Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione di balletto 2019-2020
“DON QUIJOTE”
Balletto in tre atti, dal romanzo di Miguel De Cervantes, Don Chisciotte della Mancia
Musica Ludwig Minkus
Coreografia Aleksej Fadeeĉev da Marius Petipa e Alexander Gorsky
Don Quijote MARCELLO PEPE
Sancho Panza MARCO SPIZZICA
Kitri/Dulcinea MARIA KOCHETKOVA
Basilio DANIIL SIMKIN
Lucia, ballerina di strada LUISA IELUZZI
Espada ERTUGREL GJONI
Due Amiche SARA SANCAMILLO, CANDIDA SORRENTINO
Gamache GIANLUCA NUNZIATA
Mercedes VALENTINA VITALE
Regina Driadi ANNA CHIARA AMIRANTE
Amorino ERICA RAIA
Orchestra e Balletto del Teatro di San Carlo
Allievi della Scuola di Ballo diretta da Stéphane Fournial
Direttore David Garforth
Direttore del Corpo di Ballo Giuseppe Picone
Scene e Costumi Viaĉeslav Okunev
Allestimento del Teatro Statale d’ Opera e Balletto di Tbilisi
Napoli, 28 febbraio 2020
In un momento in cui i teatri d’Italia sono bloccati per l’emergenza sanitaria del coronavirus, la danza a Napoli non si ferma e il pubblico affolla il Massimo partenopeo. L’allestimento del balletto Don Quojote al San Carlo ripropone, dopo sette anni dall’ultima messa in scena, un titolo molto amato dal grande pubblico per la riconosciuta gradevolezza del soggetto tratto dal grande romanzo di Miguel de Cervantes, l’orecchiabilità delle musiche di Ludwig Minkus, i virtuosismi coreutici e i caldi colori di scene e costumi. L’allestimento riproposto per il Corpo di Ballo, diretto da Giuseppe Picone, è quello Teatro Statale d’Opera e Balletto di Tbilisi. Un tripudio di colori caldi e avvolgenti grazie alle scene e ai costumi di Viaĉeslav Okunev. La coreografia di Aleksej Fadeeĉev si basa sull’impianto in tre atti di Alexander Gorsky (rivisitazione drastica di struttura e libretto della seconda versione di Marius Petipa, in cinque atti, del 21 novembre 1871 per il Teatro Bolshoj di Sanpietroburgo) andata in scena al Bolshoj il 6 dicembre del 1900, in un perfetto equilibrio di danza accademica, carattere spagnolo e cura delle individualità.
Di fatto questo balletto ha confermato la propria presenza in repertorio fino a oggi (la prima versione creata da Petipa per il Bolshoj di Mosca era maggiormente incentrata sul colore spagnolo per assecondare i gusti del pubblico moscovita, meno raffinato rispetto a quello della città dello Zar), proprio per l’intreccio efficace di due anime della danza tra loro complementari, quella accademica e quella di carattere, ma ancor più per l’impianto coreografico che sostiene e compensa la debolezza drammaturgica e musicale.
Per gli addetti ai lavori (e non) non tragga in inganno l’aggettivo originale che spesso si legge nelle didascalie che accompagnano questo tipo di riallestimenti, in realtà prodotti più o meno diversi che, per filiazione da un archetipo – il presunto originale, per l’appunto – si rigenerano sulla scena adeguandosi a corpi di danzatori sempre nuovi che si relazionano al mutar di gusto del pubblico. Una consapevolezza importante per chi siede come spettatore cosciente, ma ancor più importante per chi è sulla scena, poiché non sempre i danzatori hanno contezza di essere parte di una creazione solo apparentemente “altrui”. I loro corpi modificano e attualizzano un prodotto coreografico nel corso del tempo: un processo così naturalmente necessario e inevitabile, nella danza, da poter confermare che l’idea stessa di originale oggi non esiste, o meglio è esistita in un momento determinato e basta.
