d’armi B.H. Barry. Suggestive anche le luci di Jennifer Tipton (riprese da Andrea Giretti) che tratteggiano efficacemente l’alternanza di albe e atmosfere lunari, significativa nell’opera. Una messinscena che si rivela dunque nel complesso come un bel quadro di sfondo, che nel suo sostanziale anonimato ha il pregio di fare un passo indietro e lasciare alla musica le luci della ribalta. Se a livello registico non troviamo un particolare scavo nella psicologia dei personaggi, l’espressione dell’intensità del dramma si demanda interamente all’estro degli interpreti, al gesto scenico dei singoli, all’intezione musicale delle voci e in buca. E qui, su tutti i fronti, si vola a livelli altissimi. La raffinata concertazione di Lorenzo Viotti, talento svizzero classe 1990 già approdato sui maggiori podii internazionali, riesce in pieno a cogliere e trasmettere il senso profondo del drame lyrique mettendo al centro l’interiorizzazione del dramma e rifiutando qualsiasi grandioso effetto plateale. Una lettura intima che cresce e si evolve insieme personaggi, in un flusso omogeneo di sonorità morbide e soffuse volte ad enfatizzare l’abbandono sentimentale, ma sempre in perfetto equilibrio con gli sporadici quanto essenziali sfoghi eroici e drammatici. Da brivido, in particolare, l’estatica linea dei violoncelli che accenna al tema dell’amore in chiusura d’ouverture e si ripropone nel terzo e nell’ultimo dei quattro duetti. Ed è proprio nei duetti che esplode tutta la chimica vocale e scenica tra i due protagonisti, una coppia già ben rodata di due nomi tra i più noti del panorama lirico mondiale. In grande spolvero Vittorio Grigolo, un eccellente Roméo. La sua è una prova di grande espressività, a “trecentosessanta gradi”, dall’enfasi del gesto scenico a un canto ricco di accenti e chiaroscuri nel fraseggio. La voce è ampia, brunita, debordante nel volume e pastosa nei centri ma altresì facile all’acuto (impeccabili e ben timbrati i tre Si bemolle nell’aria “Ah! Lève-toi, soleil”, raggiante il do sovracuto in “Jour de deuil”). Ma è con la delicatezza smaltata dei pianissimi e delle mezzevoci che il tenore aretino colpisce maggiormente, dando ulteriore forza al taglio intimistico dell’orchestrazione. Da cardiopalma l’acuto quasi sussurrato nel finale ultimo (“Comme un flot de lumière se perd dans l’infini”), a sigillare definitivamente una performance che potremmo veramente definire memorabile. Interpretazione maiuscola anche per Diana Damrau, nonostante un’indisposizione annunciata in corso d’opera dopo il primo e unico intervallo. Non è certo la chiusura calante del valzer (“Je veux vivre, dans ce rêve”) commentata con disappunto da un paio di spettatori a compromettere una prova tutta in crescendo che trova il suo culmine nell’Aria del Veleno (“Viens, amour, ranime mon courage”), in cui il soprano tedesco sfoggia tutta la luminosa pienezza del suo canto. Una Juliette completa, dalla ragazza ingenua alla donna innamorata che inizialmente intimidita affronta la morte senza paura, in grado di trovare sempre i giusti accenti nella freschezza del timbro e nella calda umanità del fraseggio. Ottimo anche il folto degli altri ruoli, fondamentale in quest’opera nel delineare il contesto familiare sanguinoso che segna il triste destino dei due amanti. Eccellente il Mercutio di Mattia Olivieri, scenicamente statuario e robusto vocalmente. Degna di nota la sua elegante ballade de la reine Mab, innervata della giusta leggerezza. Annunciati indisposti dall’inizio dello spettacolo, il basso Nicolas Testè e il mezzo Marina Viotti si difendono bene nei ruoli di Frère Laurent e del paggio en travesti Stéphano. Austero ma amorevole il primo e squisitamente beffarda la seconda nella sua aria “Que fais-tu, blanche tourterelle?”, si distinguono entrambi per bel timbro ed emissione omogenea. Ruzil Gatil è un Tybalt fastidiosamente altezzoso, perfettamente in parte, dotato di vocalità chiarissima e squillo non indifferente. Buono il Capulet di Frèderic Caton, nonostante sparisca facilmente nelle scene d’insieme. Composti il Pâris di Edwin Fardini e il Duca di Jean-Vincent Blot. Ben cantata la Gertrude di Sara Mingardo, simpatica e brillante nella caratterizzazione del personaggio. Corretti anche il Gregorio di Paul Grant e il Benvolio di Paolo Antonio Nevi, solisti dell’Accademia Teatro alla Scala. Sempre eccellente il Coro preparato da Bruno Casoni, particolarmente elegante e solenne nell’ouverture-prologo e nel finale quarto, piangendo l’apparente morte di Juliette. Il pubblico, in un teatro completamente sold out, ha applaudito senza riserve tutti i protagonisti con ovazioni per Grigolo, Damrau e il Maestro Viotti. Si replica il 26 e il 30 gennaio, il 2, il 13 e il 16 febbraio. Foto Brescia & Amisano