“Don Carlo” al Teatro Pavarotti di Modena

Modena, Teatro Comunale Luciano Pavarotti, Stagione 2021
“DON CARLO”
Opera in quattro atti su libretto originale francese di François Joseph Méry e Camille Du Locle, basato sul dramma Dom Karlos, Infant von Spanien di Friedrich Schiller; versione italiana di Achille de Lauzières e Angelo Zanardini
Musica Giuseppe Verdi
Versione di Milano, 10 gennaio 1884 (Edizioni Ricordi, Milano)
Filippo II MICHELE PERTUSI
Don Carlo ANDREA CARÈ
Rodrigo LUCA SALSI
Il Grande Inquisitore RAMAZ CHIKVILADZE
Un frate ADRIANO GRAMIGNI
Elisabetta di Valois ANNA PIROZZI
La Principessa Eboli JUDIT KUTASI
Il Conte di Lerma / Un araldo reale ANDREA GALLI
Tebaldo / Una voce dal cielo MICHELA ANTENUCCI
Orchestra dell’Emilia Romagna “Arturo Toscanini”
Coro Lirico di Modena
Direttore Jordi Bernàcer
Maestro del Coro Stefano Colò
Esecuzione in forma di concerto in memoria di Mirella Freni e Nikolai Ghiaurov, “grandi interpreti del Don Carlo e amati cittadini onorari di Modena”
Modena, 6 febbraio 2021
In visione streaming per sei mesi
In questa fase di forzato allontanamento dai teatri e di fruizione a distanza, il melomane appassionato vive esperienze musicali alternative: invece di tornare a teatro per riascoltare la replica di un’opera o per apprezzare la seconda compagnia in cartellone, per esempio, può riascoltare la registrazione, quando disponibile su di una piattaforma multimediale. Questo tipo di approfondimento non ha nulla di ovvio – a dispetto di quel che potrebbe sembrare – se l’ascolto avviene prima in diretta, e poi, magari a distanza di alcuni giorni, con la possibilità di scegliere un ordine diverso dei brani o di limitarsi a una selezione dell’opera. Detto diversamente, con lo streaming la fruizione del teatro musicale si avvicina molto di più alle modalità dell’ascolto discografico, dipendendo oltremodo dall’ingegneria del suono e dalla tecnologia a disposizione. In sede critica, tutto questo significa anche che la prima (e unica) impressione causata dall’ascolto dal vivo è sostituita da una serie di ascolti differenziati, e che il giudizio è soggetto a variazioni. Al ricordo (o all’appunto fugace) si contrappone infatti il continuo riascolto, alla ricerca di maggiore oggettività argomentativa, con il risultato (o il rischio) che quello che all’inizio appariva ottimo, dopo si presenti un po’ meno entusiasmante, o che, viceversa, un primo ascolto deludente si consideri migliore in un secondo tempo. È questo il caso di una pregevole esecuzione in forma di concerto del Don Carlo di Verdi presso il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena, con l’Orchestra dell’Emilia Romagna “Arturo Toscanini” diretta da Jordi Bernàcer e una compagnia vocale dalle ottime qualità. La dimensione concertistica permette agli interpreti principali di concentrarsi sul fraseggio e sull’espressività della parola, in particolare nel caso di Luca Salsi (Rodrigo) e Michele Pertusi (Filippo II), la cui prova è davvero magistrale. Il duetto tra il re e il marchese di Posa è tra i momenti più intensi dell’esecuzione, per l’intreccio dei timbri – entrambi magnifici – di Salsi e di Pertusi. Il baritono è capace di alternare un’emissione vellutata ad accenti molto drammatici, mentre il basso dimostra una maturità interpretativa tutta improntata sull’autorevolezza della voce («Ella giammai m’amò» è da antologia, ma anche frasi isolate come «Ti guarda dal grande Inquisitor» fanno rabbrividire per l’esattezza della gradazione e l’efficacia del fraseggio). Andrea Carè è un habitué del ruolo di Don Carlo: dall’ultima volta in cui l’abbiamo sentito in questa parte (fu a Valencia nel dicembre del 2017), il tenore ha affinato l’emissione e il porgere, mentre la sicurezza degli acuti sembra un obbiettivo non ancora del tutto raggiunto. Quando attacca i recitativi, per esempio, la linea di canto è splendida, spontanea e semplice; poi, le richieste della tessitura ne temprano la tenuta; a volte non c’è corrispondenza tra lo studio e la preparazione (che si apprezzano e lasciano il segno) e la prova di destrezza che l’esecuzione richiede (come nel temuto do della scena dell’autodafé o nello slancio un po’ affaticato del duetto finale). Grazie alla natura elegiaca del suo timbro e alla duttilità della linea di canto, la voce di Anna Pirozzi delinea un’Elisabetta molto interessante, nei vari duetti dell’opera e ancor più nella pagina solistica «Tu che le vanità / conoscesti del mondo»; a volte il registro basso è poco sostenuto e l’emissione perde di corpo e incisività (in teatro, probabilmente, anche la proiezione deve essere limitata), ma – rispetto all’Amelia di Un ballo in maschera di Madrid dello scorso ottobre – ora la Pirozzi canta con la sua abituale sicurezza, giovandosi dell’assidua frequentazione dei titoli verdiani. Nelle imprecazioni e manifestazioni di sdegno o ira, Judit Jutasi è una perfetta Principessa d’Eboli; è un peccato che le note più acute risuonino però con un certo stridore. Il basso Ramaz Chikviladze è un ottimo Grande Inquisitore, dalla voce poderosa e degna di gareggiare con quella di Pertusi. Molto validi anche tutti gli altri comprimari: il Frate di Adriano Gramigni, il Conte di Lerma (anche Araldo reale) di Andrea Galli e il Tebaldo (anche Voce dal cielo) di Michela Antenucci. Jordi Bernàcer insiste sul ruolo dei violoncelli e dei contrabbassi nella creazione del colore di fondo, soprattutto nei momenti d’insieme (incantevoli nel duetto finale tra Carlo ed Elisabetta, al pari dei corni nel duettino notturno tra Don Carlo ed Eboli); in realtà, gli accorgimenti messi in atto dal direttore per valorizzare la complessità della partitura sono molteplici: i terribili pedali degli ottoni nella scena dell’autodafé, per esempio, sono momenti in cui l’ascoltatore può scoprire o riscoprire molte preziosità della scrittura orchestrale verdiana. Bernàcer è sicuramente un direttore che ama la ricerca del particolare, a volte anche a discapito dell’esattezza. In ogni caso, la scelta delle sonorità e dei tempi risulta molto equilibrata in ogni partizione dell’opera, e la concertazione molto coerente. Nel complesso, questa produzione della versione italiana del Don Carlo in quattro atti (quella che più piace riproporre ai teatri della penisola) è un validissimo esempio di eccellenza musicale, venata di qualche imperfezione, ma certamente affascinante. Per questo, come si disse in apertura, sarà inevitabile riascoltare la registrazione più e più volte. Foto Rolando Paolo Guerzoni