Torino, Cortile di Palazzo Arsenale, Regio Opera Festival 2021
“L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani, da Le philtre di Eugène Scribe
Musica di Gaetano Donizetti
Adina MARIANGELA SICILIA
Nemorino BOGDAN VOLKOV
Belcore GIORGIO CAODURO
Dulcamara MARCO FILIPPO ROMANO
Giannetta ASHLEY MILANESE
Assistente di Dulcamara (mimo) MARIO BRANCACCIO
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del coro Andrea Secchi
Maestro al fortepiano Luca Brancaleon
Regia Fabio Sparvoli
Scene Saverio Santoliquido
Costumi Alessandra Torella
Luci Andrea Anfossi
Allestimento del Teatro Regio di Torino
Torino, 15 giugno 2021 (prima rappresentazione)
In tempi recenti non si può certo dire che al Teatro Regio di Torino siano mancate le difficoltà. Quelle, ben note, legate al periodo di pandemia, si sono sommate alle precedenti problematiche finanziarie, che hanno portato, l’anno scorso, al commissariamento della Fondazione, affidata a Rosanna Purchia, il cui mandato da commissario straordinario scade nel mese di settembre. Inoltre, il palcoscenico del teatro necessita di una manutenzione straordinaria per adeguamenti tecnici, che lo renderà inagibile per un intero semestre. Di fronte a queste circostanze sarebbe stato facile sospendere le attività in attesa di tempi migliori; ma la dirigenza del Regio ha deciso di rilanciare e recuperare il tempo perduto a causa del coronavirus, programmando un intero festival estivo all’aperto che comprende sei opere, nove concerti e alcune iniziative destinate ai ragazzi. Come sede, si è scelto il cortile del settecentesco Palazzo dell’Arsenale, oggi sede della Scuola d’Applicazione dell’Esercito, che per la prima volta si apre a una fruizione pubblica da parte della cittadinanza (e questo ha permesso di giocare con le parole, sottotitolando la rassegna “A difesa della cultura”). La cornice, fresca di restauro, è sicuramente suggestiva, tanto più in queste serate, nelle quali gli spettacoli si svolgono per metà durante il crepuscolo e per metà di notte; ma non si può dire che abbia un’acustica ottimale (assai rara, del resto, nelle location all’aperto), e la gestione dell’amplificazione è decisamente perfettibile, in particolare quando sono in gioco volumi sonori più corposi. Si spera che questi problemi tecnici possano essere risolti o almeno attenuati al più presto; e, analogamente, si suggerisce di ripensare il percorso di ingresso del pubblico, sfruttando tutti i varchi di accesso al cortile, per evitare la formazione di lunghe code sui marciapiedi.
Il titolo scelto per l’inaugurazione del festival non pare casuale: si tratta, infatti, dello stesso spettacolo che, nel mese di aprile scorso, ha concluso la programmazione in streaming della stagione 2020-2021 (qui recensito da Giordano Cavagnino), riproposto ora dal vivo con locandina quasi invariata (cambia solo il nome del direttore, che all’epoca era Stefano Montanari). Un trait d’union che sottolinea la continuità delle attività del teatro, e si spera di buon auspicio per un progressivo ritorno alla normalità. L’allestimento, firmato da Fabio Sparvoli, si può ormai considerare un classico del Regio; ambienta la vicenda nell’Italia del dopoguerra, con una regia leggera e spigliata che qua e là indulge un po’ troppo alla gag, e sembra pensato apposta per un festival all’aperto su un palcoscenico privo di grandi macchinari, al quale partecipa un pubblico che si immagina composto, almeno in parte, di neofiti. Il versante musicale, penalizzato da ragioni squisitamente tecniche, dal punto di vista artistico è stato pregevole: infatti, al di là delle condizioni acustiche non ottimali, si sono potuti percepire interpreti dotati di ottimi mezzi e di sensibilità stilistica, che sanno tratteggiare compiuti ritratti umani; e non ci si lamenterà troppo, nel contesto del festival estivo, di alcuni sia pur spiacevoli tagli nelle riprese melodiche. È stato una gradevole scoperta Bogdan Volkov, tenore di grazia pulito nell’agilità e controllato nell’emissione, che esce morbida sul fiato e arricchita di mezze voci nella «Furtiva lagrima». Il suo è un Nemorino ingenuo e tenero, disarmante nella propria semplicità. Adina trova in Mariangela Sicilia un soprano brillante dalla coloratura precisa, che emerge a tutto tondo nell’aria finale, dove sa accostare ai fuochi d’artificio della cabaletta una vena sentimentale spiccata e sfumata di nostalgia di cui ammanta il cantabile. Il baritono Giorgio Caoduro (Belcore) sfoggia un sillabato sicuro nel duetto con Nemorino, mentre nel I atto si fa ammirare, più che per le gag iniziali, per gli accenti di sarcasmo e di disprezzo con cui investe il giovane innamorato nel corso del finale. Il buffo Marco Filippo Romano tratteggia un ritratto vivido e spigliato del ciarlatano Dulcamara. Ashley Milanese (Giannetta) e Mario Brancaccio (assistente muto di Dulcamara) completano con professionalità un cast di rilievo, che sarebbe stato meglio valorizzato da un’esecuzione in teatro chiuso. Il direttore Matteo Beltrami ha tenuto le redini delle compagini artistiche con attenzione e raffinatezza, anche se poco ha potuto a fronte delle difficoltà di amalgama dovute all’acustica dell’ambiente e alla diffusione del suono.