Come nacque Falstaff, ultimo titolo del catalogo Verdiano? Quali furono le fasi della lunghissima gestazione? Come Verdi lavorò per costruirne la struttura e l’orchestrazione? A dare risposte a queste domande è volto il progetto di ricerca della dott.ssa Vincenzina Ottomano, vincitrice della XIX edizione del Premio Internazionale Rotary Club Parma «Giuseppe Verdi», ideato e finanziato dal Rotary in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani. Per farlo, la dott.ssa Ottomano (senior researcher presso l’Istituto di Musicologia dell’Università di Berna e collaboratrice scientifica del Centro Studi Luciano Berio di Firenze) lavorerà in particolare su schizzi e abbozzi autografi di Giuseppe Verdi provenienti da Villa Verdi a Sant’Agata, attualmente conservati presso l’Archivio di Stato di Parma.
Perché ha scelto Falstaff come oggetto della sua ricerca?
«Questo progetto è nato come una sfida, come del resto fu una sfida la composizione dell’opera. All’epoca Verdi, pur già il massimo compositore italiano, aveva superato da un po’ il settantesimo compleanno e nessuno avrebbe potuto immaginare che potesse cimentarsi nella composizione di un’altra opera. Falstaff inoltre è una commedia, un genere che aveva sempre affascinato Verdi – nonostante il sonoro fiasco del primo tentativo con Un giorno di regno. Ma a fine Ottocento, questo genere non aveva più quell’importanza che aveva goduto durante la stagione di Rossini e Donizetti. Anche per questo Falstaff lasciò pubblico e critica senza parole: la complessità delle strutture, i nuovi colori timbrici, il linguaggio musicale e quello del libretto di Boito, sempre al confine tra triviale e citazioni colte, ne facevano un’opera “difficile” da comprendere».
Quali e quanti sono i documenti relativi a Falstaff presenti a Parma?
«È difficile fare una stima precisa, perché ancora non ho avuto visione diretta di questi materiali, ma mi sono basata su alcuni dati forniti in una prima descrizione curata dalla dott.ssa Alessandra Carlotta Pellegrini (già direttore scientifico dell’INSV), pubblicata in uno degli ultimi numeri dell’annuario Studi Verdiani. Sappiamo che ci sono tre buste che riguardano Falstaff, contenenti 446 «mezzi fogli», corrispondenti a 892 pagine. Si tratta di materiali molto eterogenei: frammenti, schizzi, abbozzi, note manoscritte. Ma è possibile che carte relative a quest’opera siano anche “migrate” in altri fascicoli, quindi sarà necessario passare in rassegna anche documenti relativi ad altre opere».
Cosa si aspetta da questa ricerca?
«Questi manoscritti sono come una macchina del tempo, attraverso di loro possiamo tornare indietro e cercare di ricostruire le tappe che hanno portato alla stesura dell’opera: dall’idea germinale, a melodie elaborate, attraverso materiali che mostrano idee più avanzate, sino ad arrivare a veri e propri abbozzi continuativi di sezioni dell’opera. Tutto questo ci può raccontare come è nato Falstaff, e ci aiuta a seguire il pensiero di Verdi, i suoi ripensamenti, le correzioni, come è arrivato alla forma definitiva».
Oltre agli schizzi e abbozzi presenti nell’Archivio di Stato a Parma, quali altre fonti intende usare?
«Chiederò di consultare il carteggio Verdi-Ricordi 1889-1891, custodito presso l’Archivio Ricordi di Milano e non ancora pubblicato, e alcune carte relative a Falstaff conservate nel Museo Teatrale alla Scala, provenienti dalla collezione privata di Arturo Toscanini. Inoltre, presso l’avrò modo di visionare in copia digitale la partitura autografa di Verdi, il libretto manoscritto di Arrigo Boito e la bozza della riduzione per canto e pianoforte dell’opera con le correzioni autografe di Verdi. Cercherò naturalmente di avvalermi anche degli studi già fatti sull’argomento, per esempio quello sulla genesi del libretto boitiano svolto da Massimiliano Locanto o l’edizione degli schizzi di La traviata a cura di Fabrizio Della Seta. Infine è possibile che si trovino materiali relativi a Falstaff in altre sedi: intendo per esempio fare una ricognizione tra le carte inedite di Arrigo Boito donate da Andrea Carandini al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, nel maggio 2019, che potrebbero rivelare nuovi dettagli sul rapporto tra Boito e Verdi».
Come si articolerà la sua ricerca?
«Ho previsto più fasi. I documenti provenienti da Villa Sant’Agata sono documenti di lavoro del compositore, parte di quella che ho chiamato la sua “officina”, e per tanto non sono stati immaginati per una posterità. Sono materiali privati, su cui l’operista scrisse addirittura la frase “Abbruciate tutto questo pacco di carte”, ma chissà, magari proprio per incuriosire chi sarebbe arrivato dopo di lui. Ecco perché il primo lavoro necessario è cercare di classificare i documenti con un inventario dettagliato e di dare un ordine diacronico. Come dicevo dovrò fare ricerche anche in altri fascicoli riguardanti opere attigue. Insomma è un’indagine degna di Sherlock Holmes».
Quali le fasi successive?
«Mi concentrerò su cosa possono raccontare questi materiali: quali furono i problemi nella genesi di questa opera? Come è cambiato il modo di comporre di Verdi rispetto alle opere precedenti? Falstaff colpisce per la lunga genesi, per la fluidità della forma, per un modo di scrivere e concepire la musica molto diverso rispetto ai lavori precedenti. Il lavoro di indagine sugli abbozzi e schizzi ci può rivelare molto su questo cambiamento di prospettiva. Spero insomma di poter dare alcune risposte a domande che per molti decenni hanno tormentato gli studiosi. Infine vorrei andare oltre, con un’indagine ermeneutica su questi materiali per capire cosa rappresenta Falstaff nel panorama di fine secolo, anche in rapporto ad altri compositori contemporanei e successivi».
Questi studi potrebbero influire sulla prassi esecutiva dell’opera?
«Bisogna distinguere. Il lavoro di un’edizione critica cerca di restituire un testo più vicino possibile alle intenzioni di Verdi e soprattutto di fornire un testo “pratico” per l’esecuzione dell’opera. Lo studio di schizzi e abbozzi si occupa di materiali che, se vogliamo, raccontano l’opera “prima dell’opera”: vi sono sezioni scartate, idee allo stato embrionale che poi sono state sviluppate… un processo intellettuale. Ma ognuno di essi serve a chiarire, a gettare una nuova luce su tante problematiche sia delle edizioni sia degli esecutori. ».
Quali i tempi di svolgimento della sua ricerca?
«Credo che il limite dei tre anni possa essere rispettato. Per una prima fase della ricerca soggiornerò a Parma quattro mesi. Lo studio confluirà in un volume monografico dedicato al processo creativo di Falstaff ».
Che opportunità rappresenta per lei il Premio Internazionale Rotary Club Parma «Giuseppe Verdi»?
«Rappresenta innanzitutto la possibilità di fare ricerca in Italia, cosa non sempre facile, e di potermi concentrare su un’opera a cui tengo moltissimo. Ma rappresenta anche la possibilità di valorizzare attraverso lo studio e la ricerca un patrimonio di inestimabile valore. Il Premio Rotary ha un ruolo molto consistente nel rendere tutto questo realizzabile. A esso si aggiungono il contributo del Fondo Nazionale Svizzero e la disponibilità del Dipartimento di Musicologia dell’Università di Berna a sostenere il mio lavoro e a garantire questo primo periodo di quattro mesi per svolgere le mie ricerche a Parma».