Milano, Teatro alla Scala: Anna Netrebko in concerto

Milano, Teatro alla Scala, stagione lirica 2019/2020
Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Riccardo Chailly
Soprano Anna Netrebko
in programma pagine da opere di Giuseppe Verdi, Amilcare Ponchielli, Giacomo Puccini.
Milano, 21 ottobre 2020
In una Milano quasi spettrale, intimorita dal virus che imperversa e che spaventa, la Scala riesce ancora ad offrire  serate indimenticabili. In questo concerto del soprano Anna Netrebko, platea, palchi e gallerie erano, in qualche modo, occupati. In platea distanziamento di due poltrone vuote. I palchi con massimo due occupanti. L’impressione è però di teatro quasi completo e non si avverte lo squallore deprimente di altre sale che, con capienza di 1500 posti, possono ospitarne un massimo di 200: situazione economicamente disastrosa sia per i conti del teatro che per il godimento artistico. Eliminata la buca, il palcoscenico ha raggiunto dimensioni impressionanti, consentendo agli archi, uno per leggio (sempre con mascherina indossata), di essere in formazione completa. I fiati, spinti sul fondo, con un ulteriore incremento del distanziamento individuale.
Il programma prevede l’esecuzione alternata di una pagina orchestrale e di un’aria, tratte dalla stessa opera. Si inizia con la rara “sinfonia” dell’Aida, mai eseguita prima dell’opera, Verdi la sostituì, fin dalla prima recita del Cairo, col breve preludio. In concerto, rammentandoci vari temi che poi compariranno nell’opera, ci sta bene, e Chailly e l’orchestra della Scala la servono a meraviglia. Poi fa il suo ingresso  Anna Netrebko, maestosa e (troppo) maestosamente agghindata di rosso che par che abbiano saccheggiato tutti i sipari di tutti i teatri del mondo per vestirla. E impone il clima monumentale della serata. Un “Ritorna vincitor” debordante, possente, sostenuto da una prorompente personalità. Alcune settimane fa, corse voce che il virus avesse colpito il celebre soprano, se così è stato, non ne ha lasciato tracce. In tutta la gamma sonora esibisce sicurezza, potenza e pienezza. Gli acuti limpidi e precisi. I medi consistenti e carnosi. I bassi, forse eccessivamente iscuriti, dominano. La tecnica, sia per doti naturali che per dedizione e studio, è notevole e le consente colori e dinamiche continuamente screziate e cangianti. Ne sortisce un personaggio volitivo, certamente non una timida e schiva schiava etiope. L’Elisabetta di “Tu che le vanità”, seconda aria della serata, rimane sulle  tracce di Aida: esuberante prestazione vocale unita a qualche dubbio sulla resa psicologica del personaggio. Peccato veniale in concerto ove l’esibizione delle doti canore prevale comunque. Il pubblico ne rimane entusiasta affascinato e non si risparmia in applausi e in sonori “brava” e “bravo!”(c’eran russi in sala). Da Verdi a Ponchielli. Una spumeggiante “danza delle ore” che Chailly e l’orchestra ci servono a contrastare il successivo “Suicidio” che più cupo non si può. Dopo un breve intervallo, il tempo, oltre allo spazio, in tempi di virus, subisce costrizioni, il Cilea di Adriana Lecouvreur. Chailly attacca un preludio atto iv di magica nostalgia e poi, perla da antologia, una intensa e commovente esecuzione di “Poveri fiori”.  Abbandonato lo scialo architettonico rosso, si presenta con tubino nero, traforato vedo-non vedo, che ne ingentilisce maliziosamente la figura ed entusiasma il pubblico. Adriana c’è tutta. Sospiri, pianti e rimpianti. La voce si assottiglia in filati sospesi in aria e pur sonori. L’unità interprete-personaggio è raggiunta a un livello altissimo. La parte finale del concerto è tutta pucciniana. Il preludio atto lll di Madama Butterfly e l’Intermezzo di Manon Lescaut sono terreno d’elezione per Chailly e per l’orchestra, nessuno li conosce, li capisce e li interpreta meglio di loro. L’emozione è palpabile Il Puccini di Chailly è sempre prezioso.La Netrebko ci dà, con la ormai consueta pienezza vocale e la tragicità richiesta , “Un bel dì vedremo” e “Sola perduta abbandonata”.Forse la sua Cio-Cio-San ha di molto superato i “quindici anni netti netti”, così come la sua  Manon punta tutta su una certe esteriorità interpretativa. Anche qui la voce appare di trionfante pienezza. Agli entusiasmi e agli applausi del pubblico, pur col tempo contingentato, non poteva essere negato un bis. E così ci arriva il  valzer di Musetta (purtroppo, poco malizioso e poco valzer) a chiudere una gran serata di canto e di musica sottratta alle preoccupazioni di questi tempi difficili. Foto Brescia & Amisano