Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: “Risurrezione”

Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
“RISURREZIONE”
Dramma in quattro atti di Cesare Hanau (dal romanzo di Lev Tolstoj)
Musica di Franco Alfano
Caterina Mikailovna (Katiusha) ANNE SOPHIE DUPRELS
Principe Dimitri Ivanovic Nekludoff MATTHEW VICKERS
Simonson LEON KIM
Sofia Ivanovna FRANCESCA DI SAURO
Matrena Pavlovna ROMINA TOMASONI
Una vecchia serva NADIA PIRAZZINI
Vera/La Korableva ANA VICTORIA PITTS
Fenicka BARBARA MARCACCI
La Gobba FILOMENA PERICOLI
La Rossa NADIA STURLESE
Una donna SILVIA CAPRA
Capo guardiano LISANDRO GUINIS
Guardiano GABRIELE SPINA
Un impiegato della stazione GIOVANNI MAZZEI
Un ufficiale/Primo contadino NICOLÒ AYROLDI
Un mujic NICOLA LISANTI
Un cosacco EGIDIO MASSIMO NACCARATO
Fedia ANTONIO MONTESI
Prima detenuta DELIA PALMIERI
Seconda detenuta MONICA MARZINI
Terza detenuta GIOVANNA COSTA
Altre detenute LIVIA SPONTON, SABINA BEANI, KATJA DE SARLO, NADIA PIRAZZINI
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Luci Ginevra Lombardo (basate sul design originale di D. M. Wood)
Nuovo allestimento del Wexford Festival Opera

 Firenze, 19 gennaio 2020
Prosegue la stagione del Teatro del Maggio con una interessante proposta: il teatro fiorentino mette in scena una produzione del festival di Wexford, noto per la riscoperta di titoli rari, dando l’occasione al suo pubblico di conoscere Risurrezione, opera di punta della produzione di Franco Alfano. Alfano ha avuto un destino strano e tutto sommato ingiusto: è noto universalmente per aver terminato la Turandot lasciata incompiuta da Puccini, sponsorizzato, ma poi anche tiranneggiato dall’onnipotente Toscanini che mise pesantemente le mani sul suo lavoro, tagliando e ricucendo un finale, inizialmente molto più interessante e pregevole, che alla fine è rimasto in repertorio nella sua versione mutilata e che non gli rende giustizia.Molto meno conosciuto è il resto della sua produzione, musica sinfonica, da camera, ma soprattutto diversi titoli d’opera, tra i quali spiccano Sakùntala e proprio Risurrezione, un lavoro giovanile che gli valse un’importante affermazione internazionale.
Il ventinovenne e ancora poco conosciuto compositore napoletano scelse il soggetto dall’omonimo romanzo di Tolstoj, una storia di caduta e redenzione intrisa di misticismo cristiano, se non di moralismo, che gli consentiva di inserirsi nel filone “russo” dell’operismo verista-naturalista in voga in quegli anni, che fondeva il sentimentalismo slavo, una certa forza barbarica e la possibilità di dipingere atmosfere di luoghi lontani, ricreando con la fantasia lo sfarzo dei palazzi nobiliari, steppe gelate, danze cosacche, canti popolari.
Alfano è da una parte ancorato al tardo romanticismo di matrice pucciniana, dall’altra si protende felicemente, senza eccessive arditezze, verso nuove soluzioni percorse dai musicisti d’oltralpe, mantenendosi sostanzialmente dentro il linguaggio tonale. Risurrezione è opera dalla costruzione solida, dalla drammaturgia efficace e coerente, in cui la musica ha pagine ispirate e coinvolgenti, specie nel terzo e quarto atto, e momenti in cui il volo si fa più basso e faticoso, ma è un lavoro che nel complesso desta interesse e suscita emozioni, che merita a pieno titolo la riproposizione e che siamo molto felici di veder messo in scena; tanto più che lo spettacolo di Rosetta Cucchi funziona benissimo, è razionale e poetico, crea personaggi credibili e pieni di forza, efficacemente sbalzati, grazie alle doti teatrali della compagnia e ai bei costumi di Claudia Pernigotti. Altrettanto belle e razionali sono le scene di Tizano Santi, una per ogni atto, efficaci sia quelle più descrittive, come la casa borghese, nella quale si respira un’atmosfera calda e affettuosa, del primo atto o la gelida stazione ferroviaria del secondo, che quelle più evocative e astratte come lo stanzone del terzo atto in cui le carcerate cuciono a macchia o la Siberia bianca, glaciale e squallida del quarto.Le luci di Ginevra Lombardo sono perfettamente in grado di accrescere l’effetto di certe trovate sceniche o registiche, come l’ingresso del Principe in carcere o il sorprendente finale simbolico e di conferire la giusta atmosfera emotiva ad ogni momento.
