Venezia, Teatro La Fenice
“OTTONE IN VILLA”
Dramma per musica in tre atti RV 729
Libretto di Domenico Lalli basato sul libretto Messalina di Francesco Maria Piccioli
Musica di Antonio Vivaldi
Cleonilla GIULIA SEMENZATO
Ottone SONIA PRINA
Caio Silio LUCIA CIRILLO
Decio VALENTINO BUZZA
Tullia / Ostilio MICHELA ANTENUCCI
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Diego Fasolis
Regia Giovanni Di Cicco
Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Luci Fabio Berettin
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 15 luglio 2020
La Fenice finalmente ha riaperto agli spettacoli dal vivo. Tra gli eventi programmati per luglio – insieme a una serie di concerti cameristici e sinfonici, e due recital vocali – spicca la rappresentazione della prima opera dopo il lockdown, andata in scena dal 12 al 15 del mese. Si tratta dell’Ottone in villa – esordio nel genere melodrammatico di un Antonio Vivaldi ormai trentacinquenne, forte di un lungo apprendistato come compositore di musica strumentale –, la cui creazione avvenne al Teatro delle Garzerie di Vicenza il 17 maggio 1713. L’opera richiede solo cinque cantanti e una piccola orchestra, senza coro o effetti scenici elaborati, nata com’è per un piccolo teatro di provincia. La scelta è stata, dunque, più che mai opportuna: ha permesso il distanziamento fra i musicisti, cui era interamente riservata la platea, mentre al pubblico erano destinati i palchi, il loggione e lo stesso palcoscenico, che si è trasformato in una platea alternativa. In esso un’installazione fissa, ideata da Massimo Checchetto, rappresenta l’ossatura della prua di una grande imbarcazione: non un relitto, ma una nave in costruzione, a simboleggiare la ricerca di nuovi approdi. Tramite un piano inclinato tale spazio si collega, senza soluzione di continuità, con la platea, originando un ampio “open space”, con lo spettacolo che si svolge su quel piano digradante e in platea, mentre il pubblico sta intorno.
Il libretto dell’Ottone in villa, confezionato con spregiudicatezza da Domenico Lalli sulla falsariga della Messalina di Francesco Maria Piccioli (1680), contiene, seppur in toni prevalentemente farseschi, una sorta di apoteosi del vizio, il cui lieto fine rappresenta un ritorno solo formale alla rettitudine. Cleonilla è la favorita dell’imperatore Ottone, ignaro che la volubile fanciulla lo tradisce con Caio Silio, del quale peraltro si è già stancata, essendosi invaghita di Ostilio. Quest’ultimo è in realtà una donna, Tullia – la precedente amante di Caio –, travestitasi per tentare di riconquistare l’amato. ‘Ostilio’ tenta di convincere Cleonilla a lasciare Caio, il quale, assistendo al colloquio tra i due personaggi, lo scambia per un loro incontro d’amore. Così avverte Ottone, che gli ordina di uccidere il presunto rivale. Ma poco dopo Tullia rivela la sua vera identità e la scaltra Cleonilla – fingendo di aver sempre saputo del travestimento – si riconcilia con Ottone, che è pronto a crederle, nonostante un suo confidente, Decio, abbia tentato, in precedenza, di aprirgli gli occhi. L’opera si conclude con il matrimonio di Tullia e Caio.
Sul piano musicale Diego Fasolis si è confermato il grande specialista del repertorio sei-settecentesco, che da tempo tutti apprezziamo. Il maestro ticinese – grazie alla sua competenza, riguardante l’articolazione, i colpi d’arco, l’uso del vibrato e quant’altro – è riuscito a sedurre il pubblico con la bellezza del suono, nonché l’eleganza e l’adeguatezza dello stile, sorretto da un gruppo di esecutori, che hanno seguito in modo encomiabile il suo efficacissimo gesto direttoriale, pur disponendo di strumenti moderni, e da un cast di giovani ma espertissimi cantanti barocchi. Dopo la spumeggiante Sinfonia in tre movimenti, dove non sono mancati saggi di virtuosismo, la scena è apparsa in tutto il suo minimalismo, certamente dovuto alle difficoltà del momento. Eppure anche in quel grande spazio vuoto, gradevolmente illuminato da Fabio Barettin , dove era tassativo rispettare le distanze tra i cantanti, il regista Giovanni Di Cicco – coreografo di fama – è riuscito a costruire una sorta di ragnatela coreografica, facendo in modo che, quando uno degli interpreti canta, gli altri agiscano contemporaneamente in un intreccio continuo. In tale spazio non caratterizzato si muovono personaggi in abiti moderni – non è una novità! – disegnati da Carlos Tieppo. Apprezzabile lo sforzo di concepire l’azione scenica a 360 gradi con i cantanti, che si rivolgono ora verso la platea ora verso il palcoscenico. Questo crea indubbiamente dei problemi di acustica per l’una o l’altra parte del pubblico, nondimeno credo che queste difficoltà non possano scoraggiare chi ama la musica, il teatro, il “nostro teatro”, che ancora una volta risorge.
Del cast abbiamo già messo in evidenza la solida preparazione, che ha permesso alle voci di affrontare brillantemente questo non facile repertorio, con particolare riguardo al fraseggio, ai passaggi di agilità, all’estensione sempre piuttosto ampia, alla variegata gamma di affetti da esprimere. A dispetto del titolo, il vero protagonista non è Ottone: maggiore rilevanza assume la sensuale Cleonilla, egregiamente interpretata sul piano vocale e gestuale da Giulia Semenzato, soprano leggero dal timbro brillante ed omogeneo, con facilità negli acuti – come si è potuto apprezzare in “Quanto m’alletta” e in “Caro bene” – e capacità di rendere contrastanti stati emotivi presenti in una stessa aria, come in “Tu vedrai s’io ti mancai e in “No, per te non ho più amor”. Analogamente rilevante è il ruolo di Caio, affidato al mezzosoprano Lucia Cirillo, che con timbro chiaro ed efficacia espressiva –, si è imposta, tra l’altro, in “Chi seguir vuol la costanza”, fra le arie preferite da Vivaldi, in “Gelosia tu già rendi l’alma mia”, concitata e densa di colorature, rese con brillante virtuosismo, con l’intermezzo di una sezione più pacata, e infine in “Guardami in questi occhi e senti”, dove spicca il violino solista – a Vicenza era lo stesso Vivaldi –, che nel finale deve improvvisare una cadenza, eseguita con impeccabile maestria da Roberto Baraldi.
Quanto ad Ottone, il contralto Sonia Prina ha delineato un imperatore combattuto tra gelosia e tenerezza: in “Frema pur si lagni Roma” tra passaggi di agilità e note ripetute, si esprime – come in altre arie – l’amore per l’adorata Cleonilla, mentre la gelosia divampa nell’aria di paragone “Come l’onda”. Tormentata da un dissidio è anche Tullia/Ostilio. Ne era interprete Michela Antenucci, un soprano brillante che ha reso efficacemente il contrasto tra lo sdegno per l’infedele Caio e il desiderio d’amore. Un conflitto portato all’estremo nell’aria “Due tiranni ho nel mio cor”, dove a una musica vivace si alternano languidi passaggi affidati ai soli archi superiori. Tenore dal timbro pieno e dotato di temperamento è apparso Valentino Buzza (Decio), segnalatosi, tra l’altro, nell’aria “L’esser amante”, caratterizzata dall’influenza francese e dai ritmi puntati. Successo pieno con lunghi applausi.