Pëtr Il’ič Čajkovskij ( 1840 – 1893): “Lo Schiaccianoci”, suite dal balletto op. 71a (1892)

Pëtr Il’ič Čajkovskij (Votkinsk, Urali, 1840 – Pietroburgo 1893)
“Lo Schiaccianoci”, suite dal balletto op. 71a
Ouverture miniatura (Allegro giusto) –Marcia (Tempo di marcia viva)- Danza della fata confetto (Andante non troppo)- Danza russa (Tempo di Trepak, molto vivace)- Danza araba (Allegretto)- Danza cinese (Allegro moderato) – Danza degli zufoli (Moderato assai)- Valzer dei fiori (Tempo di valse)
Ultimo dei tre balletti composti da Čajkovskij, Lo Schiaccianoci è uno dei più grandi e famosi lavori del genere, la cui fortuna, al pari di altre opere del compositore russo, si è accresciuta negli anni contro ogni previsione, soprattutto se si pensa al contrastato successo della prima rappresentazione. Composto fra il 1891 e il 1892, Lo Schiaccianoci fu rappresentato, per la prima volta, insieme all’opera Iolanta, al Teatro Marijnskij il 6 dicembre 1892 secondo il calendario giuliano, ma il suo debutto fu accolto in modo contrastante dalla critica, divisa tra chi lo censurò e chi, invece, lo esaltò paragonandolo all’opera Evgenij Onegin. Questo giudizio così contrastante non riguardò la musica del compositore russo, in quanto la Suite, tratta dal balletto ed eseguita qualche mese prima il 7 marzo a Pietroburgo, era stata così bene accolta dal pubblico da ottenere uno strepitoso successo.
Il giudizio negativo di una certa critica si può in parte spiegare se si considera che due anni prima non era stato molto diverso quello espresso sul suo secondo balletto, La bella addormentata, che, il giorno dopo la sua prima rappresentazione, avvenuta il 3 gennaio 1890 a Pietroburgo, era stato definito dallo zar, la cui accoglienza era stata, peraltro, affettata e tiepida, un lavoro davvero grazioso, mentre la stampa russa ne era rimasta addirittura scandalizzata in quanto Čajkovskij, compositore famoso e di grande livello, aveva scelto di cimentarsi in un genere, il balletto, solitamente curato da compositori mediocri e specializzati solo in tali lavori. D’altra parte la scelta di Ivan Vsevoložskij, direttore dei Teatri Imperiali, di commissionare a Čajkovskij la composizione di balletti, rispondeva al suo desiderio di elevare il livello qualitativo del balletto russo che, in quel periodo, si basava su mediocri partiture, curate da altrettanto mediocri compositori; Vsevoložskij, approfittando della presenza in Russia del famosissimo coreografo Marius Petipa, decise di affidare a grandi compositori il compito di mettere in musica i libretti di quest’ultimo. Così nacquero i capolavori di Glazunov e Čajkovskij.
Per quanto riguarda Lo Schiaccianoci fu lo stesso Vsevoložskij a suggerire il soggetto fiabesco e Čajkovskij, alquanto perplesso e poco propenso, all’inizio, ad accettare il lavoro, del quale, in seguito, la stessa critica avrebbe denunciato la scarsa logica e un numero non trascurabile di incongruenze, alla fine, si decise a comporre il nuovo balletto, come egli stesso rivelò in una lettera alla cantante Désirée Artôt, una sua vecchia fiamma che aveva pensato di sposare, essendo stati, nel frattempo, superati anche i contrasti intervenuti con Vsevoložskij a causa dell’eliminazione de La bella addormentata dal cartellone del teatro Marijnskij; Vsevoložskij, con la grande abilità diplomatica che gli era propria, riuscì a ricucire lo screzio e Čajkovskij si mise subito al lavoro nel febbraio del 1891. Il compositore sembrava ispirato e già il 6 febbraio aveva pronto il valzer dei fiocchi di neve e ne aveva abbozzato diverse parti, ma i suoi viaggi continui rallentarono la composizione dell’opera tanto che Čajkovskij, nell’aprile del 1892, era stato costretto a chiedere un rinvio per la rappresentazione del balletto dalla stagione 1891-1892 a quella successiva; egli, tuttavia, lavorando allo Schiaccianoci durante i suoi soggiorni di Rouen e Berlino, il 6 luglio riuscì a portare a termine la stesura dei primi abbozzi e a completare la strumentazione prima del mese di settembre 1892, quando iniziarono le prove. L’accoglienza piuttosto fredda, ricevuta dal balletto alla sua prima rappresentazione, fu dovuta probabilmente anche all’esecuzione non proprio eccellente diretta da Eduard Napravnik e alla modesta coreografia di Lev Ivanov, ingaggiato da Vsevoložskij per rimpiazzare Petipa, che era stato prodigo di consigli e di minuziosi suggerimenti a Čajkovskij. Dopo lo scarso successo il balletto fu lasciato nell’oblio per circa 25 anni e fu ripreso, prima, nel 1917 con la coreografia di Gorskij e, poi, nel 1929 con quella di Lopukhov; soltanto nel 1934 il già celebre balletto varcò i confini dell’Unione Sovietica non senza aver prima calcato le scene del prestigioso teatro di Pietroburgo (Leningrado) in una versione rimasta storica per la coreografia di Vassilij Vajnonen che, per l’occasione, fuse il ruolo di Klara con quello della Fata Dragée (Confetto). Proprio in quell’anno si ebbe la prima europea al Sadler’s Well di Londra ad opera di Nicholas Sergeiev che riprese la coreografia di Ivanov e quattro anni dopo Lo Schiaccianoci fu rappresentato per la prima volta in Italia alla Scala di Milano con la coreografia di Margherita Froman. Ora Lo Schiaccianoci è uno dei balletti più rappresentati e diffusi nel mondo soprattutto nel periodo natalizio quando con la sua magia potenzia i caratteri tipici di questa grande festività del Cristianesimo per la gioia di grandi e piccini che, da allora, puntualmente ammaliati dall’atmosfera fiabesca così creata, si sentono trasportati in un mondo irreale di evasione e di sogno.