Anne Sophie Duprels è Katiusha, la protagonista assoluta; di lei, più che la cantante, colpisce l’interprete, la sua ammirevole capacità di incarnare i tre volti che il personaggio assume durante la sua evoluzione. Riesce ad essere credibilmente adolescente innamorata, poi creatura abbrutita dal rifiuto, prostrata dalla sofferenza e anima apparentemente perduta, e poi ancora donna resa matura e quasi santificata dal travaglio dell’espiazione. Ha tuttavia un bello strumento lirico, gestito con varietà di colori e sicurezza di emissione. La voce, inizialmente un po’ ovattata, assesta poi la proiezione e ha buona resa, sia negli acuti solidi, che nei momenti di dolcezza con suoni in piano e pianissimo limpidi e sicuri. La caratterizzazione nel complesso è notevole, anche se l’articolazione e la dizione rendono piuttosto problematico cogliere il testo. Matthew Vickers ha una voce che si intuisce robusta, di tenore lirico tendente allo spinto, ed è un interprete che cerca di colorire la frase, di essere morbido ed espressivo, ma non riesce a sintonizzarsi con l’acustica del luogo, in termini meno diplomatici la voce non corre e così buona parte delle sue lodevoli intenzioni resta sul palco; non ha le doti sceniche della sua partner femminile, ma del resto il suo è personaggio più statico, molto meno sfaccettato, che tuttavia si avvantaggia dell’imponenza scenica, appropriata al Principe ormai maturo degli ultimi atti, meno all’ufficiale ventenne del primo.
Leon Kim è Simonson: compare solo al quarto atto, ma è a pieno titolo protagonista, in mezzo ad una folla sterminata di personaggi di fianco, costituendo il terzo vertice del triangolo, ma non nel senso classico del baritono antagonista; è lui che con il consenso del principe sarà scelto da Katiusha, non per amore, ma per sacrificio, per dare pieno compimento al suo riscatto. Il giovane baritono coreano è delicato e poetico, rende con ottimo risalto la natura idealista e misticheggiante del personaggio, con la voce sicura e squillante, e il timbro giovanile che conosciamo; Alfano gli affida ben due ariosi, entrambi eseguiti con ottimo esito. Tutti i ruoli minori sono portati in scena con vocalità corretta e recitazione di alta qualità, dalla Matrena piena di simpatia di Romina Tomasoni alla Korablewa di forte impatto scenico di Ana Victoria Pitts a tutti gli altri che non nomino, ma che meritano ampiamente i loro applausi.
Francesco Lanzillotta conferma il suo eclettismo accostandosi con vigore e sicurezza ad una partitura desueta, della quale mette in luce, con l’aiuto dell’ottima Orchestra, la ricerca raffinata di colori, l’originalità della strumentazione, non mancando di sottolineare il pathos di certi schianti dell’anima con pieni orchestrali impetuosi, di grande effetto. Solo lodi merita il Coro, ampiamente impegnato e diretto con la nota professionalità da Lorenzo Fratini. Il pubblico, giunto alla terza recita, non riempie completamente il teatro, ma è piuttosto attento e caloroso; mostra di gradire sia la proposta che gli interpreti, gratificando con scroscianti applausi e ovazioni la protagonista Anne Sophie Duprels e Leon Kim. Ma gli applausi non si fanno desiderare per nessuno e alla fine dello spettacolo tutti gli interpreti, anche dei ruoli minori, sono cordialmente festeggiati. Un deciso e franco riscontro raccolgono l’Orchestra, il Coro e i rispettivi direttori.