Spazio e Musica, Festival di musica antica, Edizione XXIV: “Matthäus Passion” (Passione secondo Matteo), BWV 244

Spazio e Musica, Festival di musica antica, Edizione XXIV, Teatro Olimpico di Vicenza
“MATTHÄUS PASSION” (Passione secondo Matteo), BWV 244
per soli, doppio coro e doppia orchestra, su testo di Picander (Christian Friedrich Henrici).
Musica di 
Johann Sebastian Bach
Evangelista Marcus Elsaesser
Cristo Johannes Fritsche
Soprani  Vittoria Giacobazzi, Andrea Lia Rigotti, Cecilia Rizzetto
Contralti  Anna Beke Sontag, Nina Cuk
Tenori Haruyuky Hirai, Klemens Möelkner
Bassi Mauro Borgione, Marco Saccardin
Ensemble vocale e orchestrale “Il Teatro Armonico”
Direzione Margherita Dalla Vecchia
Luci Mauro Zocchetta
Vicenza, 13 settembre 2020
Il concerto organizzato da Spazio e Musica, festival di qualità che contribuisce in maniera significativa alla diffusione della musica antica a Vicenza e dintorni, porta la celebre Passione secondo Matteo di J. S. Bach in forma semiscenica al Teatro Olimpico. Il tentativo, secondo quanto ci illustra lo stesso direttore Margherita Dalla Vecchia prima del grande cimento, è quello di dare maggiore risalto agli affetti di cui questa partitura è intrisa e che sono espressione di una comprensione profonda da parte di Bach delle forme tragiche (comprensione che tuttavia, e in maniera del tutto singolare, egli ha espresso solo in forme non teatrali). In effetti, la drammaturgia di questa epica partitura è già declinata nel dualismo delle orchestre e dei cori, nell’avvicendarsi dei solisti quali cammei che popolano il Golgota, e non ultimo, nei memorabili corali, qui adoperati in senso squisitamente antico, nella loro composta e intima compassione. D’altra parte, non c’è pagina evangelica più drammatica, ossia densa di precipitevole azione, del racconto della passione e morte di Cristo, ed infatti è un’antica tradizione darne lettura a più voci nelle liturgie parrocchiali. L’intenzione dunque, come si è visto più che motivata, è di scongelare l’etichetta ingessata e polverosa che talvolta accompagna l’esecuzione di pagine come questa, di fronte alle quali anche i più indifferenti presagiscono l’ombra del divino. Tutto ciò nella realtà è stato tradotto nell’esecuzione a memoria del primo ed ultimo Coro, e benché i singoli coristi siano rimasti ben fermi nelle loro posizioni, ciò ha aggiunto effettivamente una certa dose espressiva alla loro performance, oltre che sortire l’ovvia ammirazione degli spettatori. A memoria è stata anche la performance dei solisti e delle due figure recitanti principali, Cristo ed Evangelista. Anche la mise ha contribuito a conferire un simbolo drammatico alla scena: ogni corista indossava un foulard di un rosso fosco, che tutti insieme parevano le gocce di quel sangue sparso per l’umana redenzione; il tutto accompagnato da un sensibile progetto luci di Mauro Zocchetta.
