Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791): “La clemenza di Tito” K.621

Dramma serio per musica in due atti su libretto di Caterino Mazzolà, da Pietro Metastasio. Prima rappresentazione: Praga, Teatro Nazionale, 6 settembre 1791
Si è spesso sostenuto che La clemenza di Tito sia stata per Mozart “una momentanea concessione all’estetica convenzionale dell’Opera seria” (Massimo Mila). In realtà l’obiettivo di scrivere una grande opera drammatica, dopo il capolavoro giovanile dell’Idomeneo, non era mai venuta meno per Mozart, certamente desideroso di applicare anche in questo campo le proprie idee innovative. È possibile che il compositore sia stato in qualche modo condizionato dagli strettissimi tempi di lavorazione; ma questo certamente non significò disimpegno. Contraddistingue la partitura de La clemenza di Tito la ricerca di una cifra espressiva neoclassica, basata sull’impiego di sonorità andhandeliane (ammirabili  in tal senso le marce e i cori, di aulica grandezza) e di una scrittura vocale virtuosistica ed espressiva. Perfetta e la definizione dei singoli caratteri. Vitellia possiede frasi angolose e sbalzi di tessitura che restituiscono il suo carattere volitivo. Mozart le dedica due grandi arie parentesi “Deh, se piacer mi vuoi” nel primo atto e il rondò “Non più di fiori” nel secondo (di temibile impegno esecutivo).

Sesto è invece una castrato-contralto chiamato a un fraseggio elegiaco e a virtuosismi che esprimono la sua passione. Due sono le grandi arie che Mozart gli affido: “Parto, ma tu ben mio” nel primo atto e il grande rondò “Deh, per questo istante”; entrambe hanno un iniziale sezione contemplativa seguita da una sezione dinamica di grande difficoltà. Mozart aveva portato a Praga, fra l’altro, l’amico clarinettista Anton Stadler, e questo è il motivo per cui Vitellia e Sesto duettano, ciascun in un’aria, con uno strumento concertante della famiglia dei clarinetti (corno di bassetto per “Non più di fiori” di Vitellia e clarinetto di bassetto per “Parto, ma tu ben mio” di Sesto). Anche Tito è scolpito in modo infallibile:ha arie diversificate che ne illustrano tanto l’aspetto magnanimo (“Ah, se fosse intorno al trono” , “Se all’Impero”) che quello del dubbio (“Del più sublime soglio “). E non meno precisa è l’immagine dei personaggi minori: Servilia (” S’altro che lagrime”), Annio (“Torna di Tito a lato”) e Publio (“Tardi s’avvede” ). La  poetica degli affetti della vecchia opera seria si rinnova con una ricchezza espressiva di grande preziosità. Ma più ancora delle arie si impongono i pezzi d’insieme: i brevi duetti fra Vitellia e Sesto (“Come ti piace, imponi) e fra Sesto e Annio (“Deh, prendi un dolce amplesso”), in cui Mozart raggiunge bellissime concentrazioni espressive; e i terzetti, che contrappongono i personaggi lasciando a ciascuno il suo profilo.
Soprattutto il finale primo, animato da differenti sezioni contrastanti, giunge a una tensione drammatica che costituirà un autentico modello. Si apre di fatto con il terzetto “Vengo, aspettate”, una sorta di aria agitata di Vitellia con i commenti di Annio e Publio; segue il lungo recitativo accompagnato in cui Sesto si tormenta per il prossimo delitto; la scena dell’incendio vede le grida del coro fuori scena, l’ingresso successivo dei vari personaggi, e una sobria trenodia per Tito (che tutti credono morto), che conclude in un estatico dolore. Abbiamo qui una cifra peculiare, che coniuga senso delle proporzioni architettoniche, una bella contemplazione dell’affetto, tornitura del dettaglio: elementi che convergeranno di lì a poco nella poetica neoclassica. Non a caso, La clemenza di Tito ebbe larga diffusione In italia nei primi decenni dell’Ottocento, arrivando a influenzare anche Rossini. Note storiche e libretto in allegato

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