Gioacchino Rossini (1792 – 1868): “Petite Messe Solennelle per 4 soli, coro misto, 2 pianoforti e armonium” (1864)

“Kyrie”: Andante maestoso, Andantino moderato – “Gloria“: Allegro maestoso, Andantino mosso, “Gloria in excelsis Deo”; Andante grazioso, “Gratias agimus tibi; Allegro giusto, “Domine Deus”; Andantino mosso, “Qui tollis”; Adagio, Allegro moderato, “Quoniam tu solus Sanctus”, Allegro maestoso, Allegro a cappella, “Cum Sancto Spiritu” – “Credo”: Allegro cristiano, “Credo in unum Deum”; Andantino sostenuto, “Crucifixus”; Allegro, “Et Resurrexit” – Preludio religioso: Andante maestoso – “Sanctus”: Ritornello, Andante, Andantino mosso – O salutaris: Andantino sostenuto – “Agnus Dei”: Andante sostenuto.

“Buon Dio, eccola terminata questa umile piccola Messa. È musica benedetta quella che ho appena fatto, o è solo della benedetta musica?  Ero nato per l”opera-buffa, sai bene! Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso”.
Con queste semplici parole, scritte in calce all’Agnus Dei della Petite Messe solennelle, Rossini congedò questo suo ultimo “peccato di vecchiaia”, appellativo con il quale egli stesso definì sempre questo suo lavoro all’interno della partitura originaria:
“Petite messe solennelle, a quattro parti, con accompagnamento di due pianoforti, e di un armonium. Composta per la mia villeggiatura di Passy. Dodici cantori di tre sessi, uomini, donne e castrati, saranno sufficienti per la sua esecuzione. Cioè otto per il coro, quattro per il solo, in totale di dodici cherubini: Dio mi perdoni l’accostamento che segue. Dodici sono anche gli Apostoli nel celebre affresco di Leonardo detto La Cena, chi lo crederebbe! Fra i tuoi discepoli ce ne sono alcuni che prendono delle note false! Signore, rassicurati, prometto che non ci saranno Giuda alla mia Cena e che i miei canteranno giusto e con amore le tue lodi e questa piccola composizione che è, purtroppo, l’ultimo peccato della mia vecchiaia”.
Composta nel 1863 nel suo ritiro di Passy nei pressi di Parigi cinque anni prima della sua morte e ben 34 anni dopo la sua ultima opera, il Guglielmo Tell, la Petite Messe solennelle è un brano di carattere intimistico scritto originariamente per un organico estremamente ridotto, caratterizzato, per la parte strumentale, da due pianoforti, il secondo dei quali di rinforzo e, quindi, senza una vera e propria parte autonoma, e un armonium. Eseguita in questa versione originaria il 14 marzo 1864 presso la cappella di famiglia della contessa Louise Pillet-Will, moglie del banchiere Pillet-Will e dedicataria della composizione, la Petite Messe fu orchestrata nel 1867 dallo stesso compositore spinto, probabilmente, dal timore che qualcun altro potesse orchestrarla al posto suo tradendo di fatto lo spirito della composizione e le sue intenzioni artistiche. Morto il 13 novembre 1868, Rossini, tuttavia, non riuscì mai ad ascoltare questa sua seconda versione che fu eseguita, infatti, per la prima volta, postuma, il 24 febbraio 1869 al Théâtre Italien di Parigi. Inizialmente di carattere contemplativo, il Kyrie eleison, affidato interamente al coro, si segnala per un tono arcaizzante nel centrale Christe eleison, cantato a cappella in una scrittura estremamente raffinata dal punto di vista contrappuntistico. Più complesso è il successivo Gloria, che, aperto da un’introduzione alla quale partecipa il coro che intona il primo versetto (Gloria in excelsis Deo), è costituito da quattro brani di carattere operistico. All’Et in terra pax, aperto dal basso, seguono: il terzetto, Gratias agimus; l’aria dalla struttura tripartita, Domine Deus, affidata al tenore, nella quale si possono intravedere dei richiamai al Cujus animam del suo Stabat Mater; il duetto tra contralto e soprano, Qui tollis peccata, e, infine, l’aria, Quoniam tu solus sanctus, intonata quest’ultima dal basso. L’altissimo magistero contrappuntistico rossiniano trova una delle sue massime espressioni nel Cum Sancto Spiritu, formalmente una Fuga, forma musicale che il Pesarese utilizzò anche nella parte finale del successivo teatrale Credo, all’interno del quale emerge il doloroso Cricifixus affidato al soprano, al quale si contrappone il trionfale Et resurrexit. Come già accennato in precedenza il Credo si conclude con una nuova Fuga sulle parole Et vitam venturi saeculi, altro vero e proprio tour de force contrappuntistico. Dopo un Preludio strumentale da eseguirsi durante l’Offertorio, il coro e i solisti “a cappella” intonano il Sanctus, una pagina di sapore rinascimentale, mentre il successivo Et salutaris è un inno, affidato al contralto, che si distingue per interessanti ricerche armoniche. Lo splendido Agnus Dei conclude la Messa.