Johannes Brahms (1833 – 1897): “Sinfonia n. 1 in do minore op. 68”

Johannes Brahms (Amburgo 1833 – Vienna 1897)
Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
Un poco sostenuto, Allegro, Un poco sostenuto-Andante sostenuto-Un poco allegretto e grazioso-Adagio, Più andante, Allegro non troppo ma con brio, Più allegro

“Ed è venuto questo giovane sangue, alla culla del quale hanno vegliato Grazie ed Eroi. Si chiama Johannes Brahms. Raccomandatomi poco prima da una maestro sconosciuto e amato, è arrivato da Amburgo, dove componeva in un silenzio oscuro, ma cui hanno vegliato Grazie ed Eroi. Si richiama alle forme più difficili dell’arte. Trasparivano dalla sua persona tutti quei segni che ci annunciano: ecco un eletto! Quando si mise al pianoforte cominciò a scoprirci regioni meravigliose: noi venimmo attirati in un circolo sempre più magico. Aggiungete a questo un modo di suonare quanto mai geniale, che fa del pianoforte un’orchestra dalle voci ora lamentose ora esultanti di gioia. Erano sonate, o piuttosto delle sinfonie velate – canzoni, la cui poesia si potrebbe comprendere senza sapere le parole, benché una profonda melodia di canto le attraversi tutte – singoli pezzi per pianoforte, in parte d’una natura demoniaca ma dalla forma più leggiadra, poi sonate per violino e pianoforte – quartetti per archi e tutto così diverso che ogni cosa pareva sgorgare da altre sorgenti in una cascata che, coronata da un calmo arcobaleno, veniva accompagnata nel precipitare del suo corso da svolazzanti farfalle e da canti di usignoli. S’egli abbasserà la sua bacchetta magica là dove le potenze delle masse corali e orchestrali gli prestano le loro forze, noi potremo attenderci di scoprire, nei segreti del mondo degli spiriti, paesaggi ancor più meravigliosi. […] I suoi compagni lo salutano al suo primo passo nel mondo, dove forse lo aspettano delle ferite, ma anche dei lauri e delle palme; noi gli diamo il benvenuto, come a un forte combattente”.
Con queste parole profetiche Robert Schumann nel suo saggio, Vie nuove, pubblicato nel 1853 sulla rivista «Neue Zeitschrifit für Musik», di cui fu fondatore  e uno dei principali redattori, aveva dato il benvenuto ad una nuova promessa della musica, Johannes Brahms; il mondo della musica, tuttavia, avrebbe dovuto attendere ben 23 anni prima che tale profezia si realizzasse. Prima del 1876, Brahms, infatti, non abbassò la sua bacchetta magica per completare la composizione della sua Prima Sinfonia e Schumann, morto nel 1856, non vide mai la realizzazione di questa sua profezia. Quali furono le ragioni per le quali Brahms aspettò tanto tempo prima di abbassare la sua bacchetta magica sulla forma sinfonica?
Troviamo la risposta a questa domanda nell’epistolario del compositore di Amburgo e, in particolare modo, in una lettera scritta nel 1870 ad Hermann Levi, suo amico compositore e direttore d’orchestra, nella quale si legge:
“Non scriverò mai una sinfonia: non si ha idea di cosa voglia dire sentire sempre dietro di sé i passi di un gigante come Beethoven”.
