Giuseppe Verdi (1813-1901): “Nabucco” (1842)

A 180 anni dalla prima rappresentazione
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera. Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 9 marzo 1842.
Primi interpreti:
Giorgio Ronconi (Nabucco)
Prospero Derivis (Zaccaria)
Giuseppina Strepponi (Abigaille)
Giovannina Bellinzaghi (Fenena)
Corrado Miraglia (Ismaele)
Teresa Ruggeri (Anna)
Napoleone Marconi (Abdallo)
Gaetano Rossi (Gran Sacerdote di Belo)
Dopo Il fiasco di Un giorno di regno, l’impresario Merelli In tutta fretta toglie l’opera del cartellone scaligero e, quasi a voler riscattare il povero Verdi, ripropone l‘Oberto. L’esito di queste riprese non ricalca l’entusiasmo suscitato alla prima. Il “Corriere delle dame”, in data 20 ottobre 1840 scrive: “La musica, quella e specie del primo atto, parve a molti quest’anno più sbavata dell’anno scorso”. Verdi sempre di più è in preda a uno stato di prostrazione: rimanda i mobili a Busseto, deciso a lasciare Milano e altrettanto determinato ad abbandonare l’attività di compositore.
E qui nuovamente entra in gioco e l’impresario Bartolomeo Merelli, che offre il musicista  un nuovo libretto del Solera: da questo momento il racconto della nascita del Nabucco è in bilico tra leggenda e realtà. Gli aneddoti ne testimoniano una genesi quasi miracolosa, proprio a partire dalla lettura quasi casuale del celebre “Va pensiero” che animò Verdi alla composizione: “Mi rincasa, e con un gesto quasi violento gettai  il manoscritto sul tavolo… Il fascicolo, cadendo, si era aperto e senza sapere come, i miei occhi fissano la pagina… ” Va pensiero sull’ali dorate… “.
Al di là di racconti più o meno veritieri, la composizione del Nabucco procede spedita. Verdi ha ritrovato l’abituale spirito combattivo, e con la lucidità e la determinazione che gli è propria impone al povero Solera interventi drammaturgici sul libretto. Alla fine l’esito del Nabucco, la sera del 9 marzo 1842, è trionfale e rappresenta, secondo le parole dello stesso Verdi “Il principio della mia carriera artistica”. Un successo al quale hanno contribuito in modo non certo secondario frasi del tipo “Non far che  sul trono davidico sieda, fra idoli stolti l’assiro stranier” o ancora “Nei tuoi servi un soffio accendi che dia morte allo stranier”. Parlare di stranieri, di patria, di oppressione in una Milano governata dagli austriaci vuol dire infiammare gli animi, se poi sotto c’è la musica vibrante appassionata, il  successo è proprio assicurato. Ma in Nabucco non c’è solo il Verdi battagliero, patriottico, che spicca maggiormente; accanto c’è posto per i sentimenti più introspettivi, cari alla sensibilità verdiana: la nostalgia, il dolore, la sconfitta.
Di fatto, Oberto e l’episodio di Un giorno di regno sembrano lontani anni luce dal Nabucco. Tutto, in questa partitura ha una dimensione nuova, più vivida appunto. Colpisce la solennità, che potremmo definire biblica, e che trova espressione nel coro, vero protagonista dell’opera. Non più semplici episodi di raccordo tra una scena e l’altra, ma veri e propri affreschi corali: dall’iniziale “Gli arredi festivi” fino al tanto celebrato “Va pensiero”, pagina definita da Rossini “Una grande aria per soprani, contralti, tenori e bassi”. Il perentorio e quasi aspro linguaggio verdiano, che punta direttamente a una diretta  funzionalità drammatico-teatrale, è qui pienamente espresso: l’uso del recitativo, perfettamente saldato all’evento scenico e alla descrizione psicologica del personaggio, è l’esempio più evidente di questa ricerca. Accanto a quello che potremmo definire il coro-personaggio, Verdi riesce a tratteggiare con grande intuizione teatrale le figure di Zaccaria e Nabucco, personaggi a tutto tondo che già guardano al successivo sviluppo del teatro verdiano. Resta l’unicità di Abigaille, una femminilità impetuosa, graffiante e quasi ironica nella sua spasmodica sete di potere, resa da Verdi con toni aspri e taglienti che rendono a pieno il carattere ineluttabile e autodistruttivo.