“Il flauto magico” al Teatro Real di Madrid

Teatro Real de Madrid, Temporada 2019-2020
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Singspiel in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Sarastro ANDREA MASTRONI
Tamino STANISLAS DE BARBEYRAC
La regina della Notte ALEKSANDRA OLCZYK
Pamina OLGA PERETYATKO
Tre dame ELENA COPONS, GEMMA COMA-ALABERT, MARIE-LUISE DREßEN
Papagena RUTH ROSIQUE
Papageno ANDREAS WOLF
Monostatos MIKELDI ATXALANDABASO
Tre fanciulli CATARINA PELÁEZ, CELIA MARTOS, PATRICIA GINÉS (Pequeños Cantores de la JORCAM)
Due armati ANTONIO LOZANO, FELIPE BOU
Orquesta y Coro Titulares del Teatro Real
Direttore Ivor Bolton
Maestro del Coro Andrés Máspero
Maestra dei Pequeños Cantores de la JORCAM Ana González
Regia Suzanne Andrade, Barrie Kosky
Ideazione 1927 (Suzanne Andrade & Paul Barritt), Barrie Kosky
Animazione Paul Barritt
Scene e costumi Esther Bialas
Luci Diego Leetz
Produzione Komische Oper Berlin
Madrid, 7 febbraio 2020
Come il Singspiel prevedeva l’unione di due generi teatrali all’interno della stessa rappresentazione, il teatro recitato e quello cantato, così i registi Suzanne Andrade, Paul Barritt e Barrie Kosky hanno inteso unire il cinema d’animazione e le strutture visive dell’opera per dare forma a un originalissimo Flauto magico, originariamente prodotto per la Komische Oper di Berlin nel 2012. Il parallelismo strutturale con il Singspiel, evocato dagli stessi artisti, in realtà è piuttosto riduttivo, perché lo spettacolo del collettivo londinese 1927 produce un’omogeneità visiva che elimina qualsivoglia alternanza di forme teatrali: i dialoghi parlati sono sostituiti dalla proiezione delle parole, mentre i cantanti si impegnano in esercizi di mimo e pantomimo; sullo sfondo sonoro, un pianoforte (ma di poche pretese) accompagna lo scorrere dell’azione con musiche mozartiane più o meno interpolate, proprio come in ogni cinema degli anni Venti una pianola offriva un tappeto sonoro al fluire dei fotogrammi. Tuttavia, non è il caso di parlare di un Mozart tecnologico o post-moderno; al contrario, l’estetica privilegiata è quella del cartone animato d’antan o del film di Murnau, Wiene e Lang: un ritorno agli anni Venti, ma senza le inquietudini per quanto sarebbe accaduto di lì a poco in Europa. Non si tratta di una produzione recente, ma il Teatro Real ha visto giusto nel rimetterla in scena a Madrid, dove sta riscuotendo notevole successo e unanime consenso (con ben tredici recite a carico di due distinte compagnie vocali); in effetti, la qualità musicale dello spettacolo è molto alta, perché riunisce un gruppo di cantanti preparatissimi, guidato da un eccellente concertatore. Ivor Bolton trae dall’Orquesta Titular del Teatro Real un suono immediato e diretto, non troppo rifinito; da specialista mozartiano, il direttore persegue infatti un Mozart genuino, artigianale, spontaneo, certamente molto apprezzabile, sebbene a volte si percepisca come un’eccessiva facilità, o si provi la sensazione di aver perduto qualche particolare. La voce più educata, risonante di armonici e pastosa è quella del baritono tedesco Andreas Wolf nel ruolo di Papageno, con le cui musicalità e doti attoriali il pubblico entra immediatamente in sintonia. Garbata, con timbro capace di scaldarsi di emozione, è la voce del tenore francese Stanislas de Barbeyrac, il cui porgere diventa poco a poco sempre più convincente nel corso della recita; alcune inflessioni baritonali aiutano a caratterizzare il suo Tamino come personaggio in crescita verso l’età adulta. Il giovane soprano polacco Aleksandra Olczyc è una specialista della parte della Regina della Notte, e in effetti la esegue benissimo: affronta con prudenza la prima aria, per risparmiare tutte le forze in vista della seconda, nella quale sgrana alla perfezione tutte le note di coloratura e le puntature acute (sfortunatamente, data la conformazione della produzione, la si ascolta esclusivamente nei pochi minuti delle due arie, e per di più