Gioachino Rossini (1792-1868): “Demetrio e Polibio” (1812)

Dramma serio in due atti su libretto di Vincenzina Viganò Mombelli. Prima rappresentazione: Roma, Teatro Valle, 18 maggio 1812.
Primi Interpreti:
Domenico Mombelli (Demetrio)
Ludovico Olivieri (Polibio)
Ester Mombelli (Lisinga)
Marianna Mombelli (Siveno)
(Rossini compose la musica nel 1808-9 su richiesta della famiglia Mombelli)
Demetrio e Polibio, l’abbiamo detto, è un’opera giovanile. Rossini la compose quando studiava ancora sotto la direzione dei padre Mattei al Liceo Musicale di Bologna. A quell’epoca era legato alla famiglia Mombelli. Non aveva ancora diciotto anni. Vincenzina Mombelli (che era la sorella di Viganò, il grande maestro di ballo che Stendhal portava in palmo di mano) gli aveva dato da mettere in musica, frammento per frammento, i numeri di un’opera di cui lei aveva scritto il libretto – uno dei libretti più mediocri in un epoca in cui purtroppo i libretti mediocri non mancavano!
L’opera viene rappresentata dalla famiglia Mombelli a Roma nel 1812 assente Rossini. Il pubblico del Teatro Valle, nonostante fosse quanto mai difficile scettico, accolse favorevolmente l’opera del giovane compositore. Ogni sera veniva sollecitato il bis per il duetto tra Lisinga e Siveno “Questo cor ti giura amore”. Come stupirsene?
Quel brano rivelava una tale felicità melanconica! Fu il primo di quei sublimi duetti, qui tra un soprano (Lisinga) e un contralto (Siveno), in cui avrebbe eccelso Rossini.
È come se, proprio per tradurre quelle fragile intese tra amanti, Rossini avesse avuto bisogno dell’unione, dell’accordo perfetto, della sensualità di due voci di donna, e di quella differenza spesso impercettibile tra loro, che è già come la spaccatura, il dissapore, il peso del dramma che le separa. In  momenti come questi l’inverosimiglianza dei libretti, l’estrema povertà delle situazioni non esistono più. Restano solamente, e si contrappongono, la delicata e sconcertante fusione di timbri appena diversi e appena simili, quest’indecisione sui sessi, questo erotismo così puro nel suo accettato equivoco.

Ma Demetrio e Polibio, ammettiamolo, possedevo un argomento troppo leggero per un gran dramma serio. La sua orchestra sarebbe stata più adatta ad un’opera buffa. L’opera era inondata di un sentimentalismo un po’ facile. L’errore non era solo di Rossini. Il difetto di fondo del libretto consiste nel fatto che non contiene nessuna scena veramente drammatica e manca di un personaggio malvagio. Agendo slealmente, rapendo la figlia del re rivale (che aveva stranamente confuso col proprio figlio!), Demetrio, in fondo non è mosso da altro che dall’amore paterno. Il personaggio del tenore non può mai essere completamente un cattivo. E la sua aria del primo atto “Clemente ciel, che ai miseri”, è anzitutto quella di un uomo ferito e straziato, afflitto dal figlio.
Rimane il fatto che per la più parte di quest’opera, le scene d’azione (come il rapimento di Lisinga) sono un po’ meccaniche e statiche. Rossini non ha ancora acquisito la sua maestria di uomo di teatro. Il canto non è ancora pienamente libero. I lunghi lamenti di Lisinga, nella quarta scena del secondo atto, “Vendetta vi chiedo”, sono stati scritti da un buon allievo di padre Mattei, o poco più. I cori conservano qualcosa ad accademico e di lento. (estratto da “Gioachino Rossini” di Fréderic Vitoux, Parigi, 1982)