Giuseppe Verdi (1813 – 1901): “Stiffelio” (1850)

Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave da “Le Pasteur ou l’Évangile et le Foyer” di Émili Souvestre e Eugène Bourgeois. Luciano Ganci (Stiffelio), Maria Katzarava (Lina), Federico Landolfi (Conte Stankar), Giovanni Sala (Raffaele), Emanuele Cordaro (Jorg), Blagoj Nacoski (Federico di Frengel), Cecilia Bernini (Dorotea). Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, Andrea Faidutti (Maestro del coro), Guillermo García Calvo (direttore). Graham Vick (regia), Mauro Tinti (Scene e costumi), Giuseppe di Iorio (luci), Ron Howell (coreografie). Registrazione: Parma, Teatro Farnese, ottobre 2017. 1 DVD Naxos

Stiffelio” non è mai riuscito a entrare nel repertorio abituale delle opere verdiane più rappresentate e ancora oggi gli allestimenti restano rari eppure parliamo di uno dei lavori più originali e stimolanti della produzione giovanile verdiana. Certo l’opera manca ancora di quella perfezione formale che caratterizzerà i grandi capolavori della maturità – dal “Rigoletto” in poi – ma già ne contiene molti degli elementi seppure allo stato embrionale; inoltre le contraddizioni del predicatore scisso tra la propria immagine pubblica quasi di santo e le lacerazioni della vita privata capaci di comporsi solo nell’intima acquisizione attraverso il dolore di una morale prima solo esibita è fra le figure più originali e moderne del teatro verdiano.
L’allestimento al Verdi Festival del 2017 è stata l’occasione di riaccendere i riflettori sull’opera anche grazie a uno spettacolo destinato a rimanere fra i più discussi della storia lirica parmense. La scelta di affidare la regia a Graham Vick era già una carta azzardata e il regista inglese non ha perso l’occasione per presentare uno spettacolo spiazzante. Alle prese con uno spazio particolare e inadatto alla rappresentazione lirica come il Teatro Farnese il regista rinuncia alla canonica divisione tra palcoscenico e platea. Tutto avviene nella cavea mentre le gradinate sono occupate solo da grandi cartelloni propagandistici su cui ritorneremo. In un unico spazio si trovano il pubblico che assiste in piedi alla rappresentazione e gli artisti che cantano e recitano su piattaforme mobili con gli spettatori che si muovono all’interno dello spazio scenico divenendo essi stessi parte della rappresentazione.
Fin dall’entrata in teatro gli spettatori si trovano all’interno di una sorta di “convention” di un gruppo religioso integralista, fra manifesti che esaltano valori morali  e che verranno in parte strappati dall’irruzione di alcune contestatrici a seno nudo che tentano di impedire l’omelia di Stiffelio – e pile di libri con l’ammiccante ritratto del predicatore. Colpisce ancora una volta  la capacità tecnica di Vick di gestire un impianto scenico così complesso dove tutti recitano alla perfezione  e tutti sono perfettamente calati nella meccanismo teatrale. Temi centrali sono la violenza religiosa che si declina principalmente nell’omofobia, la denuncia dell’ipocrisia degli ambienti clericali, il plagio sulle masse di fedeli indottrinati. Lo spettacolo è condotto con indubbia coerenza anche se certi eccessi di violenza esibita e anche di  atti sessuali (come durante il duetto tra Lina e Raffaele) possono risultare forzati. Molto curata e la caratterizzazione del tormentato Stiffelio e dell’ingenuità di Lina – messa in risalto  dalle bambole e dalle coperte infantili del suo letto. Una regia divisiva, ammirevole per le qualità tecniche e per il lavoro attoriale, “fastidiosa” sul piano estetico e ideologico –  anche per l’eccesso di ideologia che caratterizza  molti spettacoli recenti di Vick – ma  qui si entra nel gusto e sensibilità personali. Forse volutamente sottotono i costumi di Mario Tinti; da notare il collarino indossato da Stiffelio, decisamente più da sacerdote cattolico che da pastore protestante, inadeguato al tema matrimoniale che domina l’opera.
Le particolarità dello spettacolo crea ovviamente ulteriori difficoltà agli esecutori, l’orchestra suona molto lontano e i cantanti seguono il direttore solo su alcuni schermi appositamente disposti. Nell’insieme la tenuta è buona e se in alcuni punti l’orchestra – diretta con solido mestiere da Guillermo García Calvo – risulta quasi soverchiante nei confronti delle voci l’impressione è che ciò sia dovuto a difficoltà di ripresa del suono. Lodevole la prova del Coro del Teatro Comunale di Bologna in molti punti costretto a cantare sparso nella platea mischiato al pubblico ma capace di fornire una prestazione pienamente all’altezza.

Luciano Ganci è uno splendido protagonista. Voce sana, robusta, squillante, di bella schiettezza tenorile domina facilmente le non poche difficoltà di una parte lunga e non facile ma soprattutto mostra una piena sintonia con il personaggio: autorevole nella predicazione, di sprezzante durezza negli scontri con Lina, autenticamente commosso nel finale quando le tante volte ripetute parole del Vangelo acquistano una nuova forza di fronte all’esperienza vissuta. Ganci è inoltre attore notevole e si muove con sorprendente facilità fra le scale e passerelle della scenografia.
Maria Katzarava (Lina). Dopo un inizio in sordina, con qualche tensione e difficoltà, nel proseguo dell’opera la voce si scalda e acquista una notevole sicurezza. Il materiale vocale è interessante, ricco e sonoro, gli acuti squillanti, l’emissione sicura. Sul piano espressivo è invece un po’ monocorde, prevale un’estroversa passionalità che segna poche evoluzioni con la crescita del personaggio, visto che la regia di Vick insista molto su questa conquista di una propria maturità da parte della protagonista.
Francesco Landolfi è una Stankar di grande convinzione ma vocalmente non sempre controllato. L’intensità del fraseggio e dell’accento emergono nei duetti con Lina e Raffaele ma la splendida aria del III atto lo vede più in difficoltà mancando in lui quella qualità del legato che del brano è la cifra essenziale. Il Raffaele di Giovanni Sala ha voce piacevole e bello slancio espressivo così da rendere la spregiudicata gioventù del giovane seduttore. Da segnalare l’ottimo Jorg di Emanuele Cordaro, autentica voce di basso calda e profonda che restituisce tutto il rigore sacrale dell’austero predicatore. Blagoj Nacoski (Federico) e Cecilia Bernini (Dorotea) affrontano al meglio le proprie brevi parti dando il loro contributo alla riuscita generale dello spettacolo.