Sergej Prokof’ev (1891-1953): “Semyon Kotko” (1940)

Opera in cinque atti e sette quadri su libretto proprio e di Valentina Katajev, dal racconto “Io, figlio del popolo lavoratore” di Katajev. Prima rappresentazione: Mosca, Teatro Stanislavskij, 23 giugno 1940.
Rappresentata per la prima volta al teatro Stanislavskij di Mosca il 23 giugno 1940, Semyon Kotko aveva avuto accoglienze contrastanti. Chi ci vide uniformità e monotonia, chi la trovo attraente e lirica. Tutti furono concordi nel convenire che Prokof’ev aveva mancato alla finalità di fare un’opera sovietica, pur rimanendo da chiarire che cosa dovesse intendersi per musica sovietica. Solo  Majakovskij, musicista di primo piano, aderì incondizionatamente all’opera di Prokof’ev, di cui era uno strenuo sostenitore.
In generale fu trovato che su Semyon Kotko gravavano fondamentali difetti del libretto, sovrabbondante di declamati e locuzioni dialettali e mancante di uno svolgimento omogeneo. Di questo avviso fu anche Nestiev, biografo di Prokof’ev. L’azione dell’opera è tratta da un racconto di Valentina Katajev, apparso nel 1937, si svolge nel Ucraina meridionale nella primavera del 1918. Dopo quattro anni di guerra il giovane artigliere Semyon Kotko (tenore) ritorna al villaggio nativo. Ama ed è riamato da Sofia Tkacenko (soprano) figlia di un vecchio ergente dell’armata dello zar e ricco possidente che non vede di buon occhio questo matrimonio.  La ragazza è invece decisa nel suo proposito di sposare Semyon che intanto chiede la sua mano. La casa Tkacenko si riempie di invitati. I colloqui di tre coppie di amanti: Semyon e Sofia, Liubka (soprano) e Zariov (baritono), marianio, Frosia (mezzosoprano), sorella di Semyon, con Mikola (tenore), sono improvvisamente interrotti dall’irruzione di una truppa di  soldati tedeschi che disperdono gli invitati e ammazzano tutti i sospetti patrioti del villaggio. Semyon  riesce a fuggire, portando con se Zariov, mortalmente ferito e raggiunge i Partigiani. Mentre i tedeschi incendiano il villaggio, Liubka, impazzita, piange il fidanzato morto.e percuotono spietatamente la madre (contralto) e Frosia. Poco tempo dopo, Semyon è raggiunto da Frosia che gli comunica che Tkacenko  ha destinato la figlia sposa a un ricco proprietario terriero, Kiembovskij. Semyon decide di unirsi alle truppe dell’Armata russa assieme a Mikola.  L’avventura volge al tragico perché Semyon e Mikola cadono nelle mani del nemico e stannno  sul punto di essere  passati per le armi quando sono liberati dai partigiani. Ora si uniranno alle truppe dei partigiani per andare a difendere altri confini russi minacciati. Sofia si riunisce all’amato Semyon.

Si delinea quindi, un conflitto tra due gruppi: i buoni, da un lato, che combattono per la rivoluzione la pace, tra i quali sono allineati Semyon,  Sofia, e i  cattivi dell’altro, i proprietari, cioè Tkacenko e Kiembovskij, gli occupanti tedeschi e i controrivoluzionari. La musica anche prende partito e si effonde, con dolcezza lirica, del sentimento dei primi, mentre si manifesta aspramente e rude, non senza satiriche ironia dalla parte degli altri. L’elemento melodico si espande con maggior calore nelle parti di Semyon e Frosia, di Zariov  e della sua fidanzata Liubka. Prevalgono, nell’opera accenti di carattere popolaresco; ma il canto popolare, introdotto alla lettera, da all’insieme un aspetto che tende a scivolare in una  antologia di etnofonia ucraina. Non come Mussorgsky, radicato nella musica popolare russa, tanto da non potersi distinguere da essa. Nel Semyon Kotko si avverte come il tradursi in pratica di una proposito al quale non sono estranee costrizioni e suggestioni di carattere esterno, date le condizioni politiche dello stato sovietico. Col passare degli anni queste condizioni si aggravano il 1948 Prokof’ev fu costretto a mortificanti ritrattazioni che pesarono molto sullo spirito di artista libero.
Più di una volta, nel corso dell’opera, il prevalere dell’elemento popolaresco, anche se può liricamente attrarre,  va a pesare sulla rappresentazione del dramma. Ad esempio, il delirio di Liubka impazzita, l’idea fissa della sua follia viene espressa in musica  con il monocorde, ostinato ripetersi di uno stesso motivo, che è  la riproduzione sonora di uno stato d’animo angosciato ma non ricreazione lirica di esso in una immagine vocale.
Ma il leone non tarda a far sentire la sua unghia, in un momento che è il migliore dell’opera e si eleva per vigore di concezione, pervaso di un senso di intima religiosità, facendo pensare a taluni accenti solenni dell’Alexander Nevsky. È la scena corale all’inizio del quarto atto durante il suffragio di due patrioti uccisi dal nemico.