Il timore di un confronto con la produzione sinfonica del gigante Beethoven costituì, quindi, per Brahms una delle cause, se non la principale della sua difficoltà ad accostarsi al genere sinfonico. Ciò spiega molto probabilmente anche la difficile e lunga gestazione della Prima sinfonia, la cui stesura occupò, con diversi intervalli, circa vent’anni della sua vita. Risulta, inoltre, alquanto difficile non solo ai biografi contemporanei, ma anche ai moderni, stabilire con esattezza le date di composizione della Prima sinfonia, la cui prima idea risalirebbe al 1854, come ebbe modo di affermare  Max Kalbeck, uno dei biografi più autorevoli. In quell’anno Brahms compose quasi per esercitazione una Sonata per due pianoforti trasformata in seguito, solo dopo aver orchestrato il primo movimento, nel Primo Concerto per pianoforte e orchestra. Della musica composta nel 1854 Brahms non utilizzò nulla nella Prima sinfonia, dal momento che il primo e il terzo movimento furono inseriti nel Concerto dopo un’attenta rielaborazione, mentre il secondo movimento divenne il secondo episodio di Ein deutsches Requiem (Un requiem tedesco). In quegli anni egli mantenne un silenzio quasi totale sulla composizione della Sinfonia, nonostante le reiterate richieste, preghiere e incoraggiamenti di amici come lo stesso Hermann Levi e Max Bruch. Probabilmente alcuni insuccessi, come quello clamoroso occorso al Primo Concerto per pianoforte e orchestra alla sua seconda esecuzione al Gewandhaus di Lipsia il 27 gennaio 1859, avevano contribuito a demoralizzare il compositore che, non sentendosi pronto a cimentarsi nella composizione di una grande opera sinfonica, aveva di fatto preso tempi lunghi per la realizzazione del primitivo progetto. Non si sa, tuttavia, quando Brahms iniziò il lavoro di composizione della sinfonia, ma si apprende da una lettera indirizzata a Clara Schumann che nel 1862 era già stato completato il primo movimento. Dal 1862 al 1876 altro silenzio sulla sinfonia, interrotto soltanto da qualche sporadico incitamento a continuarne la stesura da parte di Joachim ed Hermann Levi, amici di Brahms che, nel frattempo, si era dedicato alla composizione di altre opere per piccola orchestra, come le due Serenate, il già citato Concerto n. 1 op. 15 per pianoforte e orchestra, che finalmente aveva ottenuto il meritato successo in una esecuzione memorabile  avvenuta a Karlsruhe nel 1865 con lo stesso Brahms al pianoforte ed Hermann Levi sul podio, il Requiem tedesco e le Variazioni su un tema di Haydn. È molto plausibile la tesi secondo cui la stesura della maggior parte della sinfonia risalga all’estate del 1876 durante un periodo di vacanza a Sassnitz, nell’isola di Rügen, la più grande del mare del Nord particolarmente adatta, per i suoi luoghi ameni, a dare al compositore la tranquillità necessaria al suo lavoro. Completata probabilmente nel mese di settembre del 1876 a Baden-Baden, la Sinfonia fu eseguita per la prima volta il 4 novembre dello stesso anno sotto la direzione di Felix Otto Dessoff proprio per esplicita volontà del compositore, a Karlsruhe, città che, particolarmente sensibile alle novità musicali, aveva già applaudito il Primo Concerto per pianoforte e orchestra. Dalla prima esecuzione la Sinfonia passò di successo in successo, prima a Mannheim e a Monaco, poi a Vienna il 17 dicembre diretta da Harbeck e, infine, fu calorosamente applaudita il 18 gennaio 1877, a Lipsia, dove fu diretta dallo stesso Brahms; l’8 marzo dello stesso anno fu presentata dal compositore all’Università di Cambridge come tesi per la laurea Honoris Causa conferitagli dal prestigioso ateneo inglese. Proprio per questo motivo, in Inghilterra, l’op. 68  è conosciuta come Sinfonia di Cambridge.
Il compositore poteva ritenere, così, di aver superato brillantemente il temuto confronto con Beethoven, il cui nome era spesso richiamato, quale costante termine di paragone, nelle recensioni dell’epoca; Hanslick, grande amico e sostenitore di Brahms, aveva scritto, infatti, sulla «Neue Freie Presse»:
“La nuova sinfonia dà prova di una volontà poderosa, di un pensiero musicale logico, di una grandezza di facoltà architettoniche che nessun altro compositore vivente possiede […]. Non esiste compositore che si sia tanto avvicinato alle grandi composizioni beethoveniane”,
mentre Dörfell così si era espresso sul giornale «Leipziger Nachrichten»:
“Questo lavoro deve essere valutato allo stesso livello della Nona sinfonia di Beethoven e della seconda di Schumann. Lo scopo di queste tre sinfonie è identico e, per raggiungerlo, Brahms ha percorso la sua strada con audacia e sicurezza”.