le si vede soltanto la testa, giacché il resto del corpo è proiezione di un gigantesco ragno che perseguita Tamino e Pamina). Molto buono Andrea Mastroni, un basso italiano che molto spesso è impegnato nelle produzioni del Teatro Real di Madrid, e sempre con ottimi risultati: l’aria di Sarastro del II atto è uno dei pochi momenti in cui il pubblico interrompe il fluire dello spettacolo per applaudire il cantante. Ritorna al Real, dopo il Rigoletto del 2015, il soprano russo Olga Peretyatko, per interpretare molto bene la parte di Pamina: anche la sua aria del II atto è uno dei numeri musicali più felici della serata.Completano il gruppo dei solisti due eccellenti comprimari di molte produzioni del Real: il tenore basco Mikeldi Atxalandabaso nel ruolo di Monostatos e il soprano andaluso Ruth Rosique come Papagena. Una menzione speciale meritano i Pequeños Cantores de la JORCAM che si alternano nelle parti dei genietti, bene istruiti da Ana González. Ottimo, come sempre, il Coro del Teatro Real preparato da Andrés Máspero. Lo spettacolo è divertente, godibile, fine, anche poetico in non pochi momenti. Si può dire che proponga un concetto alternativo di regia, in cui la presenza fisica di alcuni cantanti-attori è ridotta al minimo (come nel caso della Regina della Notte, di Sarastro e dei fanciulli genietti), perché l’obbiettivo è inscrivere la voce dentro un’entità visuale autonoma (in forma di porta o finestra aperta sulla parete che si affaccia sul palcoscenico), a sua volta animata dalle proiezioni e dal cartoon. Anche se si compiace dell’estetica del cinema muto tedesco del periodo di Weimar, l’idea registica obbedisce alla tendenza dominante della comunicazione contemporanea, in cui la sola immagine detiene il ruolo principale. Animazione, graphic novel, costumi ispirati a personaggi di celebri pellicole (dal Doktor Caligari a Buster Keaton), perfino le didascalie in caratteri gotici o espressionisti: tutto esalta l’immediatezza emozionale generata dall’immagine. L’interazione tra i movimenti reali degli interpreti e l’elaborazione elettronica del disegno è perfetta, così da risultarne accresciuta la coerenza, quasi la necessità dell’immagine stessa: i cuoricini delle tre dame che si dirigono verso Tamino per scoppiare attorno al suo capo, il gatto nero che accompagna ogni comparsa di Papageno, i lupi feroci di Monostatos o le sgargianti infiorescenze dell’amore tra Tamino e Pamina … tutto peculiare e attinente, ma tutto virtuale, e dunque fragile e sospeso.Si diceva in apertura del ripensamento del Singspiel; ebbene, eliminare l’interazione dialogica parlata significa ridurre l’opera a una giustapposizione di sublimi numeri musicali, arie solistiche o pezzi d’insieme; in una parola, vuol dire semplificare la complessità letteraria e allegorica, nonché lo stesso senso teatrale della Zauberflöte. È questa una considerazione forse pedante, ma chi non resterebbe perplesso se si decidesse di sottrarre tutti i recitativi durante un’esecuzione del Così fan tutte? Sul piano strutturale, si tratterebbe esattamente della stessa operazione. La parola, a onor del vero, ha un suo spazio di rivalsa con le apparizioni di Sarastro, proiezione di un enorme cervello meccanico in cui risaltano a lettere cubitali i termini Sapienza, Verità, Lavoro, Arte … Ma si tratta di una compensazione moralistica necessaria a giustificare lo zelo di Tamino, più che di un recupero della complessità del testo. È un peccato che, a fronte di tanta caleidoscopica immaginazione, gli oggetti magici della fiaba siano quasi irrilevanti nella dimensione visiva: né il flauto magico né il Glockenspiel appaiono mai in forma riconoscibile. Il mezzo magico ha perduto la sua attrattiva oggettuale, e occorre prenderne atto serenamente, anche quando l’opera si presenta in forma di favola; oggi la magia imprescindibile consiste in un fluire implacabile di immagini, sempre più originali, sempre più divertenti.   Foto Javier del Real ©Teatro Real de Madrid