Gioachino Rossini (1792-1868): “Il barbiere di Siviglia” (1816)

Dramma comico  in due atti su libretto di Cesare Sterbini, dalla commedia “Le barbier de Séville” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais. Prima rappresentazione: Roma, Teatro Argentina, 20 febbraio 1816.
Primi interpreti:
Manuel Garcia (Almaviva)
Luigi Zamboni (Figaro)
Geltrude Righetti-Giorgi (Rosina)
Bartolomeo Botticelli (Bartolo)
Zenobio Vitarelli (Basilio)
Elisabetta Loiselet (Berta)
Paolo Biagelli (Fiorello)
“S’andò in scena il 20 febbraio, e fu un fiasco”. Stando a quanto ne scrisse sei anni dopo la Righetti-Giorgi, “i primi fischi piovvero quando, dopo la seconda serenata, Rosina s’affacciò a pronunciare due sole battute, in luogo della Cavatina che tutti si attendevano., andò bene invece l’aria della vipera, ma malissimo il seguente duetto tra Rosina e Figaro e disastrosamente il finale primo”.
L’insuccesso è attribuito tradizionalmente a un intrigo organizzato dagli amici di Paisiello (autore di un altro Barbiere di Siviglia che, sebbene risalisse il 1782, era ancora popolare., appunto a prevenire ogni suscettibilità l’opera non fu intitolata come la sua, bensì Almaviva , ovvero l’inutile precauzione ) e dagli impresari del Teatro Valle, concorrenti all’Argentina.
Ma vari elementi mettono in dubbio questa attribuzione, soprattutto quanto agli impresari del Valle. È forse più vicino al buon senso ritenere che il ritardo alla comprensione di questo, ch’è di  certo tra i capolavori supremi del teatro musicale e non solo musicale di ogni tempo, si dovesse almeno in parte ad altri fattori: ossia alla novità di certi suoi aspetti. Basti ricordare per esempio quello a cui, come abbiamo visto, la Righetti-Giorgi fa cenno: il fatto cioè che la primadonna, nel primo quadro, aprisse bocca soltanto per qualche battuta, riaprendola, a veramente cantare, solo nel quadro successivo.

Questo era contrario a tutte le regole., com’era contrario alla regola che il tenore, dopo aver cantato un’aria, ne cantassi un’altra subito dopo. Ma poi nel Barbiere non c’era soltanto la “violazione” di certe convenzioni; c’erano “violenze” d’ogni sorta, non soltanto di certe forme quanto di certi atteggiamenti: violenze che certa critica dall’ora (come al solito arretrata rispetto al pubblico) espresse parlando di caos, rumore, “Armonia tedesca”: come si sarebbe detto, cinquanta anni più tardi, “wagnerismo”. La sola cosa di cui si potrebbe stupire è che le opposizioni durassero soltanto ventiquattro ore. Già dalla prima replica il successo fu completo e se dell’opera si dettero poche repliche fu soltanto perché otto giorni dopo cadeva il mercoledì delle ceneri e i teatri dovevano chiudere. (Estratto da Fedele D’Amico, “Guida all’Opera”, Milano, 1971)