Torino, Conservatorio Giuseppe Verdi
Pianoforte Pietro De Maria
Ludwig van Beethoven: Sonata in do maggiore op. 2 n. 3; in sol maggiore op. 31 n. 1; in do minore op. 111
Torino, 19 maggio 2021
Al Conservatorio di Torino, per l’Unione Musicale, il 19 di maggio prosegue la stagione con la terza tappa dell’integrale delle Sonate per Pianoforte di Beethoven con Pietro de Maria alla tastiera.
Le chiusure di questi mesi ne hanno terremotato le date, distanziando di molto gli appuntamenti, febbraio e ottobre 2020 i precedenti. La dilatazione dei tempi, unita all’effimero dell’evento concerto, non aiutano, se non vagamente, a fissare una visione complessiva di un’interpretazione a puntate. Ci si affida a ricordi di sensazioni e a qualche appunto sul diario del frequentatore di concerti.
Il Beethoven di de Maria, è frutto di una tecnica agguerritissima, con grande cura della struttura dell’opera e con parsimonia “affettiva”. La bellezza del suono non è prioritariamente ricercata e non vengono caratterizzate le presunte tre stagioni compositive beethoveniane. Complessivamente si ha un ricordo di un Beethoven poco fiammeggiante, tendente al grigio. In quest’ultimo concerto queste peculiarità si sono ulteriormente accentuate. Credo che lo stress psicologico (e non solo) che la pandemia ha generato non abbia risparmiato il pianista. Se prima il colore dominante era i grigio ora di nero si tratta. Suoni cupi, aspri, ossessivi.
La sonata in Do Maggiore op2 n3 (1795), in apertura di serata, la si può descrivere solo in negativo: non ha né le galanterie settecentesche, né il sereno illuminismo hayndiano, non indugia su piano p e pianissimo pp ma si concentra su forte f, fortissimo ff e sforzando sf. E’ un’interpretazione che disorienta l’ascoltatore a cui, per quanto abbia cercato un raffronto, non son riuscito a trovare paragone. I tempi sono quelli consueti della tradizione pianistica neoclassica, la dinamica è del tutto personale. Se per i passati due concerti i miei ricordi portavano a Serking, le cupezze attuali lo escludono. La sonata in Sol maggiore op31 n1 (1802) che segue, ripete il clima della precedente, Siamo nel periodo “eroico” napoleonico, ma qui nulla di eroico, nessuna resistenza e vittoria contro un destino crudele. Cupa rassegnazione e forse paura, silenziate da un ordinato fragore dominante, come quando in casa o negli auricolari si tiene la radio a tutto volume per evitare l’insorgenza di cattivi pensieri. Alla fine, la sonata in do minore op111 (1822) un primo tempo in linea con quanto sopra. Ormai, con ansia, aspettiamo l’Arietta: adagio molto semplice e cantabile con le sue 5 (6?) variazioni. Ben giustificata l’ansia! Di molto semplice e cantabile in questo percorso verso il Nirvana beethoveniano non c’è traccia. I trilli, i bassi ribattuti e arpeggiati, invece di far da ornamento e amichevoli aiuti e compagni alla vetta si trasformano in ossessive minacce Ti vien da metterti le mani sulle orecchie per attenuarne l’impatto. Non è ancora finita. Pur se gli entusiasmi erano contenuti, per le note cause maggiori, la sala era semivuota, de Maria ci ha dato tre fuori programma sicuramente scelti e messi in lista in funzione dello specifico concerto.
Domenico Scarlatti: sonata K146 in SOL Maggiore sembra più di essere in una trincea della Prima guerra mondiale che non in un salone della reggia di Aranjuez nei primi decenni del’700. Per misurare l’effetto delle chiusure, è indicativo lo scarto di umore che si coglie ascoltando su yuotube lo stesso pezzo con lo stesso interprete in un’esecuzione pubblica di febbraio 2020. L’agogica è identica, la dinamica è assolutamente più contundente. Mi auguro che de Maria faccia di Scarlatti un programma di concerto o di incisione. La sua visione attuale aiuterebbe ad una miglior comprensione del ‘700 e del tardo barocco: non solo balli e crinoline, ma vaiolo, peste , miseria, guerra e morte di cui l’autore era ben cosciente visto che ci viveva e ci soffriva. Frédéric Chopin: Piano sonata op58 – finale. Il clima della serata con una forte scivolata verso Scriabin e il suo nero artefatto, si conferma. Per quanto contundente, autentico e sincero è de Maria; mai Scriabin. Conclusione con Johann Sebastian Bach: Sarabanda dalla Partita 1 BWV825. Bach smorzatore di cattive passioni e rasserenatore? Forse de Maria ci crede o, più probabile, ci vuol credere. Per tutto il concerto, in tutti i pezzi, il pedale di risonanza ha avuto un intensissimo utilizzo e ha contribuito sostanzialmente alla definizione del clima sonoro. Per i barocchi Scarlatti e Bach e la destinazione clavicembalistica dei loro pezzi, non c’è stata pietà: pianoforte e pedale senza risparmio. A noi, se è Pietro de Maria a suonare, piace moltissimo anche così. Aspettiamo con ansia il 7 di Luglio, per la 4° tappa, coscienti che se è la pandemia che ci ha portati a questi esiti e a queste sensazioni, ci vorrà tanto tempo a guarirne. Se mai ne guariremo.