Don Quijote è un esempio di sedimentazione e rinnovamento perenne: ha il fascino della tradizione che ogni giovane danzatore sogna di incarnare e il brio della novità per ogni virtuosismo che si aggiunge in una variazione, banco di prova delle più grandi étoiles.
Ospiti di questa produzione sono stati Maria Kochetkova e Danil Simkin (nei ruoli principali si sono alternati ai solisti di casa Claudia D’Antonio e Alessandro Staiano, che brillano senza dubbio più degli ospiti dal punto di vista interpretativo e non temono troppo il confronto tecnico). Graziosa e brillante Kitri la Kochetkova, non è particolarmente comunicativa ma di bell’impatto sul pubblico per la sicurezza della tecnica; molto atteso Simkin, grande virtuoso del momento. Si tratta di un danzatore dotato di grande vigore tecnico, aplomb straordinario, definizione rigorosa e ampiamente leggibile delle battute nelle grandi cabrioles – che attirano applausi meritati e ovazioni a scena aperta – ma la natura non ha voluto donargli l’avvenenza. Poco importa in un balletto come questo, molto toglie invece ad altro. Anche il voler imitare lo stile e le posture di Mikhail Baryshnikov devia il suo talento su un manierismo evitabile.
Non brillante la prestazione dei solisti, quasi tutti in difficoltà nella gestione della coreografia; Anna Chiara Amirante è la sola ad aver retto il confronto con gli ospiti e gestito con la consueta affidabilità e fluidità la tecnica di una variazione (Regina delle Driadi) molto pesante. Spigliate e sicure le Amiche di Kitri nel I atto, Sara Sancamillo e Candida Sorrentino (quest’ultima ha perso smalto e pulizia nella variazione del Grand Pas del III atto); la bella Luisa Ieluzzi la sera della prima ha danzato con sensibile tensione scaricata sul viso e questo non le ha permesso di portare al meglio in scena le sue qualità; convincente nel ruolo del torero Espada Ertugrel Gjoni, nonostante qualche sbavatura. Il corpo di ballo maschile è apparso privo di opportuno vigore e fascino seduttivo nei Pas dei toreri: troppe individualità più attente a sorridere al pubblico che a immedesimarsi nella figura di circostanza. Nella bella danza d’insieme degli zingari spicca Carlo De Martino. Tra le figure maschili più belle in scena, Giuseppe Ciccarelli.
Ma il plauso maggiore per la compagnia va a Gianluca Nunziata per il ruolo di Gamache e a Marco Spizzica in quello di Sancho Panza. In un balletto comico come Don Quijote si tratta di caratterizzazioni importanti spesso sottovalutate o che non trovano corrispondenza in interpreti naturalmente adatti al comico (questa dote non si impara): talvolta si tratta di tristi figure dalla gestualità cristallizzata e noiosa, che non rendono giustizia al motivo per cui nasce quel ruolo, ossia strappare un sorriso spontaneo al pubblico. Al San Carlo ci sono riusciti anche per la naturale predisposizione degli artisti partenopei a incorporare una gestualità quotidiana trasferendola sulla scena. Un valore che andrebbe esportato ancora oggi, per la danza, nei teatri del mondo in cui la brillantezza mimica manca per natura.
L’orchestra, diretta dal Maestro David Garforth, è costantemente penalizzata dalla non più perfetta acustica del teatro.
Sbavature palesi sull’uso delle luci nelle repentine accensioni, soprattutto nella scena del sogno, in cui l’illuminazione prepotente e immediata non ha creato nessuna atmosfera onirica.
Caldi applausi si sono levati alla fine dello spettacolo da parte di un pubblico composto per lo più da abbonati e da giovani allievi: probabilmente il pubblico meno esigente, ma allo stesso modo portatore di una risposta che bisogna ascoltare e che decreta la riuscita di uno spettacolo. (foto Francesco Squeglia)