98° Arena di Verona Opera Festival: “La Traviata” tra i gioielli degli Uffizi

98° Arena di Verona Opera Festival
“LA TRAVIATA”
Dramma lirico in tre atti di Francesco Maria Piave da “La Dame aux camélias” di Alexandre Dumas figlio
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry IRINA LUNGU
Alfredo Germont FRANCESCO MELI
Giorgio Germont LUCA SALSI
Flora Bervoix VICTORIA PITTS
Annina YAO BOHUI
Gastone CARLO BOSI
Il barone Douphol NICOLÒ CERIANI
Il marchese d’Obigny NATALE DE CAROLIS
Il dottor Grenvill ROMANO DAL ZOVO
Giuseppe MAX RENÉ COSOTTI
Un domestico di Flora / Un commissario STEFANO RINALDI MILANI
Orchestra, coro e corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Vito Lombardi
Video design e scenografie digitali D-Wok
Nuovo allestimento Fondazione Arena
Verona, 10 luglio 2021
E’ sempre difficile commentare uno spettacolo all’Arena di Verona. La sua singolarità di grande teatro all’aperto, sebbene architettonicamente configurato per altri tipi di spettacolo nell’antichità, la rende unica e diversa da altri luoghi deputati ai festival estivi. Ma resta pur sempre un ascolto all’aperto con tutti gli annessi e i connessi, non ultime certamente le condizioni acustiche.

L’anfiteatro veronese è ben noto tuttavia per l’eccezionalità e la magniloquenza dell’apparato scenografico che per interi decenni ha abituato il suo pubblico a forti impatti immaginifici; se negli ultimi anni varie ragioni hanno ridimensionato sensibilmente tale apparato, nella corrente stagione la Fondazione Arena, in ragione della ben nota situazione post-pandemica, ha optato per la videoproiezione di immagini digitali gentilmente concesse da alcuni musei italiani.
Su questo binario si è mosso l’allestimento de “La traviata” che poteva avvalersi per l’occasione di alcuni ritratti femminili conservati alla Galleria degli Uffizi; a completamento, un scalone a due rampe che permetteva l’ingresso e l’uscita delle masse rappresentava di fatto l’unico elemento praticabile di scena. L’aspetto registico,  o di “mise en espace” segue una linea interpretativa di “tradizione”, anche se si è scelta uno stile “Belle Epoque”. Sul versante musicale si è trattato di una bella esecuzione complessiva. La concertazione di Francesco Ivan Ciampa, attenta e tesa alla ricerca di sonorità raffinate (che ahimé vanno perdendosi negli spazi areniani) ma sempre viva e pregnante, il tutto senza mai perdere di vista il palcoscenico. Un direttore sul quale vale la pena investire maggiormente visti i numerosi successi ottenuti negli ultimi tempi. Nel ruolo della protagonista il soprano moldavo Irina Lungu la quale ha ampiamente riscattato nel secondo e terzo atto alcune forzature e tensioni emerse nel primo. In sostanza ha dato il meglio nella Violetta innamorata, disperata, malata ed eroina risultando poco incline a quella frivola e disinvolta (in particolare nel “Sempre libera degg’io”); al netto di questo la sua è stata comunque una grande interpretazione strappando applausi scroscianti nel testamento vocale di “Addio del passato”. Francesco Meli è stato un valido Alfredo: sappiamo che la voce è bella voce, il fraseggio di ampio respiro e sicurezza d’emissione, qualità  alle quali ci ha sempre abituati in questi anni; ha dimostrato acume optando per le doti carismatiche del personaggio, scegliendo una linea aristocratica evitando l’esibizionismo del do acuto al termine della cabaletta nel secondo atto.
Il personaggio forse più atteso, e vero motore della vicenda è quello di Germont. Il baritono  Luca Salsi è risultato espressivamente un po’ monocorde, povero di colori, un vero peccato, soprattutto in quel mirabile affresco musicale che è tutta la prima scena del secondo atto. Non dimentichiamo che qui Verdi dipinge con toni miracolosi i più accorati e strazianti stati d’animo ricorrendo a geniali cambi di tempo e tonalità. Sostanzialmente, a dispetto di una vocalità generosa e di una bella pastosità sonora, gli è sfuggito quel miope perbenismo e quel tono bigotto tipico del personaggio; ancor più nella catarsi della scena finale, dove la tardiva redenzione dovrebbe mettere a nudo tutto l’afflato paterno. Di buon livello la Flora di Victoria Pitts come peraltro in linea con lo spettacolo è risultato il resto del cast nel quale figuravano Yao Bohui (Annina), Carlo Bosi (Gastone di Letorières), Nicolò Ceriani (Douphol), Natale De Carolis (Obigny), Max René Cosotti (Giuseppe) e Stefano Rinaldi Miliani (Domestico di Flora / Commissionario). Resta da dire del coro, mai come in quest’opera di fondamentale importanza: esso rappresenta quella società altolocata ma ottusamente benpensante che va ad incorniciare il dramma di Violetta. L’attuale collocazione, sulla gradinata a sinistra del palcoscenico è stata fortemente penalizzante: non solo si è perso il  senso drammaturgico ma si sono create pericolose scollature con il palcoscenico e l’orchestra costringendo il direttore a funambulismi fisici per gestire ogni attacco. Pubblico al limite della capienza consentita (in tempi di restrizioni fissata a 6000 spettatori) ma attento e generoso di consensi. Foto Ennevi per Fondazione Arena