Meno entusiastico e, per certi aspetti, un po’ bizzarro fu il giudizio di Hirsch nella sua recensione apparsa sulla rivista «Wienerzeitung»:
“Vi ritroviamo comunque quelle ombre che si accompagnano alle facili luci: la mancanza di fantasia, l’assenza di fascino e di sensibilità, un ascetismo tetro che arriva all’insipidezza. Il suo linguaggio musicale non ha perduto niente della rigorosa concisione, dell’elevatezza che lo contraddistingue; ma non ha neppure guadagnato in facilità, in chiarezza, in intelligibilità”.
La Sinfonia, che dal direttore d’orchestra Hans von Bülow fu definita incautamente la Decima con riferimento alle nove sinfonie di Beethoven nei cui confronti era considerata una continuazione ideale, fu spesso paragonata alla Nona; ciò suscitò, a volte, la reazione stizzita dello stesso Brahms che a un critico, il quale gli aveva fatto notare la citazione quasi letterale dell’Inno alla gioia nel tema principale dell’ultimo movimento, rispose: Certo, anche un imbecille se ne sarebbe accorto. Effettivamente la Sinfonia è piena di richiami più o meno espliciti, come questa citazione, al sinfonismo beethoveniano, la cui influenza si avverte sia nel carattere monumentale del primo e del quarto movimento, che si conclude in modo trionfale allo stesso modo della Quinta e della Nona, sia nella grande ricchezza tematica del primo movimento paragonabile al primo dell’Eroica. Nonostante tali richiami al sinfonismo beethoveniano, la partitura di Brahms mostra una concezione sinfonica originale evidente, in particolar modo, sia nell’ampia introduzione del primo movimento, caratterizzata da una ricchezza di spunti tematici suscettibili di elaborazione, sia nell’assenza di un tema fortemente individuato all’inizio dell’Allegro, nel quale si ha la sensazione di una struttura musicale i cui materiali motivici sono sottoposti a una continua rielaborazione.


Il primo movimento, che si apre con una grandiosa introduzione, Un poco sostenuto, in cui è concentrato, in un’atmosfera cupa, il maggior numero dei motivi utilizzati in questo lavoro, si snoda, nell’Allegro successivo, nella tradizionale forma-sonata che qui presenta una straordinaria complessità sia nello sviluppo che nella Coda pur mantenendo un carattere fortemente unitario. La complessità del primo movimento è controbilanciata dall’apparente semplicità del secondo, Andante sostenuto, che si apre con una melodia cantabile, la cui ripresa, dopo una breve sezione di carattere pastorale, è arricchita dall’uso molto elaborato delle tecniche della variazione. Di struttura tripartita, A-B-A, è il successivo Scherzo, che si evidenzia per un clima affabile in cui il sorriso sembra velato da una forma di malinconia in una scrittura in cui solo il ritmo di 6/8 riconduce alle movenze della danza. Il Finale è una costruzione poderosa in tre sezioni con un Adagio introduttivo di carattere solenne e cupo, dove appare il tema che ricorda, sia pure lontanamente, quello della Nona, con un Andante grandioso e, infine, con l’Allegro vero e proprio il cui primo tema ricalca molto probabilmente una melodia per corno delle Alpi ascoltata da Brahms mentre si trovava in Svizzera e trascritta in una lettera indirizzata a Clara Schumann. L’Allegro è estremamente complesso e ampio nella struttura formale che, se è riconducibile, da una parte, alla forma del rondò, dall’altra è assimilabile a quella del tema e variazioni soprattutto per l’elaborazione a cui è sottoposta l’idea principale.