La fatica di Marcus Elsaesser, Evangelista, è di quelle che non fanno sconti, considerando che i suoi recitativi coprono un buon terzo della partitura. Gli giova una voce leggera, agile, seppur esile, e ciò è indispensabile a sostenere una tessitura come quella della Matthäus Passion, che con i tenori è davvero inclemente, trovandosi costantemente sulla loro zona di passaggio. Alcuni ingressi vagamente incerti di Elsaesser ci hanno dato la sensazione che lo svolgersi della partitura in qualche occasione l’abbia colto di sorpresa. D’altra parte, apprezzabili sono state quelle nuances – piani ed indugi – che si è concesso qui e là nei momenti di maggiore pathos, rendendo senz’altro più fruibile il testo musicale. Di grande intensità e altissimo pregio vocale è stata l’interpretazione del ruolo di Cristo da parte di Johannes Fritsche, sontuosa voce di basso, mai sforzata e ricca di armonici. Fritsche, complice un volto azzeccatissimo per la parte di Gesù, ha restituito con grande potere comunicativo e varietà di accenti il denso recitativo bachiano, liberandolo dalle tristi pastoie di una trita e insignificante prassi cosiddetta filologica, che vorrebbe emissioni flebili e discontinue. Finalmente un barocco corretto ma appassionato, cantato da una voce potente ma usata con intelligenza. Molto vario ed interessante il parterre di solisti, numerosi quanto le arie in partitura. Pagine delicatissime nel loro saper trattare la voce umana nella sua qualità oggettiva di strumento tra gli strumenti, le arie della Matthäus Passion offrono un panorama pressoché completo dello stile vocale bachiano: tra esse troviamo l’aria di tipica distensione italiana, quella densamente cromatica, il duetto con lo strumento obbligato, col coro, con altro solista, perfino l’aria di vendetta, oltre a lunghi recitar cantando. Pagine di non facile esecuzione che, complessivamente, sono state rese con competenza e gusto dalla maggior parte degli interpreti. Nina Cuk, contralto, interpreta con timbro morbido ed elegante l’aria Buss und Reu; Vittoria Giacobazzi, soprano dalla voce duttile e brillante, porge i difficili cromatismi di Blüte nur, du liebes Herz con invidiabile naturalezza mentre nelle sue mani la sciarpina vermiglia e raccolta diviene il cuore esangue evocato dal testo. Cecilia Rizzetto, soprano leggero dal timbro adamantino e penetrante, ci offre una lettura vivida e scenicamente molto convincente dell’aria Ich will dir mein Herze schenken. Ad Anna Beke Sontag, contralto tedesco di lunga esperienza e con un vasto repertorio che comprende buona parte dell’opus bachiana, spetta l’onore di cantare il famoso Erbarme dich, mein Gott, pagina sublime in cui la richiesta di misericordia del solista è intrecciata alla linea del violino come edera ad un tronco. La Beke ottiene un’esecuzione commossa e dai lunghi respiri, capace di adagiarsi nel tempo ma giungendo sempre puntuale agli appuntamenti cadenzali. Un’interpretazione complessivamente abbastanza riuscita, penalizzata solo da una certa opacità di timbro. La performance del soprano Andrea Lia Rigotti è quella di cui serbiamo un ricordo più vivo: la sua interpretazione ha letteralmente acceso un faro sull’aria Aus Liebe will mein Heiland sterben, eseguita con inarrivabile delicatezza e soavità di canto. Il comparto tenorile è stato forse quello meno solido. Haruyuky Hirai accusa perdite di intonazione e una dose di fatica nell’aria con coro Ich will bei meinem Jesus wachen, pagina obbiettivamente assai ardua, mentre il suo collega Klemens Möelkner si destreggia meglio nell’impervia aria Geduld, wenn mich falschen Zungen stechen, ma smarrendone, a nostro avviso, la carica esplosiva di lamentazione passiva-aggressiva (il testo sostanzialmente invita alla pazienza in attesa delle vendetta divina). Il basso Mauro Borgione, interprete di grande presenza scenica e dalla corda robusta, canta Mache dich, mein Herz, rein con verve leggermente al di sopra delle righe ed una pronuncia non proprio impeccabile (più volte un felt per Welt). Una musicalità più intima e meditata traspare dall’amabile esibizione di Marco Saccardin dell’aria Gerne will ich mich bequemen, basso dal timbro ricco ed avvolgente.  Note di merito per tutte le parti soliste dell’orchestra, Laura Pontecorvo (flauto traversiere), Antonello Michele e Rei Ishizaka (oboi), Francesco Galligioni (violoncello); e di particolare elogio per i primi violini Giorgio Fava e Mario Spinazzè ed il gambista Teodoro Baù che, assieme al già citato Saccardin, intesse una superlativa aria Komm, suesses Kreuz, sfoggiando un gusto agogico raffinatissimo e confezionano uno dei momenti più commoventi dell’intera esecuzione. Cori ed orchestre dell’ensemble Il Teatro Armonico sono guidati con gesto esatto ed energico da Margherita Dalla Vecchia, che stacca tempi tendenzialmente rapidi (i cori delle turbe sono da autentico cardiopalmo), e ciò conferisce una linea lunga e avvincente al disciogliersi della divina tragedia. Anche quegli affetti di cui sopra emergono abbastanza chiaramente nella loro molteplicità, coniugati ad una comprensione del tessuto contrappuntistico (Margherita, di fatti, è organista). Ottime la pronuncia e l’articolazione dei cori, come pure il contributo della fila di soprani in ripieno, schierati sul gradone più altro della tribuna palladiana, ad un passo dal finto cielo che si schiude sopra le nostre teste, terso ed infinito.