Sergio Ragni e Rossini. Intervista al collezionista che fa rivivere il Pesarese.

In occasione del compleanno del grande compositore (nato a Pesaro il 29 febbraio 1792), Gbopera ha voluto incontrare a Napoli il più importante dei collezionisti legati alla figura di Gioachino Rossini, Sergio Ragni. L’essenza di una figura storicamente così importante continua a vivere anche grazie alla pazienza e alla dedizione di chi ha consacrato la propria vita a ricercare e ricrearne la memoria di grande della storia. Questo accade quando si è ospitati da Sergio Ragni,  immergersi – nella comodità della straordinaria Villa Belvedere – in un’atmosfera che sembra aver fermato il tempo. E questo per conoscere Sergio Ragni non solo come curatore scientifico dei materiali rossiniani o autore (si pensi all’epistolario, curato con Bruno Cagli per la Fondazione Rossini di Pesaro o alla biografia di Isabella Colbran del 2012 per Zecchini Editore), ma come uomo che ha saputo riunire in casa propria un insieme inestimabile di memorie che rendono Rossini, oggi, più vivo che mai insieme alla sua musica.
Come è iniziata la sua passione per Rossini e il collezionismo?
Sono una persona che ha nel proprio DNA il pallino del collezionismo e ho iniziato con oggetti di tutt’altra natura. Quand’ero un bambinetto raccoglievo le bottiglie di profumo che tutte le signore e signorine del palazzo nel quale abitavo, ed abito tuttora, mi tenevano da parte una volta usato il loro contenuto! Confrontarle tra loro mi permetteva di coglierne le differenze e gli stili. La musica ha sempre fatto parte della mia vita: mia madre suonava il pianoforte. Appena iniziava, mi accoccolavo per terra tra le sue gambe e il pianoforte. Poggiavo l’orecchio sul legno dello strumento per ascoltare non solo il suono ma anche le vibrazioni del legno. Per un certo periodo nella mia casa sono arrivati a coesistere quattro pianoforti, era quindi inevitabile che provassi anch’io a percorrerne le tastiere. Cominciai quindi a relazionarmi alla musica in maniera autonoma ampliando un panorama che mia madre teneva circoscritto soprattutto a Chopin, Liszt e qualche pagina operistica. Con uno dei primissimi registratori casalinghi cominciai a immagazzinare tutta la musica che trasmetteva la radio, mettendo su una collezione di bobine che più tardi misi a disposizione di alcuni amici americani che li riversavano sui cosiddetti dischi-pirata. Mi affascinava molto il mondo della riproduzione della musica, dischi, grammofoni, magnetofoni e così via. Tra i cimeli che conservo un registratore a filo, col quale riuscii a recuperare le prime registrazioni della Callas al San Carlo. L’attrazione fatale per la riproduzione sonora mi derivava forse dall’essere imparentato con la famiglia proprietaria della Phonotype Record, la più antica fabbrica in Italia di dischi fonografici. Per la loro etichetta aveva inciso molti dischi il mitico Fernando De Lucia, amico ma anche antitesi di Caruso, essendo egli l’ultimo depositario di un belcanto di diretta discendenza da Rossini. De Lucia frequentò la casa dei miei avi materni. Io ne conobbi la figlia, Rosa Ciampi De Lucia, e con lei studiai per qualche anno pianoforte. La mia formazione musicale si giovò poi moltissimo dell’attività allora fervidissima delle stagioni concertistiche dell’Auditorium della Rai e ovviamente della frequentazione del Teatro di San Carlo.
Perché Rossini?
Ha avuto sempre un posto privilegiato nei miei ascolti fin da quando ero un ragazzino. Mi prendeva, e mi prende, il ritmo irresistibile della sua musica. Mi affascinava, e mi affascina, il costante riferimento all’ideale di una musica astratta, pura, che va al di là dell’opera e al di là della parola. Rossini dice “Mentre le parole esprimono le più minute particolarità degli affetti, la musica si propone un fine più elevato. La musica è l’atmosfera morale che riempie il luogo in cui si muovono i personaggi”. A mio avviso la vocalizzazione, a volte estrema, del canto prescritto da Rossini non è altro che l’applicazione di questo principio: la necessità di svincolarsi dalla servitù della parola per far spaziare libera l’ispirazione. “Se fossi nato in Austria o in Germania – dice ancora Rossini – avrei scritto altre cose”. L’ideale di Rossini è Mozart ed è questo suo amore incondizionato per il salisburghese, ma anche per Haydn, e in seconda o terza battuta per Beethoven, che lo rende unico tra i compositori italiani. Se poi aggiungiamo a queste caratteristiche l’ironia e l’autoironia, il senso critico nei confronti dell’opera e delle sue convenzioni, mi sento di potergli assegnare la palma di primo compositore d’Italia. Nella sua produzione c’è un livello costante di alta qualità che non si riscontra in nessun altro musicista italiano. Anche la rinuncia al teatro, quand’era il compositore più ricercato e più pagato d’Europa, è un segno distintivo della incredibile capacità di Rossini di amministrare il proprio genio e le proprie risorse economiche!
