98° Arena di Verona Opera Festival 2021: “Nabucco” – Quando Babilonia è un lager

98° Arena di Verona Opera Festival 2021
“NABUCCO”
Dramma lirico in in quattro parti di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco AMARTUVSHIN ENKHBAT
Ismaele SAMUELE SIMONCINI
Zaccaria RAFAL SIWEK
Abigaille ANNA PIROZZI
Fenena TERESA IERVOLINO
Il Gran Sacerdote di Belo ROMANO DAL ZOVO
Abdallo CARLO BOSI
Anna ELISABETTA ZIZZO
Orchestra, Coro, Ballo dell’Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Vito Lombardi
Video design e scenografie digitali D-Wok

Nuovo allestimento Fondazione Arena
Verona, 24 luglio 2021
Dopo lo sfortunato esordio, con la prima saltata a causa del maltempo, Nabucco è andato in scena confermandosi opera molto amata dal pubblico e tra le più rappresentate in Arena. Famosi sono gli allestimenti di Gianfranco De Bosio (forse il più tradizionale) e quello kolossal firmato da Vittorio Rossi nel 1989 con grande sfavillìo di oro e gran dispiegamento di comparse ma anche quello più recente, ambientato nella Milano risorgimentale, ideato e diretto da Arnaud Bernard. La messa in scena del corrente festival, sempre a cura della Fondazione Arena, ha scelto una nuova ubicazione storica questa volta in epoca nazista con il protagonista non re di Babilonia bensì ufficiale delle SS al comando di un lager nel quale tutti i personaggi si muovono secondo il proprio ruolo. Una soluzione che si scontra con il libretto e la stessa vicenda così come fu concepita da Verdi e Solera, con pentimenti tardivi, conversioni, liberazione del popolo d’Israele; un Kommandant ispirato insomma alla figura manzoniana dell’Innominato. Una scelta questa che lascia alquanto perplesso il sottoscritto, se non altro perché mescolare la Bibbia con gli eventi nefasti del nostro passato può risultare anche fastidioso. Estraniandoci da ogni dietrologia, è tuttavia doveroso ammettere che lo spettacolo è ben sostenuto nell’apparato scenico e costumistico e nella ricostruzione storica con effetti di particolare realismo negli atti di crudeltà nazista. Veniamo alla parte musicale che vedeva ancora una volta sul podio l’esperta bacchetta di Daniel Oren, da trentasette anni ormai presenza fissa a Verona. Per il maestro israeliano Nabucco è diventata una seconda pelle e lo si capisce dalla vigorosa, ma mai eccessiva, compenetrazione della partitura con una variegata scelta di dinamiche e di timbri ed un efficace controllo della compagnia di canto. Una perizia nel dettaglio che gli consente persino di superare lo scoglio, ben presente in questo titolo operistico, degli interventi corali che conferiscono a Nabucco una particolare connotazione più affine all’oratorio che all’opera. Il grande affresco corale verdiano, purtroppo, non sempre è riuscito calibrato nella sincronia con l’orchestra ma soprattutto le voci areniane erano sostanzialmente prive di un colore proprio, incapaci (loro malgrado, penalizzate ancora una volta dal posizionamento sui gradoni, fuori scena) di partecipare attivamente alla drammaturgia. Anche il momento topico del Va’ pensiero, bissato come da tradizione, è risultato nervoso nel tentativo di un controllo capillare dell’assieme. Il cast vocale vedeva nel ruolo del protagonista il baritono Amartuvshin Enkhbat, un Nabucco di particolare intensità timbrica e dall’adeguata fierezza attoriale che tale personaggio impone; una linea di canto, la sua, particolarmente affascinante e, caratteristica non sempre frequente nei cantanti, fortemente volitiva. Abigaille era Anna Pirozzi, di eccezionale temperamento drammatico ma capace di cesellare un gradevolissimo fraseggio puntando anche ad acuti di un certo nitore; è ben noto che il giovane Verdi “tirava le voci” ai soprani (si pensi anche ad Elvira nell’Ernani) e la parte della figlia/schiava è ancora prigioniera di un certo cabalettismo di matrice belliniana/donizettiana. Nonostante questo, la Pirozzi risolve e supera alla grande questo ruolo impervio. Quello che si può definire a ragione il coprotagonista, quasi il motore della vicenda, è Zaccaria, anche in questo caso molto ben scolpito da Rafal Siwek. Il pontefice degli ebrei è personaggio chiave dell’opera, ha la maggiore presenza vocale e ad esso Verdi (ma in particolare Solera) affida un compito fondamentale, di pregnante autorevolezza drammaturgica. Siwek centra in pieno tutto questo, realizzando il suo compito con un canto intenso, pieno e denso, ricco nel colore e nell’espressione. Il tenore Samuele Simoncini, chiamato ad impersonare Ismaele (ruolo tenorile insolitamente poco rilevante) ha buon materiale vocale ma ogni tanto cade nella tentazione di eccessi veristici; l’ambasciatore di Giuda in Babilonia non è Turiddu né Canio, forse un maggiore controllo potrebbe consentire di mettere a fuoco e nel dettaglio il personaggio.  Di ottimo timbro e bel colore era la Fenena di Teresa Iervolino, mentre nei ruoli minori si segnala la bravura di Elisabetta Zizzo (Anna), voce bella ed interessante anche se poco gratificata dal suo ruolo, di Carlo Bosi come Abdallo e di Romano  Dal Zovo nei panni del Gran Sacerdote di Belo. Pubblico numeroso e prodigo di consensi nei confronti delle maestranze artistiche e dell’impianto registico e scenografico. Repliche il 6, 13, 20, 26 agosto e il 1 settembre.
Foto Ennevi per Fondazione Arena.