Il soggetto del balletto è tratto dall’adattamento teatrale di Alexandre Dumas del racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Lo schiaccianoci e il re dei topi, il cui protagonista è un singolare bambolotto, lo Schiaccianoci appunto. La scena si apre sulla sala del sindaco Silberhaus che, in occasione del Natale, organizza una festa in casa sua per i figli Klara e Fritz ai quali è concesso di ricevere i regali natalizi; nel frattempo giungono alcune persone vestite in maschera secondo la moda introdotta dalla Rivoluzione Francese e a mezzanotte si presenta Drosselmeyer, padrino di Klara, che, insieme ad altri regali, porta in dono uno strano bambolotto, lo Schiaccianoci, a cui Fritz rompe una ganascia. Klara, intenerita, cura amorosamente lo Schiaccianoci mettendolo nel letto della sua bambola preferita. Giunge per i bambini il momento di andare a letto e Klara è costretta, suo malgrado, a lasciare lo Schiaccianoci; quando tutti gli ospiti sono andati via, Klara ritorna per vedere lo stato di salute del suo giocattolo e, in questo momento, stanca, si addormenta su una sedia e inizia a sognare. La dimensione onirica sostituisce e modifica la realtà i cui elementi assumono proporzioni enormi, così, alla luce della luna, l’albero di Natale diventa gigantesco, i giocattoli si animano e una miriade di topi cerca di impadronirsi dello Schiaccianoci. Si scatena una lotta furibonda che vede contrapposti, da una parte, Klara e lo Schiaccianoci animatosi per magia, e, dall’altro, i topi contro i quali la bambina lancia le sue bambole. Alla fine della battaglia i soli sopravvissuti sono lo Schiaccianoci e il Re dei topi che è ucciso da una scarpetta lanciatagli dalla bambina. Il primo atto si conclude con la trasformazione, grazie ad una stupefacente quanto improvvisa magia, dello Schiaccianoci in un bel principe azzurro. La prima scena del secondo atto del balletto, il più famoso, si apre in una grotta incantata nell’immaginario e dolce regno di Confituremburg dove Klara con il suo principe azzurro sono ospiti della Fata Dragée (Fata Confetto) e del principe Orzata. Qui iniziano i festeggiamenti organizzati e presieduti dalla Fata Confetto con danze di cui sono protagoniste le bambole di Klara. Alla fine Klara è svegliata dai genitori, mentre tutti gli invitati vanno via.

La Suite si compone di otto brani dei quali i primi due sono tratti dal primo atto e gli altri sei dal secondo. Il primo brano, Ouverture miniatura, è costituito da due temi dei quali il primo è una marcia, mentre il secondo rappresenta l’attesa dei bambini per l’inizio della festa. Lo squillo delle trombe e dei corni, supportati dai clarinetti, apre il secondo brano, Marcia, tratto sempre dal primo atto del balletto e, in particolar modo, dalla scena in cui fanno il proprio ingresso i bambini e Silberhaus. La gioia dei bambini è resa perfettamente dai violini che eseguono un motivo saltellante. Lo strumento protagonista del terzo brano, Danza della Fata Confetto, è la celesta inventato nel 1886 a Parigi da Victor Mustel, un abile costruttore di strumenti musicali conosciuto da Čajkovskij durante uno dei suoi soggiorni in Francia; il Nostro, affascinato dal suono del nuovo strumento, decise di farlo portare in Russia di nascosto per timore che i compositori Rimskij-Korsakov e Glazunov, suoi “avversari”, potessero venirne a conoscenza. Alla celesta è affidato un tema luminoso su un delicatissimo accompagnamento degli archi in pizzicato. Diversa è l’atmosfera del quarto brano, Danza russa, caratterizzato da un ritmo vivace che conduce al prestissimo conclusivo e contrasta nettamente con la successiva Danza araba evocatrice di immagini notturne e sensuali sul tema affidato ai clarinetti e al corno inglese. La successiva Danza cinese si segnala per la raffinata strumentazione nella quale prevalgono i timbri del flauto, a cui è affidato un tema vivace, dei fagotti, che eseguono un accompagnamento staccato, e dei violini, che si alternano al flauto eseguendo un motivo in contrattempo. Protagonisti del brano successivo, la Danza degli zufoli, la cui strumentazione è altrettanto raffinata, sono tre flauti che, alla stregua di un’orchestrina di strumenti a fiato, eseguono il tema su un delicato accompagnamento degli archi. La Suite si conclude con il celeberrimo Valzer dei fiori che costituisce una delle pagine più note ed eseguite del balletto. Il famoso tema è diviso tra i corni, a cui è affidata la frase di proposta, e il clarinetto che intona una virtuosistica risposta.