Qual è stato il primo pezzo della collezione?
Dopo le raccolte di registrazioni audio ho iniziato a ricercare libri che mi facessero conoscere dati biografici e caratteriali dell’autore di siffatta musica. Le mie prime letture in ambito rossiniano sono state Bacchelli e Stendhal, libri che ancor oggi ritengo insostituibili, perché scritti da letterati e non da musicologi. Rossini è appunto un personaggio capace di suscitare curiosità e interesse anche in autori di estrazione extramusicale. Tra i letterati che si sono appassionati a Rossini sono particolarmente grato -anche a distanza di secoli!- a Lorenzo Da Ponte che, trasferitosi in America, faceva rappresentare sui palcoscenici di New York quasi esclusivamente opere di Mozart e di Rossini, quest’ultimo naturale erede del primo.
C’è un altro compositore che ha un posto insieme a Rossini nella sua collezione?
Tanti o tutti, se preferite, ma tra gli italiani dopo Rossini le mie preferenze vanno a Donizetti, anche lui allievo per qualche tempo di padre Stanislao Mattei. Donizetti poi mi fa tenerezza. E’ stato forse l’unico uomo buono del melodramma italiano. Bellini era invidioso, Verdi burbero e taccagno, Rossini prepotente e spilorcio. Io nella mia casa convivo con lui, ma ringrazio il cielo di non averlo mai incontrato di persona. Tutte le mie simpatie vanno invece alla prima sua moglie Isabella, vittima sopraffatta dall’arroganza di Rossini e soprattutto dalla determinazione delinquenziale della Pélissier, destinata a diventare la seconda moglie di Rossini. Le lettere che ci rimangono di lei sono estremamente esplicite e inequivocabili.
Contiunuiamo con la Sua collezione…
Uno dei primi cimeli fu la prima edizione della Zelmira, composta nel marzo del 1822. Scartabellavo nelle librerie di Napoli e i primi libretti che riuscivo a comperare mi sembravano una enorme conquista. Poi iniziai a ricevere i primi cataloghi delle librerie antiquarie e scoprii che gli autografi erano in vendita: non mi sembrava possibile e obbligai mia madre a darmi i soldi per comperarli. Toccavo il cielo con un dito, perché avevo un qualcosa che era stata nelle mani di Rossini. Oggi possiedo circa 500 autografi rossiniani, ma all’epoca non potevo assolutamente immaginare quante altre testimonianze autografe ancora potessero rinvenirsi.Oggi, essendo ancora l’epistolario in corso di pubblicazione (al momento siamo giunti al 1835 e quindi c’è ancora un gran lavoro da effettuare), ho la necessità di tenere tutto sotto controllo. Quasi ogni giorno arrivano segnalazioni di autografi che vanno in vendita, nelle librerie specialistiche o nelle aste. Il nostro catalogo è quindi in continuo aggiornamento.
C’è un pezzo al quale è più affezionato?
Non è facile rispondere. Probabilmente starei male se per un motivo a un altro fossi costretto a dover rinunciare a qualcosa, a prescindere dal suo valore. Dormo in quella che era la camera da letto della ‘mia Isabella’. Tutto quello che è custodito in quella stanza mi è caro. C’è un ritratto di lei realizzato da Josè de Madrazo che non cederei a nessuno e a nessun prezzo. Così come non potrei cedere il cofanetto di ‘Souvenirs de Rossini’ nel quale un estimatore del Maestro raccolse la sua penna, i suoi temperini, le sue forbicine, il distintivo della legion d’onore, gli occhiali da vista e gli occhiali da sole ed altre simili quisquilie. Dimenticavo: come rinunciare all’archivio nel quale Rossini padre raccolse tutte le lettere che il beneamato figlio gli inviava da Parigi?
Quale sarà il futuro della sua collezione?
Per il momento la scelta più saggia mi sembra quella di continuare a gestirla in prima persona ancora per un bel po’ di anni… Per i custodi che verranno dopo di me la mia raccomandazione sarà che la collezione dovrà continuare ad essere arricchita giorno per giorno e soprattutto continuare ad essere aperta ai visitatori e agli studiosi. Ho avuto il piacere di avere accolto nei miei spazi migliaia di persone con le quali mi è piaciuto condividere quello che costituisce di fatto l’arredo della mia casa.