Coloratura!(1)

Chi ha paura della coloratura? Di certo  i wagneriani più sfegatati e quelli che pensano  che la musica debba restare appiccicata alla parola, farsene la serva umilissima. Soprattutto nella prima parte del XX° secolo, e alla fine del XIX° secolo, il belcanto era considerato una manifestazione di puro edonismo e, come tale, non era ammesso. Il  comportamento verso l’edonismo canoro di questa società era un po’ simile a quello che avevano nei confronti del sesso. Guai chi amava il canto come manifestazione di gioia.  Toscanini, sembra, che odiasse il belcanto, infatti, non solo non era stato capace di interpretare decentemente una partitura che precedesse  l’epoca di Verdi, ma pare addirittura abbia impedito di mettere piedi alla Scala a una delle più grandi cantanti dell’epoca, Luisa Tetrazzini che spregiativamente considerava la “cantante pirotecnica”.  Toscanini preferiva alle belle voci, voci più bruttine che, secondo lui, erano più musicali. A questo proposito aveva tutte le sue buone ragioni, erano più obbedienti alle sue direttive. Toscanini era un grande direttore dell’epoca post-belcantistica, ammesso che esista una tale epoca. Esiste nell’opera italiana: mentre Verdi non scriveva più parti belcantistiche,  in Francia e in Inghilterra la coloratura sopravviveva ancora.
Abbiamo parlato di Toscanini ma, in generale, tutta la cultura dell’epoca era nemica, sulla scia Benedetto Croce, del Barocco (sappiamo bene che il Barocco è l’epoca in cui la coloratura nacque), liquidato in termini di  decadenza, superficialità, edonismo, esteriorità. Non parliamo poi dei “castrati” considerati un’istituzione barbarica, un orrore una mostruosità. Sarà anche vero, ma anche al XX° secolo non ha certo avuto  alcun diritto di insegnare civiltà al XVIII secolo. La coloratura nacque  nel Barocco con l’opera del 1600 e poi si sviluppò nel 1700 ed è rimasta fin quasi ai giorni nostri esibizione di bravura, sfida, con tutto quel retroterra culturale che questo di tipo di teatro porta con sé. Nella creazione del Barocco del Belcanto l’Italia era in prima linea. Forse, nell’opera italiana, non c’è mai stata una totale “obbedienza alla parola” che Gluck considerava indispensabile, ma che Mozart e Rossini consideravano deleteria, c’era invece l’esaltazione degli affetti (ad esempio il “furore”, nell’opera barocca e anche dopo, si esprimeva nell’esibizione di “coloratura”).
Nel nostro percorso nel canto di coloratura non andiamo troppo indietro nel tempo ma partiamo da Mozart, il quale compie un’operazione abbastanza sorprendente. Nelle sue opere italiane troviamo molti esempi di personaggi femminili che si basano quasi esclusivamente sul canto di coloratura. Quello che invece è stato fondamentale è l’inserimento da parte di Mozart di  personaggi di coloratura femminili nel Singspiel tedesco e questa è stata una novità strutturale notevolissima. Cominciò con “Die entführung aus dem serail” (Il ratto dal Serraglio), aiutato dal fatto che aveva a disposizione per il ruolo di Costanza la celebre Caterina Cavalieri (1755-1801), cantante di grandi possibilità virtuosistiche. Costanza diviene così un personaggio femminile tipico, virtù astratta, “roccia” inviolabile della morale, che si esprime appunto con la bravura. Costanza è incrollabilmente fedele al suo  amore e al dovere. Di fronte a Selim (che nell’opera è un ruolo affidato a un recitante, anche questo un particolare interessante) che si è messo in testa di conquistarla, non già con la violenza o  con il potere, ma con il suo amore. Nell’atto primo ha il suo primo tentativo di convincere Costanza a ricambiare il suo amore. La donna gli risponde con un’aria (“Ach, ich liebte…”), la cui seconda parte è tutta coloratura, che diventa espressione della sua determinazione alla virtù.

Perché abbiamo detto che la coloratura è una sorpresa nel “Singspiel”. Questo genere, prima di Mozart, era una forma di spettacolo popolare, veniva dalla provincia tedesca, e i contenuti e i personaggi erano molto semplici, così come la struttura musicale era elementare. L’inserimento di un personaggio con delle possibilità virtuosistiche come Costanza era assolutamente impensabile. Andiamo al secondo atto. Qui vi è l’escalation del virtuosismo. Selim Pascià torna a pregare la gelidissima donna. Alla fine, esasperato Selim finisce per invocare il suo potere e dice: “Non temi il mio potere?” Costanza gli risponde: “Non mi aspetto altro che la morte”. “Non la morte”, dice il Pascià, “ma tutte le torture”. Qui inizia la famosissima aria “Marten aller arten” (Tutte le torture) uno dei più ami “numeri chiusi” di tutto il teatro musicale, in cui Costanza dichiara di disprezzare tutte le torture e di difendere la sua virtù incrollabile. Dal punto di vista musicale, quest’aria è straordinaria perché è concertante per quattro strumenti: violino, violoncello, flauto e oboe. La voce umana entra in gara con ben quattro strumenti.

Nell’altro singspiel di Mozart, “Die zauberflote” (Il flauto magico) troviamo ancora il canto di coloratura affidato a un altro personaggio femminile: la Regina della Notte, che rappresenterebbe il male. Ma fino a che punto?… In realtà rappresenta un mondo di piacere, di amore terreno, contrapposto al rigorismo morale e gli iniziati. In un  un certo senso Mozart ha una segreta compiacenza per questo personaggio. Anche qui troviamo una femminilità astratta, che si incarna in una figura materna che però è gelida, astrale appunto. La regina della notte. La prima aria (“O zittre nicht”) ce la mostra come una madre piuttosto ricattatrice, portata al vittimismo si dichiara destinata a soffrire.
La seconda aria della Regina della notte (“Der holle rache”) è proprio quella che nella vecchia opera serie italiana si chiamava “aria di Furore”, cioè un’esplosione d’ira che il musicista esprime proprio attraverso la coloratura che si infittisce sempre di più nella scrittura. È l’aria in cui la regina della notte annuncia che si vendicherà del trattamento che le viene riservato. In queste arie, Mozart ritrae una femminilità che, nella  coloratura, crea una smagliante armatura che racchiude e difende l’ego. Il compositore ha sempre mostrato una forte sensibilità nella visione della donna: quella tenera (Pamina e la Contessa), ma anche quella materna, distante, virtuosa al massimo e vendicativa. Qui si colloca Donna Anna, con le sue continue maledizioni e il suo moralismo granitico. (Fine prima parte)