Gioachino Rossini (1792-1868): “La scala di seta” (1812)

Farsa comica in un atto su libretto di Giuseppe Foppa. Prima rappresentazione: Venezia, Teatro San Moisè, 9 maggio 1812.
Primi interpreti:
Gaetano Del Monte (Dormont)
Maria Cantarelli (Giulia)
Carolina Ungher (Lucilla)
Raffaele Monelli (Dorvil)
Nicola Tacci (Germano)
Nicola De Grecis (Blansac)
Altra adorabile riuscita quella della Scala di seta su di una vicenda ingarbugliata come si deve. (…) un valletto pasticcione e una scala dimenticata moltiplicheranno i qui pro quo. Ma non corre inquietarsi. In questo labirinto il filo d’Arianna è costituito dalla musica di Rossini, che corre da un capo all’altro dell’opera leggera e spiritosa, tenera e maliziosa.
Per il Piccolo Teatro di San Moisè, Rossini disponeva di mezzi ridotti: una piccola orchestra, niente coro, qualche cantante secondario, scenografie mediocri. Ma tutto questo gli bastava ampiamente. L’ouverture vispa, dotata di una gaiezza melodica insolente (che Stendhal curiosamente confondeva con quella del Signor Bruschino) dàun tono di commedia che si adorna talora di grazie mozartiane.
Quando Giulia esclama: “Quanto pena un’alma amante”, verrebbe da paragonarla volentieri a una cuginetta e di Fiordiligi e Dorabella, le due sorelle del Così fan tutte: il suo personaggio ne ha il fascino melanconico, ulteriormente accentuato dalla meravigliosa cavatina della scena XIV: “Dorma ognuno in queste stanze”.
Persino Germano, il domestico maldestro, si lascia scappare dei sospiri delicatamente aristocratici: “Amore dolcemente / Tu prima accende il core…” Ma Rossini si riprende molto in fretta e scaccia Mozart, le nubi, le nostalgie, i rimpianti, le pene, le armonie troppo serie, i pianti, le ombre, le gravità segrete. La sua musica si ridesta in una delicata frivolezza, una pura felicità melodica, la gaiezza dei lustrini, gli splendori spensierati della commedia.
La scala di seta sembra essere stata composta da Rossini per sfociare nel sestetto finale, quando suona mezzanotte, l’ora dell’amore, delle coppie riunite, dei qui pro quo dipanati, delle riconciliazioni prevedibili e delle scale di seta che vengono ritirate dal momento che gli amanti non lasceranno più le loro donne. Questo sestetto Rossini lo stappa come una bottiglia di champagne: “Finir convien la scena /  Sbrigatevi e scendete…”, e lo fa spumeggiare con una melodia che rimbalza da un personaggio all’altro, li esalta, li inebria, li perdona, in un crescendo infinitamente sensuale maneggiato dal compositore di vent’anni. (estratto da “Gioachino Rossini” di Frédéric Vitoux, Parigi 1982)