Luigi Boccherini (1743 – 1805): “Stabat Mater” (vers. 1800)

Luigi Boccherini (Lucca 1743 – Madrid 1805)
Stabat Mater per due soprani, tenore, coro ad libitum op. 61
Stabat Mater dolorosa (Adagio flebile – Terzetto) – Cujus animam gementem (Soprano II); O quam tristis (Allegro; Adagio – Soprano I) – Quae moerebat et dolebat (Allegretto con moto – Soprano II) – Quis est homo qui non fleret (Allegro assai – Soprano I, tenore) – Pro peccatis suae gentis (Allegretto – Tenore) – Eja Mater fons amoris (Larghetto non tanto Soprano I & II) – Tui nati vulnerati; Fac vere; Juxta crucem (Allegro assai; Larghetto; Allegro come prima – Terzetto) – Virgo virginum praeclara (Andantino – Soprano I) Fac ut portem (Andantino – Soprano I) – Fac me plagis (Allegro giusto – Soprano II) –Quando corpus morietur; Amen (Andante lento – Terzetto)

Sequenza medievale, attribuita da alcuni a Jacopone da Todi, da altri a Innocenzo III o a San Bonaventura, lo Stabat Mater, pur essendo stato eliminato, per decisione del Concilio di Trento, dalla pratica liturgica, dove aveva trovato un posto stabile nell’ufficio del Venerdì precedente la Domenica delle Palme e nel rito della Via crucis, fu un testo tanto amato da rappresentare una costante fonte d’ispirazione per generazioni di musicisti. In questo testo, contrariamente alla visione tradizionale tramandata dalle Sacre Scritture che pongono l’accento, esaltandola, sulla forza morale e spirituale della Vergine nell’affrontare la terribile prova della morte di Gesù, la Madonna è presentata in tutta la sua umanità come una madre che piange per la morte del figlio. Questo carattere sentimentale e patetico, reso efficacemente da un susseguirsi di lacrime e gemiti, non poteva, però, non diventare un motivo d’ispirazione per generazioni di musicisti tanto diversi come Orlando di Lasso, Pergolesi, Haydn, Rossini, Verdi, Szymanowski, Poulenc e Boccherini che di quest’opera fece ben due versioni.
Non si conoscono perfettamente le circostanze biografiche che precedono la stesura dell’opera di Boccherini e non è facile nemmeno la ricostruzione delle date di composizione delle due versioni, come è dimostrato dal fatto che lo stesso Louis Picquot, primo biografo di Boccherini, nella sua Notice sur la vie et sur les ouvrages de Luigi Boccherini, pubblicata a Parigi nel 1851, fa una certa confusione; secondo il biografo francese lo Stabat Mater sarebbe stato composto nel 1801 e pubblicato a Parigi nello stesso anno da Siéber, ma questa affermazione è contraddetta dallo stesso Picquot che, subito dopo, rivela l’esistenza di un manoscritto di quest’opera che risale al 1781 il cui organico era formato solo da un soprano e dagli archi. L’apparente contraddizione, presente nella ricostruzione di Picquot, può essere facilmente risolta a favore dell’esistenza di due versioni diverse delle quali la seconda, per due soprani, tenore ed archi, non fu pubblicata a Parigi come vorrebbe il biografo francese, ma a Napoli, come recita il frontespizio di questa edizione:
“STABAT MATER
a tre voci con semplice accompagnamento di due Violini, Viola, Violoncello e Basso
Composto e dedicato al Sig. Vincenzo Salucci da Luigi Boccherini
in Madrid MDCCC
op.
61
La presente opera si è incisa totalmente da me Giuseppe Amiconi in Napoli 1801.”
Nel frontespizio sono contenute importanti notizie, come quella che l’opera fu composta durante il soggiorno del compositore a Madrid nel 1800 e che la prima edizione dedicata al suo amico Vincenzo Salucci fu pubblicata a Napoli l’anno successivo. L’edizione parigina, a cui faceva riferimento Picquot, risale a tre anni dopo ed è dedicata a Luciano Bonaparte. La scelta, inoltre, di sostituire l’unica voce di soprano con tre voci, che possono essere eseguite ed integrate anche con un coro, fu motivata dallo stesso Boccherini che, sulla copia manoscritta della partitura conservata presso il Conservatorio di Parigi, scrisse di aver preparato proprio per questo organico questa seconda versione:
“per evitar la monotonia di una sola voce, per la quale fu scritto, e la troppa fatica a quest’unica voce”.
