Bergamo, Donizetti Festival 2020: “Le nozze in villa”

Bergamo, Teatro Donizetti, Donizetti Festival 2020
“LE NOZZE IN VILLA”
Farsa in due atti su libretto di Bartolomeo Merelli da “I provinciali” di Kotzebue
Musica di Gaetano Donizetti con rammendo di Elio e Rocco Tanica
Sabina GAIA PETRONE
Don Petronio OMAR MONTANARI
Trifoglio FABIO CAPITANUCCI
Claudio GIORGIO MISSERI
Anastasia MANUELA CUSTER
Rosaura CLAUDIA URRU
Anselmo DAVIDE LETTIERI
Orchestra Gli Originali
Coro Donizetti Opera
Direttore e fortepiano Stefano Montanari
Maestro del coro Fabio Tartari 

Regia Davide Marranchelli
Scene Anna Bonomelli
Costumi Linda Riccardi
Lighting design Alessandro Carletti
Bergamo, 22 novembre 2020 – diretta streaming
Terza e ultima opere dal Donizetti Festival 2020 “Le nozze in villa” ha quasi il sapore di una prima assoluta. Questa farsa in due atti, tra i primi lavori di Donizetti ancora allievo di Mayr, andò in scena nel 1818 a Mantova per conoscere successivamente solo due riprese – a Treviso nel 1820 e a Genova nel 1822 – con probabili modifiche tra una ripresa e l’altra. Da allora l’opera, non solo è scomparsa dai palcoscenici, ma se ne sono quasi perse fisicamente le tracce. Sopravvive infatti un’unica partitura non autografa e incompleta – manca il quintetto “Aura gentil, che mormori” imprescindibile per lo sviluppo dell’opera – e non si è conservato nessun libretto a stampa. Riportare in scena l’opera ha quindi richiesto un paziente lavoro di ricostruzione della partitura stessa e di composizione ex novo per la parte andata perduta. La scelta del delicato intervento è stata affidate a due dei musicisti più ecclettici e completi della scena pop italiana quali Elio e il suo fidato braccio destro Rocco Tanica affiancati da Enrico Melozzi. In questa veste l’opera ha potuto rivedere la luce.Ovviamente dal giovane Donizetti non ci si può aspettare un lavoro di particolare originalità, ma questo non toglie che la musica, oltre a mostrare la preparazione del giovane compositore, sia di innegabile comunicativa anche quando si tratta di rielaborazioni di modelli. Perché Rossini è inevitabilmente il primo riferimento di Donizetti e lo si ritrova nell’impostazione della vocalità, nel senso ritmico, nel taglio espressivo complessivo. Non  si tratta di una imitazione pedissequa al fianco del pesarese si scorgono echi mozartiano e più in generale del classicismo mittel-europeo – in questo la meritoria attività didattica di Mayr ha lasciato segni profondi – ma anche una cifra più personale in cui, seppur embrionale, compare quel gusto più intimo e patetico che sarà la cifra più autentica del Donizetti buffo. In questo contesto la nuova musica composta s’inserisce con gusto e intelligenza, Elio evita una composizione falsamente in stile ma recupera i moduli del tempo e li rilegge con un gusto contemporaneo. La vocalità resta tradizionale così come l’impianto complessivo ma i colori orchestrali hanno riverberi diversi, più scuri e sfuggenti, mentre giochi di dissonanze rompono la regolarità melodica. L’effetto è quello di un classicismo di sapore stravinskiano che non gusta nell’insieme ma risulta perfettamente riconoscibile.
Anello debole dell’opera è il libretto di Bartolomeo Merelli, che pur con qualche buona trovata sul piano della versificazione, manca di senso teatrale riducendosi ad una serie di luoghi comuni del genere per di più mal sviluppati e spesso bruciati in pochi momenti senza sviluppo interno (come la scena potenzialmente efficacissima dei festeggiamenti a Claudio scambiato per il re risultante totalmente irrisolta nelle scelte dell’autore).
La debolezza del testo unita alla giovanile brillantezza della musica hanno suggerito a Davide Marranchelli un allestimento colorato e un po’ kitch. La scena si svolge in platea – come già visto nel “Marin Faliero” mentre orchestra e coro sono sul palco. Lo spazio è occupato da un prato verde che il sindaco Don Petronio ha trasformato in uno spazio per celebrazioni matrimoniali in cui un certo velleitarismo scivola irrimediabilmente nel cattivo gusto tra cigni di palloncini e finti fondali per foto d’occasione. I costumi sono contemporanei, giustamente colorati e con qualche tocco retrò, tutti volutamente un po’ “caricati”, escluso l’elegante completo di Sabina, dalle linee androgine e stilizzate, metafora degli effetti che il soggiorno cittadino ha avuto sulla ragazza rendendola un po’ estranea al gusto campagnolo.  La recitazione è briosa, le esigenze dell’opera buffa – che non può prescindere dal contatto anche fisico tra i personaggi – impongono l’uso della mascherina nei momenti in cui non si canta, di queste – per altro perfettamente abbinate al costume – ci si scorda rapidamente presi dal ritmo dello spettacolo.
La parte musicale è affidata a Gli Originali, compagine che suona con strumenti d’epoca e con prassi esecutiva filologica brillantemente guidati da Stefano Montanari nella duplice veste di direttore e maestro al fortepiano. Perfettamente calata nel contesto la compagnia di canto. Gaia Petrone (Sabina) è un mezzosoprano di coloratura dalla voce chiara e tersa e di notevoli qualità nelle agilità “rossiniane”, come dimostra  l’impegnativo rondò del secondo atto. Scenicamente è perfetta nella parte della ragazza moderna e spigliata. Capello corto di gran moda, atteggiamento diretto, adattato a far da fotografa nel parco a tema un po’ grottesco montato dal padre ma sicuramente destinata a una vita più brillante. L’amato Claudio – borghese cittadino scambiato per il re in incognito – è un Claudio Misseri dalla bella voce di tenore lirico, chiara e squillante, morbida nell’emissione e sicura sugli acuti. Scenicamente è molto divertente nelle scene buffe dove inutilmente tenta di fare i bagni alle terme sistematicamente  in balia della forza seduttiva di Sabina.La coppia buffa vede come Don Petronio un Omar Montanari dal timbro abbastanza chiaro ma dalla dizione nitida e dal fraseggio fresco e brillante mentre Fabio Capitanucci dona al maestro Trifoglia tutta la prosopopea un po’ bolsa che lo contraddistingue. Entrambi contribuiscono all’ottima resa del duetto “Per si bel nodo, amico” in cui quasi sembra di veder occhieggiare il futuro Don Pasquale. Manuela Custer è una nonna Anastasia di impagabile ironia e di raffinato gusto musicale. Claudia Urru e Daniele Lettieri affrontano al meglio le brevi parti di Rosaura e Anselmo. Foto Gianfranco Rota