“Pazzo per l’opera” – Istruzioni per l’abuso del Melodramma

Di Alberto Mattioli
Editore Garzanti – I Saggi
pag.216 – € 16.00
Il tema della follia nell’ opera lirica rappresenta un topos ben noto. Si parte grosso modo dalla pazzia dell’ “Orlando” di Handel e da quella di “Nina pazza per amore” di Paisiello per poi proseguire, nell’ordine, con i turbamenti psicopatici dell’Elvira dei Puritani e dell’ Amina de “La sonnambula”di Bellini, e con i dolorosi stati di alienazione dei personaggi femminili immortalati da Donizetti (“Anna Bolena”, “Lucia di Lammermoor”, “Linda di Chamonix”). Il campionario si chiude con Verdi e con le sue celebri figure in preda al delirio, Nabucco, Otello e Lady Macbeth. Bene, non ci sono folli solo sul palcoscenico, ma anche in platea. Alberto Mattioli, con eroica, pubblica confessione, si proclama un ostinato, incorreggibile “Pazzo per l’opera”, ed io, che ho appena terminato di leggere il suo libro, gli do ragione. L’ho divorato in due giorni, quasi in apnea, in preda a quel mix di curiosità febbricitante e di golosità compulsiva che spinge coloro che Giuseppe Montesano definisce i “lettori selvaggi” a “consumare” le pagine con avidità. Se poi il lettore selvaggio, come nel mio caso, è anche un melomane, allora è scontato che la pazzia dell’autore si trasmetta fatalmente al lettore.
Mattioli, assiduo spettatore professionista di prodotti lirici con l’hobby del giornalismo, con penna fluida e leggera, un buon tasso di ironia e tanta competenza, si avventura nella vastissima foresta incantata dell’opera lirica, percorrendo luoghi, personaggi, atmosfere e sentimenti che costituiscono l’humus del melodramma, disegnando una mappatura appassionata del mondo lirico, indagato in un lungo arco temporale. Tutto questo gli consente di portare felicemente a termine un’operazione cultural-divulgativa molto interessante e pertinente, proprio in virtù del fatto che, essendo strutturata in forma assai piana e godibile, non è territorio riservato ai soli addetti ai lavori. Insomma il Mattioli si palesa come “L’ Arbasino dei poveri”, grazie alle sue recensioni, digressioni, cornici storiche e di costume, ai suoi amarcord e gossip, cose tanto chiare come tanto oscure erano le fole dell’ eccentrico dandy di Vigevano.
Questo è davvero un libro per tutti. Se vi piace la lirica, non potete perdervelo. Se invece non vi piace, magari solo perché non la conoscete, allora questa è l’occasione buona per entrare in questa storica gabbia di matti magistralmente descritta dal liricomane modenese. Riuscirete così a carpire segreti, manie, liturgie ed essenza primaria dello straordinario universo melò. Concludo con il classico pelo nell’uovo, e non certo per fare il fiscale, ma solo per confermare il vecchio andante leniniano che recita più o meno ”Anche le aquile, a volte, volano basse”. Il brillante autore, nelle duecento pagine del libro, non ha trovato (o non ha voluto trovare) un piccolo spazio per celebrare la grande Raina Kabaivanska. E questo non glielo perdono, anche se lo avesse fatto soltanto per un lapsus distrattivo o in omaggio al celebre verso della grande poetessa polacca Maria Symborska “ … A noi resta negata l’idiozia della perfezione”.