Venezia, Teatro Malibran: il Farnace di Antonio Vivaldi

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Lirica 2020-2021
“FARNACE”
Dramma per musica in tre atti RV 711-A. Libretto Antonio Maria Lucchini.
Musica Antonio Vivaldi
Farnace, re di Ponto CHRISTOPH STREHL
Berenice, regina di Cappadocia, madre di Tamiri LUCIA CIRILLO
Tamiri, regina sposa di Farnace SONIA PRINA
Selinda, sorella di Farnace ROSA BOVE
Pompeo, proconsole romano nell’Asia VALENTINO BUZZA
Gilade, principe del sangue reale e capitano di Berenice KANGMIN JUSTIN KIM
Aquilio, prefetto delle legioni romane DAVID FERRI DURÀ
Un fanciullo, figlio di Farnace e Tamiri PIETRO MORETTI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Diego Fasolis
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Christophe Gayral
Scene Rudy Sabounghi
Costumi Elena Cicorella
Light designer Giuseppe Di Iorio
Continuo – Fagotto barocco Fabio Grandesso
Cembalo Andrea Marchiol
Tiorba Francesco Tomasi
Violoncello Alessandro Zanardi
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 2 luglio 2021
Il Teatro La Fenice prosegue nella sorprendente riscoperta del Vivaldi operistico, sempre avvalendosi, per quanto concerne la direzione musicale, di uno specialista del livello di Diego Fasolis: dopo l’Orlando furioso (2018), la Dorilla in Tempe (2019) e l’Ottone in Villa – il debutto operistico del Prete Rosso, con cui, nel luglio 2020, il teatro veneziano riavviò la sua attività lirica – è la volta di un nuovo allestimento del Farnace, melodramma risalente a un periodo particolarmente fecondo per il compositore, che vide la luce al Teatro Sant’Angelo di Venezia il 10 febbraio 1727, con la partecipazione, nella parte di Tamiri, di Anna Giraud (o Girò), soprannominata, non senza malizia, dai veneziani “l’Annina del Prete Rosso”. La versione proposta è quella elaborata – in stretto contatto con la regia per contenere lo spettacolo entro le tre ore – da Andrea Marchiol, amico e assistente di Fasolis, che si è basato sull’autografo di Pavia (1731), pur ripristinando  i registri vocali della (perduta) versione originale veneziana – a parte il ruolo eponimo, affidato a un tenore, anziché a un contralto.
Improntata a criteri – almeno sulla carta – chiari e rigorosi appare l’impostazione registica di Christophe Gayral, il quale individua nella vicenda di Farnace una serie di tematiche sempre attuali: la guerra, la rivalità a livello individuale o familiare, la brama di potere, gli intrighi d’amore, come si potrebbe verificare – a suo dire – in un serial di Netflix. Ha scelto di rimanere fedele al testo, pur concedendosi qualche libertà, finalizzata a colmare la distanza culturale rispetto al presente o rimediare alle incongruenze che emergono nel corso della narrazione: cosa piuttosto frequente nei libretti di quell’epoca, anche perché allora i compositori erano soliti rimaneggiare più volte un data partitura a seconda del teatro cui era destinata (Vivaldi scrisse almeno otto versioni del Farnace, molto differenti tra loro). Nel Farnace i personaggi gli sembrano, comunque, ben caratterizzati e accomunati dal loro nutrire sentimenti non proprio esemplari, come l’ossessivo desiderio di vendetta di Berenice ai danni di Farnace (che le ha portato via la figlia Tamiri, mentre in passato il padre di Farnace le aveva ucciso il figlio e il marito). Quanto al problema dell’ambientazione storica, il regista si chiesto come poteva raccontare una storia molto distante dalla nostra moderna sensibilità, in modo che ci coinvolga e quindi ci commuova. La soluzione è stata quella di rendere il Farnace contemporaneo o almeno avvicinarlo al nostro secolo. Purtroppo la realizzazione concreta di questo progetto desta un po’ di delusione: la guerra di Farnace II, figlio di Mitridate, contro i Romani, capitanati da Pompeo, si trasforma, in modo alquanto scontato, in un conflitto mediorientale dei nostri tempi tra l’esercito di una potenza imperialistica (lo testimoniano le bandiere rosse con le insegne del potere imperiale: i rami d’alloro) e formazioni di guerriglieri – sulla cui bandiera spicca la mezzaluna gialla in campo verde –, che difendono il loro territorio dagli invasori. Il tutto si svolge davanti al grigiore di massicce costruzioni in cemento, che fanno da sfondo anche a stucchevoli scene di erotismo, francamente “impertinenti”, soprattutto sul piano della coerenza, in primo luogo con la musica.
Sul versante musicale, invece, un esperto barocchista come Diego Fasolis ha confermato tutta la sua autorevolezza. Convinto che il Farnace rappresenti proprio per la quantità di rimaneggiamenti, cui è stato sottoposto, soprattutto ad affinare la qualità delle arie – quasi un oggetto di culto per Vivaldi, ha saputo renderne al meglio – grazie all’indiscutibile, essenziale chiarezza del suo gesto direttoriale – l’elegante scrittura orchestrale, la straordinaria aderenza della musica al libretto, emozionando il pubblico in diversi momenti assolutamente ragguardevoli. Passando ai cantanti, il tenore Christoph Strehl ha delineato un Farnace variamente espressivo, per quanto si sia rivelato timbricamente piuttosto opaco, data anche la tessitura diffusamente centrale della parte, e abbia talora strascicato nei passaggi di coloratura, problema, a dire il vero, non solo suo nel Cast: delle sue arie ricordiamo la suggestiva “Gelido in ogni vena” e la cromatica “Spogli pur l’ingiusta Roma”, nelle quali è stato determinante il suono distillato da Fasolis. Il mezzosoprano Lucia Cirillo, nei panni della spietata Berenice, ha dimostrato adeguate capacità tecnico-espressive, cui si è aggiunta anche fluidità nelle ornamentazioni, segnalandosi in particolare nelle arie “Da quel ferro che svenato” e “Quel candido fiore”. Le ha corrisposto il contralto Sonia Prina, che ha affrontato il ruolo di Tamiri con ricchezza di pathos: lo si è apprezzato nell’ansiosa “Combattono quest’alma” e nella commovente “Forse, o caro, in questi accenti”. Completava i ruoli femminili l’ammiccante Selinda del mezzosoprano Rosa Bove, che si è segnalata, in generale, positivamente, da “Al vezzeggiar d’un volto” fino a “Ti vantasti mio guerriero”. Una voce potente, per quanto dal timbro non luminosissimo, ha caratterizzato il Pompeo del tenore Valentino Buzza, che si è fatto  comunque molto apprezzare nella tempestosa “Sorge l’irato nembo”, spettacolare anche per il ruolo dell’orchestra. Buone doti virtuosistiche ha sfoggiato il controtenore Kangmin Justin Kim (Gilade), che ha superato in souplesse le insidie di “Scherza l’aura lusinghiera”. Analogamente positiva è stata anche la prestazione del tenore Valentino David Ferri Durà  (Aquilio), messosi in luce in “Penso che que’ begl’occhi”. Nitido ed armonioso il Coro nei suoi brevi interventi. Approvazione calorosa da parte del pubblico, in particolare per cantanti e direttore.