Torino, Teatro Regio: “La Bohème”

Torino, Il Regio on line 2021
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dal romanzo “Scènes de la vie de Bohème” di Henri Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì MARIA TERESA LEVA
Rodolfo IVÁN AYÓN RIVAS
Musetta HASMIK TOROSYAN
Marcello MASSIMO CAVALLETTI
Schaunard TOMMASO BAREA
Colline ALESSIO CACCIAMANI
Benoît e Alcindoro MATTEO PEIRONE
Parpignol ALEJANDRO ESCOBAR
Sergente dei doganieri DESARET LYKA
Un venditore di prugne FABIO TRAVERSO
Un ragazzo MATILDA ELIA
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi
Curatrice delle scene Piero Maranghi
Curatrice dei costumi Nicoletta Ceccolini
Bozzetti per la prima assoluta al Regio
custoditi dall’Archivio Storico Ricordi Adolf Hohenstein
Pittore scenografo Rinaldo Rinaldi
Luci Andrea Anfossi
Torino, Teatro Regio, 1° febbraio 2021 (SKY Classica HD e streaming)
Torino e “La bohème”, la storia di una relazione speciale che unisce la città sabauda al capolavoro pucciniano da quando questi prese vita sul palcoscenico del Teatro Regio il 1 febbraio 1896. Centoventicinque anni di una storia d’amore senza cedimenti non si potevano non celebrare e il teatro torinese ha ripreso la sua attività – dopo un lungo e doloroso periodo in cui alle difficoltà contingenti si aggiunge la difficile situazione interna dell’istituzione torinese – proprio con l’opera pucciniana. La nuova produzione – che avrebbe dovuto trovare la via del palcoscenico già lo scorso marzo – ha il suo  punto d’interesse nella realizzazione di un allestimento filologico con la riproposizione delle scene e dei costumi tratti dai bozzetti originali di Adolf Hohenstein ripresi da Leila Fteita  e Nicoletta Ceccolini. Quella che vediamo è “La bohème” come tutti l’abbiamo immaginato, precisa e dettagliata nei suoi elementi storico-ambientali, poeticamente immerse in atmosfere di un tempo perduto, della nostalgia per la gioventù sfuggente, degli amori che sfioriscono appena sbocciati, per le piccole cose di un tempo vicino, ma irrimediabilmente perduto. Le scene di Hohenstein sono rigorose, nitide, lontane da quell’eccesso di arredi e orpelli cui ci hanno abituati spettacoli più recenti, risultano efficaci e non inutilmente cariche. Gestisce il tutto con mano sicura la regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi che – supportati dalle belle di luci di Andrea Anfossi – crea un’atmosfera poetica e melanconica. La recitazione appare un po’ caricata ma a vent’anni nell’irruenza della vita è quasi un obbligo.
La parte musicale è affidata all’ esperienza di Daniel Oren che non cerca un’altra  “Bohème”, non cerca piani di lettura o suggestioni alternative. La sua è una direzione che si pone nel solco della tradizione, sa far cantare l’orchestra con assoluta maestria, fa rifulgere il melodismo pucciniano, gioca con la tavolozza dei colori orchestrali. Il direttore israeliano si abbandona al gusto melodico pucciano, senza farsi travolgere, il suo è un sentimentalismo sincero, non retorico – si ascolti il finale dove la marcia funebre di Mimì è quasi sommessa senza turgori eroici – che arriva inevitabilmente a segno.Cast formato in gran parte giovanile, apprezzabile per un’opera in cui la freschezza giovanile è fondamentale. Iván Ayón Rivas affronta Rodolfo con intensità e taglio personale. La voce è da autentico tenore lirico, ottima la tecnica vocale, notevole facilità di squillo che fa dimenticare un timbro piacevole ma forse non capace di imprimersi subito nella memoria. Sul piano interpretativo la sua prestazione è in crescendo. All’inizio tratteggia un Rodolfo un po’ rigido, per certi aspetti neppure troppo simpatico – una visione giusta,  dato che già nel II atto emergono certe asprezze caratteriali che spesso si sottovalutano. Dal  III atto  si assiste a un cambio di passo. Il duetto con Marcello e la successiva scena con Mimì hanno una sincerità espressiva che colpisce e strappa inevitabilmente qualche lacrima.
Maria Teresa Leva affronta Mimì con voce solida e sonora – in anni recenti ha affrontato con successo anche ruoli  più drammatici – piegata però con sensibilità alla parte della giovane fioraia. Il timbro ha una bella schiettezza lirica e gli acuti colpiscono per sicurezza e volume. Sul piano interpretativo non dispiace l’idea di un personaggio meno ingenuo e sentimentale, un po’ civettuolo, ma anche capace di grande espansione lirica quando emerge il dramma. Quando il pennello di Marcello da solo “traccia due pupille nere e una bocca procace” definendo in pochi tratti l’aspetto di Musetta sembra descrivere esattamente Hasmik Torosyan che del ruolo ha la presenza scenica  ideale. Vocalmente la Torosyan è un soprano leggero agile e brillante, dal corpo robusto e sonoro, facilissima in acuto, spiritosa e brillante nell’accento, in grado di  tratteggiare un personaggio completo, sotto ogni punto di vista.
Massimo Cavalletti conosce la parte di Marcello alla perfezione e fa valere tutto il mestiere nella caratterizzazione del personaggio. Interessante il Colline di Alessio Cacciamani giovane basso dalla bella cantabilità e dalle ottime qualità musicali espresse da una linea di canto morbida e omogenea, unita ad un fraseggio intenso e giustamente commovente nella “Vecchia zimarra”. Tommaso Barea è uno Schaunard efficacie sul piano scenico, non troppo incisivo su quello vocale. Veterano delle scene torinesi, Matteo Peirone affronta con consumato mestiere la doppia parte di Benoît e Alcindoro. Valido l’apporto delle altre parti di fianco. Ci si augura che questa buona ripartenza sia il viatico per una ripresa del teatro torinese e che la “stagion dei fiori” possa disperdere le nubi cupe che si sono addensate in questi anni sulla vita musicale torinese.