Venezia, Teatro La Fenice: “Roberto Devereux”

Venezia, Teatro La Fenice, Lirica e Balletto, Stagione 2019-2020
ROBERTO DEVEREUX”
Tragedia lirica in tre atti, Libretto di Salvadore Cammarano.
Musica di Gaetano Donizetti
Elisabetta, regina d’Inghilterra ROBERTA MANTEGNA
Lord duca di Nottingham ALESSANDRO LUONGO
Sara, duchessa di Nottingham LILLY JØRSTAD
Roberto Devereux, conte d’Essex ENEA SCALA
Lord Cecil ENRICO IVIGLIA
Sir Gualtiero Raleigh LUCA DALL’AMICO
Un paggio EMANUELE PEDRINI
Un familiare di Nottingham CARLO AGOSTINI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Alfonso Antoniozzi
Light designer Fabio Barettin
Allestimento in forma semiscenica della Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 15 settembre 2020
Roberto Devereux o il conte d’Essex torna al Teatro La Fenice dopo quarantott’anni di assenza in forma semiscenica con la regia di Alfonso Antoniozzi, le luci di Fabio Barettin, la direzione musicale di Riccardo Frizza e un cast prestigioso che, in particolare, vede nel ruolo di Elisabetta Roberta Mantegna – recentemente applaudita dal pubblico veneziano in Aida – e nel ruolo eponimo Enea Scala – anch’egli già fattosi apprezzare alla Fenice in Semiramide. La scelta di questo lavoro operistico, in un tribolato periodo di pandemia, assume una qualche valenza simbolica, se si considera il fatto che Donizetti, allora residente a Napoli, attese alla composizione del Devereux, mentre il colera dilagava nella città. Tra le vittime fu anche Virginia Vasselli, l’amata moglie del musicista, che poche settimane prima aveva dato alla luce un bambino, spentosi poche ore dopo. L’opera andò in scena per la prima volta al Teatro San Carlo il 28 ottobre 1837, rivelandosi uno dei lavori più vitali di Donizetti: a Napoli venne rappresentata quasi ininterrottamente fino al 1848, ma nel corso dell’ottocento ebbe successo anche in Europa e in America. Poi, dopo l’ultima rappresentazione a Pavia, nel 1882, scomparve dalle scene, fino al 1964, quando Gianandrea Gavazzeni, trasse quest’opera dall’oblio, avendo a disposizione un’interprete del livello di Leyla Gencer. Da allora essa è rientrata abbastanza stabilmente nel repertorio donizettiano.
Con il Devereux si chiude la fortunata trilogia di opere del compositore bergamasco, ispirate alle regine Tudor, dopo Anna Bolena (1830) e Maria Stuarda (1835). Al centro della vicenda è la gelosia della regina Elisabetta per il suo favorito, il conte d’Essex, da cui sospetta di essere stata tradita. Cammarano – ispirandosi alla tragedia Élisabeth d’Angleterre di Jacques-François Ancelot – consegnò al compositore un dramma a tinte fosche, caratterizzato da un ritmo incalzante, che Donizetti assecondò, puntando alla concisione; il che rappresenta un punto di svolta nella sua drammaturgia musicale. Aspetti nuovi si colgono anche in Elisabetta: un personaggio profondamente tragico, dal notevole spessore psicologico – caratteristica, quest’ultima, che la distingue rispetto alle altre due regine Tudor della ricordata trilogia – e dalla vocalità virtuosistica ed impervia. Minimalista, per forza di cose, era la messinscena all’interno dell’installazione fissa in legno, che ha la forma della chiglia di una nave, ideata da Massimo Checchetto per gli spettacoli, che si sono succeduti a partire da luglio. Scarni gli elementi d’arredo, ma efficaci nel caratterizzare i vari ambienti: da quelli più paludati alla squallida prigione, ove langue Roberto. Sempre adeguate ai vari momenti del dramma le luci di Fabio Barettin. Sobria ed espressiva la gestualità degli interpreti, secondo la concezione registica di Alfonso Antoniozzi.
Sul versante musicale, Riccardo Frizza ha offerto una lettura diffusamente vigorosa e appassionata di questa partitura – eseguita praticamente senza tagli –, come si è potuto evincere fin dall’ouverture, composta da Donizetti nel 1838, in occasione della prima parigina al Théâtre Italien, utilizzando il tema della cabaletta di Roberto “Bagnato è il sen di lacrime”. Sorretto da un’orchestra, che ha confermato la sua impeccabile padronanza tecnica, coniugata alla più adeguata espressività, il maestro bresciano ha guidato con gesto autorevole e sensibile i cantanti in questa non facile prova.
Mattatrice della serata è apparsa Roberta Mantegna, che interpretava il ruolo di Elisabetta, più rilevante anche rispetto a quello dell’eroe eponimo. Soprano dalla voce squillante e dal timbro puro, ha brillato da subito nella cavatina “L’amor suo mi fe’ beata”, ricca di pathos, come nella successiva cabaletta “Ah! ritorna qual ti spero”, esempio di canto di forza, con accenti in contrattempo e volatine. Tale si è confermata nel prosieguo dell’opera fino alla scena finale, in particolare in “Vivi, ingrato, a lei d’accanto”, aria difficile, estesa anche in basso, dove domina una lunga melodia, e nell’altra aria sublime “Quel sangue versato”.Via via sempre più convincente si è rivelata la prestazione del mezzosoprano Lilly Jørstad nei panni di Sara, duchessa di Nottingham: penalizzata forse dalla voce ancora fredda nella cavatina “All’afflitto è dolce il pianto”, si è riscattata poi pienamente come si è colto nell’arioso “Tutto è silenzio!…” e nel successivo cantabile “Dacché tornasti, ahi misera!” e insieme a Enea Scala (Roberto) nella cabaletta “Oh, reo destin crudel!…” , che ricorda la situazione del finale primo della Lucia. Enea Scala nel ruolo di Roberto Devereux si è rivelato un tenore generoso, dal timbro virile, che nella scena dell’“orrida prigione”, in cui langue lo sfortunato conte, ha sedotto il pubblico, interpretando con efficace espressività la struggente aria “Come uno spirto angelico”, in cui si celebra l’immagine angelicata di Sara, e nella successiva cabaletta “Bagnato il sen di lacrime”, strappando applausi a scena aperta. Pienamente convincente è risultato il duca di Nottingham, delineato da Alessandro Luongo, baritono dotato di una voce dal nobile metallo, come si è colto nell’aria “ Forse in quel cor sensibile”, dove il personaggio oscilla tra lo sconforto per l’inspiegabile melanconia di Sara e la gelosia, di cui peraltro subito si pente, oltre che nell’appassionata cabaletta “Qui ribelle ognun ti chiama”. Sempre incisivi nel fraseggio – al pari, peraltro, dei ruoli principali – sono apparsi il tenore Enrico Iviglia, quale Lord Cecil e il basso Luca Dall’amico (Sir Gualtiero Raleigh). Adeguata professionalità hanno dimostrato Emanuele Pedrini (Un paggio) e Carlo Agostini (Un familiare di Nottingham). Il pubblico ha espresso il suo deciso gradimento per lo spettacolo con reiterati, calorosi applausi. Foto Michele Crosera