Lo Stabat Mater, il cui testo, nonostante sia scritto in latino, può essere interpretato metricamente in base allo schema della poesia italiana, in quanto consta di terzine di ottonari a rima AAB  CCB, si compone di undici brani. Il primo, il cui testo recita Stabat Mater dolorósa / iuxta crucem lacrimósa / dum pendébat Fílius, è un Adagio flebile in fa minore che inizia con un’introduzione strumentale di nove misure, a cui segue l’ingresso delle voci che intervengono ad una ad una; la parte conclusiva, molto interessante, si chiude su un accordo di dominante di fa minore che funge da elemento di congiunzione con il successivo brano, il cui testo recita. Cuius ánimam geméntem, / contristátam et dolente / pertransívit gládius. // O quam tristis et afflícta / fuit illa benedícta / Mater Unigéniti! Protagonista di questo secondo brano, costituito da due versetti molto spesso separati da altri compositori, è il soprano solista che in un Allegro in 3/8 intona due frasi di sedici misure sul testo del primo versetto. Una breve coda strumentale conduce ad un Adagio dove la voce in forma di recitativo intona il versetto successivo. Anche il terzo brano, il cui testo recita: Quae moerébat et dolébat,/ pia mater, cum vidébat / nati poenas ínclit, è collegato al precedente tramite un accordo di dominante di do minore. Dopo una breve introduzione strumentale il soprano secondo canta un’aria di carattere angoscioso, mentre lo stile recitativo, affidato inizialmente al soprano primo e, poi, al tenore, si afferma nel quarto brano, il cui testo recita Quis est homo, qui non fleret,/  Christi Matrem si vidéret /in tanto supplício?//Quis non posset contristári, / piam Matrem contemplári / doléntem cum Filio ? Il quinto brano, Pro peccátis suae gentis / vidit Jesum in tormenti /et flagéllis subditum. // Vidit suum dulcem natum / moriéntem desolátum, /dum emísit spíritum, è un’aria in cui spiccano due temi che si distinguono per il loro carattere elegante. I tre successivi versetti,  Eja, mater, fons amóris, /me sentíre vim dolóris / fac, ut tecum lúgeam. // Fac, ut árdeat cor meum / in amándo Christum Deum, / ut sibi compláceam. // Sancta Mater, istud agas, / crucifíxi fige plagas /cordi meo válide, compongono il sesto brano che si distingue per una scrittura di alto magistero contrappuntistico con il violoncello solista che intona una melodia distesa e serena. I tre brani successivi, che corrispondono nel testo ai tre versetti Tui Nati vulneráti, / tam dignáti pro me pati, / poenas mecum dívide. // Fac me vere tecum flere, / Crucifíxo condolére / donec ego víxero.// Iuxta crucem tecum stare, / te libenter sociáre / in planctu desídero, formano un trittico caratterizzato dall’alternanza tra il tutti e il solo, in questo caso il tenore a cui è affidato il secondo brano e che si unisce alle altre due voci nel primo e nel terzo. L’ultimo dei tre brani è concluso da un fugato di grande suggestione. Simili sono i due brani successivi dei quali il primo si svolge sulle parole del versetto Virgo vírginum praeclára, / mihi iam non sis amára, /fac me tecum plángere ed è affidato al soprano primo, mentre il secondo, Fac, ut portem Christi mortem, / passiónis fac me sortem / et plagas recólere, è affidato all’altro. Il penultimo brano, che si svolge sulle parole Fac me plagis vulnerári, / cruce hac inebriári / et cruóre Fílii, è una fuga il cui soggetto è esposto prima dalla viola e dal violoncello nell’introduzione strumentale. Il  momento più bello e commovente dell’intera composizione è costituito, però, dalla musica dell’ultimo versetto, Quando corpus moriétur, / fac, ut ánimae donétur / paradísi glória. Amen, in cui si raggiungono toni di intensa e ineguagliabile drammaticità nell’ultimo verso.