Melodramma in un Prologo e tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, revisionato successivamente da Arrigo Boito. tratto dal romanzo “Simón Bocanegra” di Antonio García Gutiérrez. Prima rappresentazione: Venezia, Teatro La Fenice, 12 marzo 1957.
Primi interpreti:
Leone Giraldoni (Simon Boccanegra)
Giuseppe Echeverria (Jacopo Fiesco)
Luigia Bendazzi (Maria/ Amelia Grimaldi)
Carlo Negrini (Gabriele Adorno)
Giacomo Vercellini (Paolo Albiani)
Dicembre 1855 Verdi e la Strepponi ritorno a Sant’Agata. I progetti lavorativi non mancano, e subito Verdi mette mano allo Stiffelio: si deve operare un rifacimento per eliminare una volta per tutti i problemi con la censura. Verdi convoca Piave e gli affida il “travestimento” dell’opera che, con titolo di Aroldo, inaugurerà il Teatro Nuovo di Rimini nell’agosto del 1857. Frattanto sono in corso alcune trattative con i teatri alla Pergola di Firenze e San Carlo di Napoli; in quest’ultimo Teatro Verdi sognerebbe di rappresentare il tanto agognato Re Lear. Nel marzo 1856 Verdi si reca a Venezia per seguire una ripresa della Traviata alla Fenice. In questa occasione sottoscrivere l’impegno per la sua quinta opera veneziana da rappresentare durante la stagione 1856-57. Come è ormai sua consuetudine, il musicista verifica che la compagnia di canto sia l’altezza e in più chiede “alcune buone parti comprimarie”. Il soggetto scelto è tratto da un altro dramma dello spagnolo Antonio García Gutiérrez intitolato Simón Bocanegra ispirato la figura del Doge che con questo nome governa Genova dal 1339 al 1363, anno in cui viene avvelenato da un nobile genovese durante un banchetto. Verdi lavora al Boccanegra durante un nuovo soggiorno parigino per mettere in scena, all’opera, la versione francese del Trovatore. Un impegno oneroso, vista la complessità degli allestimenti del teatro parigino, ma che non lo distolgono dall’impegno con La Fenice, come conferma il fitto carteggio con Piave. Insoddisfatto di alcune parti del testo di Piave e pressato dalla scadenza vicina, Verdi chiede aiuto e Giuseppe Montarelli, uomo politico e drammaturgo toscano, in esilio a Parigi, perché sistemi alcune scene.
Il lavoro, tuttavia non procede alacremente e così, al suo rientro in Italia, il 12 gennaio del 1857 è ben lontano dall’essere terminato. Il 18 febbraio, all’inizio delle prove a Venezia, manca ancora un atto e tutta la strumentazione della partitura. Il Simon Boccanegra va finalmente in scena il 12 marzo, ed è un insuccesso di pubblico, mentre la critica non manca di elogiare la coerenza drammatica della musica, l‘eleganza della strumentazione, oltre a un ispirato uso della melodia, anche se mancano alcune perplessità che riguardano il canto troppo “declamato, e la complessità della trama, non sempre vhiara. Il guaio è che il Boccanegra non decolla. gli esiti altrettanto negativi delle riprese successive sembrano decretare la condanna definitiva e senza appello del Boccanegra.
È facile comprendere questo insuccesso di pubblico. Il Boccanegra è un’opera dove non abbondano aria, lo stesso Simone non ne ha nemmeno una, e quelle che ci sono hanno un valore principalmente drammatico e non sono certo pagine che trascinano il pubblico. Ventitré anni dopo il tenace Giulio Ricordi, dopo aver dopo vari tentativi caduti nel vuoto, riuscì a convincere Verdi a riprendere la partitura.
Fondamentale l’incontro con il musicista e letterato Arrigo Boito, una collaborazione importante che porterà alla nascita degli ultimi capolavori verdiani, Otello e Falstaff. Verdi e Boito inizia un intenso lavoro di revisione, perché il musicista si rende contro che “il tavolo era zoppo ma, aggiustando qualche gamba, potrà reggersi”, allo stesso tempo bisogna agire “come se si trattasse di un’opera nuova…”. Con un paziente lavoro di raccordo e modifiche, Verdi riesce a fondere omogeneamente i suoi stili del 1857 e del 1881, intervenendo ancor più sulle curvature melodiche del canto per favorire una drammatizzazione più intensa. Tra le parti introdotte ex novo via la grandiosa scena del consiglio che chiude il primo atto, nella quale il coro assume ruolo tutt’altro che secondario alla vicenda. Tutta l’opera era chiusa in un atmosfera di cupa inquietudine, dalle quali emergono e si stagliano le figure di Simone e Fiesco. Verdi e Boito, infine, danno un ulteriore risalto il personaggio di Paolo, un autentico malvagio. I due lavorarono intensamente durante tutto l’inverno 1880-81 e alla fine Simon Boccanegra è pronto a riprendere la sua nuova vita. La sera del 24 Marzo 1881 l’opera raccoglie alla Scala la dovuta consacrazione e Verdi può finalmente affermare quanto “fossero state bene aggiustate le gambe rotte del vecchio Boccanegra”.