Cremona, Monteverdi Festival 2021: “Ballo delle ingrate” & “Combattimento di Tancredi e Clorinda”

Cremona, Teatro Amilcare Ponchielli, Monteverdi Festival 2021  BALLO DELLE INGRATE
Ballo in genere madrigale rappresentativo di Ottavio Rinuccini
Musica di Claudio Monteverdi
Amore SONIA TEDLA

Venere GIUSEPPINA BRIDELLI
Plutone DAVIDE GIANGREGORIO
Un’ingrata CRISTINA FANELLI
“COMBATTIMENTO DI CLORINDA E TANCREDI”
Madrigale rappresentativo su testo di Torquato Tasso
Musica di Claudio Monteverdi
Clorinda ROBERTA MAMELI
Tancredi LUCA CERVONI
Testo RAFFAELE GIORDANI
Orchestra Il Pomo d’Oro
Direttore e cembalo Francesco Corti
Progetto artistico Anagoor
Regia, video concept, montaggio, scene e costumi Simone Derai
Direzione della fotografia Giulio Favotto
Light designer Fiammetta Baldiserri

Nuovo allestimento coproduzione Fondazione Teatro “A. Ponchielli” Cremona, Fondazione I Teatri Reggio Emilia
Cremona, 19 giugno 2021
È una coraggiosa scelta, quella di creare un dittico monteverdiano con “Il ballo delle ingrate” e “Il combattimento di Tancredi e Clorinda”, per molti motivi: in primis l’affascinante prima pièce è un ballo senza ballo, giacché la parte principale di questo masque – come si sarebbe chiamato in Inghilterra e in Francia – non ci è pervenuta; poi, il “Combattimento”, pur essendo stato messo in scena a Palazzo Mocenigo nel 1624, oggi ci pare un madrigale da gustarsi molto più in forma concertistica che scenica, non fosse altro per il ruolo debordante della voce narrante sulle sparute brevi battute di Tancredi e Clorinda; inoltre le due operine non sono state pensate una accanto all’altra, tutt’altro: sedici anni le separano, col “Ballo” espressione di una sensibilità ancora elegiaca e manierista, mentre il “Combattimento” già si nutre di un meno prudente barocco, e di consapevolezza dei rapporti narrativi tra musica e testo (la famosa seconda prattica monteverdiana). Accostarle avrebbe potuto essere un’operazione sterilmente preziosa, erudita, senza una vera ragione teatrale: invece, sia dal punto di vista musicale che drammaturgico, questi madrigali drammatici risultano caratterizzati entrambi da una streben, una tensione in più direzioni, che l’attenta concertazione di Francesco Corti non manca mai di sottolineare, con intensità e atmosfere rarefatte nel “Ballo” e con grande vivacità nel “Combattimento”, e sulla quale si incentra l’intero progetto artistico curato da Anagoor, collettivo teatrale di Castelfranco Veneto. Insomma: un dittico c’è, ed è un dittico del crescente struggimento e della caduta delle maschere – come nel finale del “Combattimento”, ma anche del “Ballo”, che vedeva due uomini (marito e suocero) pubblicamente ammonire la diciannovenne Margherita di Savoia per la sua ritrosia e riservatezza di neo sposa. Questo clima di tensione è ricreato in sala fin dall’ingresso, che vede un teatro in penombra e un gigantesco schermo illuminato di rosso dominare la scena e gettare l’intero Ponchielli in un’inquietante atmosfera d’attesa. Lo schermo si rivela presto essenziale: Anagoor, infatti, e nello specifico il suo fondatore Simone Derai, propone in realtà due cortometraggi su musica dal vivo, e, bisogna dirlo, parecchio arbitrarie paiono le scelte di messa in scena: infatti, piuttosto che limitarsi a una colonna sonora dal vivo, che permetta di godere appieno del contenuto filmico, Derai decide di drammatizzare anche gli interpreti in scena, con effetti controproducenti da ogni punto di vista, giacché senza alcuna ragione apparente decide di mettere i cantanti in tute di acetato rosse o nere – sì, proprio quelle con le bande bianche di lato – che mortificano soprattutto le interpreti femminili (e non che all’interprete maschile doni). Dato che il cortometraggio vuole giocare sul concetto di “inferno” della corte gonzaghiana per la giovanissima e fissile Margherita, che vede scatenarsi attorno a sé una specie di ballo tribale in costume rinascimentale, forse anche la dissennata scelta costumistica in scena vuole continuare quest’aggressione alla femminilità, ma l’effetto ottenuto è solo una inspiegabile quanto inguardabile diminutio. Di tutt’altro tenore il cortometraggio sul “Combattimento”, che al concettuale sostituisce il narrativo, riproponendo un effettivo combattimento di scherma tra due adolescenti: ancora una volta l’intervento sul palco pare peregrino, ma, per lo meno, non inficia la godibilità del film, riproponendo in veste di schermidori i due protagonisti. Questo secondo corto gioca anche di più con la musica, che già nel testo tassesco e nella partitura è quasi cinematografica, e in questa giusta direzione si è mosso il montaggio del film. I ruoli canori, invece, sono stati tutti resi con grande maestria dagli interpreti: brillano in questo contesto soprattutto l’ingrata Cristina Fanelli e il narratore del “Combattimento” Raffaele Giordani: lei sfodera un fraseggio pieno di sfumature e una vocalità intensa e pastosa, per quanto leggera, non scevra da piacevoli armonici, che ne mettono in luce una tecnica rigorosa, oltre che belle possibilità espressive. D’altronde il ruolo, a suo tempo, “sforzò alle lacrime” (come non manca di notare anche la nota musicale a cura del direttore Corti), e bisogna ammettere che il lavoro della Fanelli rende onore a questa definizione. Diversamente, l’interpretazione di Giordani stupisce e ammalia per la torrenziale fiumana di parole, accenti, emozioni, che interpreta sempre con precisa intonazione e padronanza della linea di canto, cui, comunque, non fa mancare la ricchezza nel fraseggio; e benché sia la conclusione di Clorinda che dovrebbe “muovere all’affetto di compassione” – per citare gli effetti che questo madrigale ebbe sul pubblico della sua premièreè il grande sforzo del Testo a restare maggiormente impresso, stavolta – senza nulla togliere alla bella prova di Roberta Mameli, che già si è messa in luce ne “L’Orfeo”. Fra gli altri ruoli certo spicca la Venere di Giuseppina Bridelli, il cui timbro caldo di mezzosoprano conferisce fascino alla parte altrimenti un po’ stereotipata della dea della bellezza e dell’amore – Amore che in scena vede peraltro la buona resa di Sonia Tedla. Il Plutone di Davide Giangregorio sembra, inevitabilmente, una continuazione dello stesso ruolo sostenuto dallo stesso artista la sera precedente, ne “L’Orfeo”: la bella linea di canto del basso beneventano, tuttavia, qui ha forse maggiore possibilità di lasciar trasparire un canto espressivamente più sfumato e un apprezzabile recitar cantando. Oggettivamente breve, invece, la parte di Tancredi, che Luca Cervoni interpreta con correttezza. Il pubblico in sala sembra apprezzare molto l’intero progetto, e spinge a diverse chiamate d’applauso l’intero cast, musicale e creativo. Si replicherà a Reggio Emilia, al Teatro Valli, il 6 e l’8 luglio. Foto Marco Ayala